Si è rinnovato l’appuntamento con il Todi Festival che nella molteplicità delle proposte ha visto alternarsi lo spettacolo di Iaia Forte dedicato a Patrizia Cavalli, il Pinter diretto da Pierpaolo Sepe, la pièce di Lucia Franchi e Luca Ricci, lo show di Stefano Massini e Luca Barbarossa e la danza di Edoardo Guarducci, oltre a dare spazio a musica, arte e letteratura.
In quello scrigno di tesori artistici e naturali che è l’Umbria con i Monti Sibillini, il lago Trasimeno e i borghi medievali e quattrocenteschi, Todi occupa un posto d’eccellenza. Oltre agli imponenti palazzi di piazza del Popolo, la cattedrale, la maestosa chiesa di S. Maria della Consolazione, la città dal 1987 è sede del Todi Festival, un’importante kermesse che assembla teatro, danza, musica, arte contemporanea e letteratura. Fondato da Silvano Spada, da otto anni la direzione artistica è firmata da Eugenio Guarducci che per la XXXVII° edizione ha privilegiato opere inedite, debutti nazionali e esclusive regionali. Svoltosi tra la gli ultimi giorni d’agosto e i primi di settembre, l’apertura ha visto la prima di Vita meravigliosa, un omaggio alla poetessa Patrizia Cavalli, recentemente scomparsa (su li lei la scorsa settimana alle Giornate degli Autori nell’ambito della Mostra del Cinema di Venezia è stato presentato il documentario di Francesco Piccolo e Annalena Benini Le mie poesie non cambieranno il mondo), ideato da Iaia Forte, anche in scena con la musicista Diana Tejera. Abbiamo sentito l’attrice a poche ore dal debutto.
“Questo mio lavoro nasce proprio dalla relazione con Patrizia e dall’ammirazione che ho sempre avuto nei suoi confronti. Essendone amica, da quando è morta ho iniziato a leggere le sue poesie quotidianamente, quindi questo lavoro ha origine dall’amore per la donna e per la grande poetessa. Non sarà un semplice reading ma una sorta di concerto-spettacolo: ci sono parti a memoria, le canzoni di Diana che cantiamo anche insieme, ci sono immagini della Cavalli e della sua casa, insomma è uno spettacolo vero e proprio. La conoscevo già come poetessa, poi ho avuto modo d’incontrarla in occasione della sua traduzione del Sogno di una notte di mezza estate, messo in scena da Carlo Cecchi, siamo diventate amiche e abbiamo cominciato a frequentarci. Io non competo col carisma di Patrizia, brava a misurarsi anche con brani melodici, e allora ho immaginato non un recital ma un ritratto, dove il tema fondante è l’amore, con linguaggi prosaici o lirici integrati da partiture musicali. L’alternanza tra incubi e desideri me l’ha ispirata la sua raccolta Con passi giapponesi, dove troviamo pezzi meravigliosi come quello in cui una donna scopre l’esistenza di un’amante della sua compagna o come un altro dedicato a un’amica sarda. C’è anche il toccante capitolo Con Elsa in paradiso, riferito a quando Elsa Morante, sua amica, giocava a dire chi avrebbe portato con sé nell’aldilà. Sulla sua opera di poetessa posso dire che, essendo Sandro Penna uno dei miei poeti preferiti, la sua poesia me lo ricorda molto e mi appassiona: c’è un’assoluta leggerezza, una metrica e un uso della lingua sublime e contemporaneamente una profondità e verticalità che non è mai pesantezza moralistica. E’ una poesia ideale da recitare perché c’è ironia e intelligenza.
Per lo spettacolo abbiamo ripensato a una serata in casa di Patrizia: erano epifanie di cucina, di vino e di persone. Amava sedurre col cibo, creava atmosfere dionisiache. Vengono proiettate immagini delle sue stanze, manoscritti di sue poesia, testi delle sue canzoni. L’argomento principe è l’amore che implica anche ossessione, magnetismo e devozione.”
