Un luogo splendido in una città dove chiese e monasteri sono protagonisti della storia, anche letteraria, che oggi si reinventa grazie alla sede della Facoltà di Lettere e filosofia.
Il plesso monastico, da luogo appartato, rappresenta un archivio storico e un punto di incontro con la città. Questo simboleggia il Monastero dei Benedettini di Catania, a piazza Dante, nel centro storico, accanto alla chiesa di San Nicola, la più grande della Sicilia, rimasta di proprietà del Comune, grazie anche alle Associazione Officine Culturali, società che garantisce un’apertura della struttura 365 giorni l’anno e che ha offerto a BeBeez una visita ad hoc.
Il Monastero dei Benedettini si presenta oggi un gioiello del tardo barocco siciliano, eretto dai monaci nel 1558. Sconvolto da calamità naturali, distrutto e ricostruito, il monastero è esempio di integrazioni tra le epoche storiche. Visitandolo si possono leggere, come in un libro aperto, i cambiamenti subiti a causa della colata lavica prima e del terremoto dopo, ma anche degli usi civili a cui viene destinato subito dopo l’Unità d’Italia. Il primo impianto del secondo monastero benedettino più grande d’Europa, dopo quello di Mafra in Portogallo, nasceva a forma quadrata con un chiostro interno definito dei “Marmi”, rinominato in seguito Chiostro di Ponente, per via della presenza del pregiato marmo di Carrara, nell’elegante colonnato seicentesco, nella fontana quadrilobata posta al centro e dei decori rinascimentali che ne addolcivano maggiormente l’aspetto.
È importante ricordare che qui risiedevano monaci provenienti dalle famiglie nobili della città e della provincia, in seguito alla legge del Maggiorascato, e che vivevano secondo le abitudini dell’aristocrazia in uno spazio enorme che disponeva di abbondante personale di servizio, orti e giardini, a fronte di appena una quarantina tra monaci e novizi, che arrivarono a contare al massimo sessanta unità.
Il XVII secolo catanese è legato alla terribile colata lavica del 1669 e al catastrofico terremoto del 1693. L’8 marzo del 1669, dopo ripetute scosse sismiche e assordanti boati provenienti dalla Montagna, l’Etna, si aprono due profonde fenditure da cui esce lava. Si alzano colonne di fumo, in seguito alle esplosioni vengono scagliati materiali piroclastici: l’Etna è in eruzione, il vulcano dimostra tutta la sua potenza. La colata raggiunge la cinta muraria della città intorno la fine di aprile, giungendo fino alle mura del monastero cinquecentesco: ci mette circa un mese e i monaci riescono a proteggere il monastero che si salva anche se cambia fortemente l’aspetto dei terreni limitrofi al Monastero dei Benedettini. La sciara è alta 12 metri circa e ha divorato le coltivazioni lasciando dietro di sé un paesaggio lunare. Purtroppo però il complesso non resistette al movimento tellurico quando, nella notte tra 10 e 11 gennaio del 1693, Catania trema. Il terremoto di quell’anno viene considerato uno dei cataclismi naturali più devastanti per la Sicilia orientale: la Val di Noto viene raso al suolo. All’indomani del terremoto la città è distrutta e gran parte dei catanesi è sepolta sotto le macerie.
Del Monastero cinquecentesco resta integro il piano interrato e parte del primo piano. A partire dal 1702 – sono trascorsi ben nove anni dall’evento catastrofico – inizia la ricostruzione e il monastero viene ripopolato. Ingrandito rispetto alla pianta primigenia. Al Chiostro dei Marmi o di Ponente, ricostituito e rinnovato da elementi tardo barocchi, si aggiunge il Chiostro di Levante, con il giardino e il Caffeaos, storpiatura del tedesco Kaffee Haus, in stile eclettico, e la zona nord con gli spazi destinati alla vita diurna e collettiva dei monaci: la biblioteca, le cucine, l’ala del noviziato, i refettori, il coro di notte. La struttura in stile neogotico, dalle forme arabeggianti era il luogo dove i monaci accoglievano gli ospiti mantenendo le abitudini nobiliari e bevendo thè, caffè e cioccolato, fatto raro al di fuori dei salotti ‘esclusivi’ allora. Il monastero, infatti, anche nell’aspetto architettonico, soprattutto nella ricostruzione e ampliamento successivi agli eventi catastrofici, assume il gusto di una reggia.
Il momento di idillio dura poco perché nel 1866, a seguire delle cosiddette leggi eversive, il Monastero dei Benedettini viene espropriato ai monaci e per più di un secolo ha ospitato: una caserma militare, differenti istituti scolatisi e tre laboratori scientifici; usi che ne hanno fortemente modificato le architetture. Nel 1977 il Monastero viene concesso all’Università di Catania, per ospitare la Facoltà di Lettere e Filosofia – oggi Dipartimento di Scienze Umanistiche – che ne ha promosso il recupero contemporaneo. Quest’idea è stata di grande lungimiranza perché l’Università aveva bisogno di una sede e invece di costruirne una ad hoc fu utilizzata con un’apposita ristrutturazione funzionale alla nuova destinazione d’uso, l’esistente Monastero dei Benedettini, che non versava d’altronde in buone condizioni e aveva necessità di un sostegno finanziario continuativo. L’intervento di recupero è stato affidato all’architetto Giancarlo De Carlo e ha portato all’introduzione di elementi fortemente contemporanei, che si aggiungono agli “antichi”, rievocandone la forza e restituendogli inoltre una nuova identità, un nuovo uso. La struttura primigenia viene riparata, riportata alla luce e alla leggibilità da parte del visitatore, che sia viaggiatore, studioso o studente, e a essa vengono aggiunte soluzioni concepite in continuità con il linguaggio originale e dove il presente dialoga con il passato.