Vita meravigliosa verrà replicato il 12 novembre al teatro India di Roma e si è in attesa di altre date a Milano, ma l’attrice sarà nel frattempo impegnata anche in Arbasino Show, uno spettacolo sullo scrittore Alberto Arbasino di Michele Masneri con Tommaso Ragno che debutta il 24 settembre al Festival Internazionale di Capri Il Canto delle Sirene, diretto da Geppy Gleijeses, infine nella stagione un progetto di riscrittura sull’Iliade con Alessio Boni.
A seguire è stata la volta della danza contemporanea con What’s your naim, dove in un unico termine si fondono “nome” e “obiettivo”, una creazione di Edoardo Guarducci con la coreografia della Cornelia Dance Company: un invito a riflettere sull’invadente dinamica sociale che induce a circoscrivere e limitare la propria identità a un mero scopo, spesso frutto di pressioni, ambizioni e pretese di origine genitoriale o esterne. In scena i giovani danzatori Eleonora Greco, Marta Ledeman, Marco Munno e Francesco Russo, supportati dal polistrumentista Flavio Paglialunga, provano a raccontare il processo emotivo e creativo che è generato dagli interrogativi di cui portiamo il peso dall’adolescenza in poi, nel tentativo di affrancarsi da un destino in apparenza già segnato e di poter esprimere la propria unicità.
Un altro atteso appuntamento era quello con Vecchi tempi, la celebre pièce di Harold Pinter scritta nel 1970 e diretta da Pierpaolo Sepe con Sara Bertelà, Lisa Galantini e Roberto Biselli. Dalla prima edizione italiana del 1973 firmata da Luchino Visconti con Adriana Asti, Valentina Cortese e Umberto Orsini (fischiata e protestata dall’autore giunto a Roma che non aveva gradito il coté lesbico voluto dal regista), molti allestimenti (memorabile quello visto a Londra nel 1995 con la regia di Lindy Davies e la splendida Julie Christie) si sono succeduti negli anni, riuscendo, chi più e chi meno, a cogliere l’ambiguità e il non detto, l’intenzione delle pause e dei lunghi silenzi che si rimpalla il terzetto composto dai coniugi Kate e Deeley e dalla di lei amica Anna, dopo molti anni di silenzio tornata a far loro visita dalla Sicilia dove ha scelto di vivere. Non sapremo mai quale sia stata la relazione tra le due donne che da giovani convivevano nella swinging London, ma neppure quella tra Anna e Deeley che sulle prime sembrano non conoscersi ma, come si evince in seguito, si erano incontrati in un pub della città.
Rimaniamo nell’ambito della prosa con Le volpi, di Lucia Franchi e Luca Ricci (anche regista e scenografo), direttori artistici e anime del Kilowatt Festival, diviso tra le due sedi di Sansepolcro e Cortona, di cui abbiamo riferito su queste pagine il mese scorso. La pièce è uno spaccato lucido e assai amaro della nostra provincia, già passata sotto la lente d’ingrandimento nel precedente Piccola patria. Ci troviamo in una non precisata cittadina in un bollente pomeriggio d’agosto: nel salotto della direttrice dell’Asl, incontriamo lei e la figlia (non ne conosceremo i nomi) che, terminato il pranzo, discutono dei preparativi circa l’imminente partenza verso la casa al mare dove si trova già la famiglia di quest’ultima. La donna, esperta di arte contemporanea, è tornata in Italia da Rotterdam sperando di trovare una collocazione idonea alle sue qualifiche: lei punta alla direzione del Museo del Contemporaneo di prossima apertura che però sembra già destinato a un volenteroso anche se non molto esperto insegnante. Sono condivisibili le sue ragioni in base alle quali il merito e non l’appartenenza a un circolo chiuso dovrebbe avere la meglio. La madre è in attesa di una visita: si tratta del sindaco suo amico che ha necessità di parlarle con urgenza. Quando si palesa per il caffè, servito con un vassoio di biscotti vegani, l’uomo fa chiaramente intendere che vorrebbe stare da solo con l’ospite e che sua figlia è di troppo. Nasce un diverbio tra le due donne e alla fine la più giovane la spunta e rimane. Il problema sul tavolo è l’annunciata chiusura del reparto maternità dell’ospedale locale (realtà che in questi anni ben conosciamo…) dato che il numero dei parti è inferiore a quello stimato essere ottimale. Il sindaco chiede l’intervento dell’amica presso il competente assessore della Regione per scongiurare l’irreparabile, pregandola di chiedere udienza già l’indomani, ma lei non è affatto convinta di questa prassi tanto insolita e chiede tempo. Alla reazione stizzita del sindaco risponde ricordandogli che nella faccenda ha un preciso interesse: il cognato è infatti il titolare dell’azienda che fornisce all’ospedale tutto il materiale sanitario, ovviamente mai sottoposta a un regolare bando. Dalla collera lui passa alla blandizie e le fa capire che potrebbe farle restaurare a gratis la casa al mare, ma la direttrice rifiuta sdegnosamente. A questo punto interviene la figlia: con una bella dose d’impudenza lancia al sindaco il messaggio che, in cambio della direzione del museo, lei si adoprerà per convincere la madre a fargli quell’agognato “favore”. Riuscirà nell’intento questa coppia tanto spregiudicata e male assortita, perpetrando così l’ennesimo atto di corruzione e malaffare tanto comuni e tollerati nel Bel Paese?
Siamo al cospetto di un testo tagliente e incisivo con dialoghi serrati, spesso ricchi di humor e ironia ma anche drammatici, serviti dalla funzionale regia di Luca Ricci: forse solo un po’ forzati gli “a parte” della madre al microfono, pur se inquadrano molto bene il personaggio, quel suo “scivolare verso l’alto” che ne denota l’ambizione e la forza di volontà necessarie a costruire una brillante carriera. Antonella Attili ne dà un ottimo ritratto, mutando i toni che spaziano dall’indignazione alla leggerezza delle debolezze di una nonna. Giorgio Colangeli in un’eccellente performance è il sindaco sanguigno, forte della sicumera del piccolo potere ma incolto (lui avrebbe preferito aprire un Museo della Pasta!) e intrallazzatore, e Luisa Merloni è la razionale figlia che rappresenta l’esercito di giovani talentosi che non riescono a trovare un’occupazione consona e dignitosa (ci si augura meno disponibili del personaggio al compromesso), tutti applauditi al teatro Comunale. Prodotto da Capotrave e Infinito srl, costumi di Marina Schlinder e suono di Michele Boreggi e Lorenzo Danesin, la tournée di Le Volpi prosegue il 22 settembre a Firenze nell’ambito di Avamposti Teatrali e il 30/9 a Bagnoli di Sopra (Pd) nella Rassegna Musikè.