L’indicazione infatti dell’architetto è che il monastero diventasse uno spazio a disposizione di tutta l’utenza, turistica e studentesca, rispettando però la storicità dell’edificio. In tal senso sono state create strutture contemporanee che hanno valso la menzione di architettura contemporanea al Monastero, che possono essere però smontate all’occorrenza. L’Associazione Officine Culturali, nata nel 2009, collabora dal 2010 con l’Università di Catania prendendosi cura del Monastero dei Benedettini di Catania, oggi popolata sede universitaria e luogo di riferimento per la comunità locale. L’associazione, impresa sociale, svolge attività di tutela, valorizzazione e promozione culturale e sociale tra il Monastero dei Benedettini di San Nicolò l’Arena, il Museo di Archeologia dell’Università di Catania, l’Orto Botanico di Catania, il Rifugio di Cava Daniele e il Castello-ex Carcere di Vizzini (di quest’ultimo grazie a un progetto sostenuto dalla Fondazione Con Il Sud) e consente di far vivere al meglio questa grande struttura che è uno specchio della città e nello stesso tempo uno strumento di formazione del futuro della cittadinanza.
La nostra visita comincia dal Chiostro di Levante, a cui si è accennato, per poi entrare nel Chiostro più antico che andò distrutto in occasione del terremoto. Al centro una fontana in marmo di impianto tardo rinascimentale e una serie di colonne in marmo di cui il 70% per un caso fu recuperato in seguito all’insediamento di una scuola e palestra che deturparono questo spazio procedendo allo smontaggio della fontana.
Oggi la proprietà del Monastero è stata fortemente ridotta rispetto ai terreni originari. Di quella vocazione resta però l’Orto Botanico di Catania, sempre di proprietà dell’Università, realizzato da un monaco benedettino, tale Tornabene, nel 1858, docente di botanica, con la particolarità del giardino siculo.
Curiosa la cantina, oggi sede dell’emeroteca, dove sono visibili i mosaici testimonianza di due Domus romane, rispettivamente del II secolo d.C. e una piccola porzione di un mosaico risalente al II secolo a.C. che si pensa fosse un triclinio dato il fregio decorativo sopravvissuto.
I monaci non conoscevano questo aspetto ed è curioso perché nel Settecento divennero collezionisti d’arte, restando ignari di avere un tesoro nel luogo in cui vivano. Non è strana la presenza di un insediamento antico perché i monaci ebbero il privilegio di costruire sulla Collina Monte Vergine dove nel 729 a.C. si insediarono i primi coloni greci e dunque le sorsero le prime abitazioni in loco. Della collezione dei monaci che raccolsero un po’ di tutto, da oggetti della romanità, armature medioevali, monete e dipinti, qualcosa è confluito al Castello Ursino dove si trovano anche la collezione dell’archeologo Biscari e altre collezioni. In ogni caso si sa che fra il Settecento e l’Ottocento, Catania fu meta del Gran Tour e i viaggiatori venivano al Monastero per vedere la struttura architettonica, come l’orto botanico e il museo.
Nel Settecento si decise di costruire una parte sul banco lavico, a nord, dove si trasferivano i Novizi una volta presi i voti. Per realizzare l’area nuova fu chiamato Giambattista Vaccarini, architetto palermitano, che inizia il suo progetto nel 1739. In realtà il monastero non è mai stato finito ma si sa che in quest’area fu allestito ad esempio per un certo periodo un osservatorio gastronomico. Interessante il fatto che apparentemente i piani della vecchia costruzione e della nuova risultino allineati ma questo effetto nasconde uno stratagemma. Nella nuova costruzione si trova la cucina con una piastra enorme della quale si parla nei Vicerè di De Roberto dove di dice che si poteva cucinare “un pesce spada sano sano”. Sempre in questa parte le cantine settecentesche che paiono sotto terra sebbene in realtà si trovino sulla colata lavica in corrispondenza del secondo piano della struttura preesistente. Per creare questo effetto furono impiegate delle ossa di animale che hanno il vantaggio di essere leggere, resistenti e flessibile, condizione antisismica essenziale soprattutto dopo un evento sismico. In quest’area l’approvvigionamento idrico era garantito dal fiume Amenano che porta l’acqua anche a piazza Duomo ad esempio. Curiosa e di grande suggestione, la Sala Rossa, un terrapieno che ricorda nel colore e nella forma il cratere del vulcano; struttura interamente in acciaio autoportante. Nella parte sud le celle monastiche che non hanno nulla di austero, essendo belle stanze e nel caso dell’abate occupando un appartamento di ben otto stanze. In particolare il salone delle feste e l’ufficio privato dell’abate, finemente decorate e con un bell’affaccio panoramico sulla città fino al mare, danno una dimensione della potenza dei monaci.
Il nostro viaggio termina con lo scalone d’ingresso, a doppia tenaglia, che ricorda l’ingresso di una dimora nobiliare più che di un luogo di culto con i bassorilievi di Gioacchino Gianforma che nei soggetti alludono alla vita religiosa con San Benedetto e Sant’Agata.
a cura di Ilaria Guidantoni