Quello tra Stefano Massini e Luca Barbarossa è un inedito sodalizio artistico che ha dato vita a La verità vi prego sull’amore, uno show tra parole e musica che prende a prestito il titolo di una nota poesia di Wystan Hugh Auden: tema che si presta a mille sfaccettature e infinite chiavi di lettura. Quella scelta dai due artisti è stata di trattarlo rispettando le proprie specificità: Massini affabulatore e narratore di storie curiose e sorprendenti, spesso all’insegna dell’impegno civile, e Barbarossa cantore di sentimenti e passioni semplici e domestiche. Ecco allora, al cospetto di una scena dove troneggia un tavolo colmo di faldoni che contengono i capi d’imputazione che sono rivolti nei confronti dell’amore, l’autore di Lehman Trilogy che ci parla della signora londinese che passa le giornate alla fermata della metropolitana di Embankment ad ascoltare la voce del marito morto il quale invita i passeggeri a “mind the gap”, dopo che lei ha chiesto alle autorità preposte che almeno in una stazione fosse conservata quella registrazione, sostituita invece in tutte le altre da una più recente, incisa da una donna. C’è poi una comica dissertazione sulla presunta malvagità e perversione dei personaggi delle fiabe dei fratelli Grimm; la vicenda di un attore e un attrice inglesi che, conosciutisi recitando Giulietta e Romeo, si erano innamorati e sposati, costretti poi a interpretare le stesse parti sino alla vecchiaia e al trapasso; l’estremo atto d’amore di un marito che ha sparato alla moglie, incosciente prigioniera di una macchina che la teneva in vita. Davvero originale poi la carrellata di titoli e citazioni delle canzoni dagli anni sessanta a oggi che vanno a formare una divertente filastrocca all’insegna del nonsense. Dal canto suo Barbarossa, imbracciando la chitarra e con l’abituale padronanza del palco, sfodera i suoi successi, da Ho bisogno di te a Passame er sale, riuscendo a interagire e a creare una perfetta alchimia con il partner che canta con lui in uno scoppiettante finale: un’operazione commerciale ma di ottimo livello, gratificata dal sold out al Comunale e dai ripetuti applausi. Replica il 23 settembre al Circolo della Stampa Sporting di Torino.
Giunto al settimo anno, è tornato Todi Off, rassegna di teatro e danza orientata alla formazione di pubblico e artisti verso il teatro di ricerca, curata dal Teatro di Sacco e diretta da Roberto Biselli, in collaborazione con Teatro e Critica. Dei cinque spettacoli proposti al teatro Nido dell’Aquila, tra i quali Giacomo. Un intervento di arte drammatica in ambito politico, strutturato sui discorsi in Parlamento di Giacomo Matteotti, diretto da Giampiero Borgia e interpretato da Elena Cotugno (già apprezzato al Kilowatt Festival lo scorso anno), e L’ultima estate. Falcone e Borsellino 30 anni dopo, di Claudio Fava, per la regia di Chiara Callegari e con Simone Luglio e Giovanni Santangelo, abbiamo visto un primo studio di Hotel Borges, nuovo progetto della Piccola Compagnia della Magnolia, scritto e diretto da Giorgia Cerutti e con in scena Davide Giglio. Ci imbattiamo in Fortunello, un ragazzo ingenuo e disarmante che, recluso in una cantina, coltiva il sogno di lavorare alla reception di un albergo di lusso e rivede in continuazione i celebri film Grand Hotel e Pretty Woman. Dice di essere nato dalla brace e di avere nella testa una pietruzza d’oro che contiene tutto il cosmo, ma in occasione del suo diciottesimo compleanno qualcuno vorrebbe rimuoverla e farlo uscire all’esterno, nel probabile tentativo di uniformarlo alla massa. D’improvviso c’è il criptico cambiamento del personaggio che, indossata una parrucca corvina, diventa un lustrascarpe siciliano a New York dove incontra Maria che, rimanendo in tema di grandi alberghi, lo invita al Waldorf-Astoria, luogo deputato allo scambio di baci e forse molto altro. Pur se viene espressamente dichiarata l’intenzione di proporre una pièce dadaista all’insegna del nonsense, di Borges però forse ci è sfuggito il riferimento, ma pensiamo che lo spettacolo si avvantaggerà di un assestamento nel corso delle repliche. Davide Giglio, trucco dorato in viso, ha una duttile vocalità e mostra incisiva gestualità e postura.
Abbiamo accennato alla musica: si è esibita la Blind International Orchestra, fondata da Alfredo Santoloci, che è composta da musicisti non vedenti e ipovedenti tra i 14 e i 65 anni, con Javier Girotto special guest. Tanti sono stati gli eventi collaterali, ospitati nelle chiese e negli storici palazzi, presenti nel programma della kermesse e non possiamo menzionarli tutti: ricordiamo almeno la rassegna Around Todi, votata alla contaminazione dei generi e alle eccellenze del territorio, e gli Incontri con l’Autore che hanno visto la partecipazione, tra gli altri, di Vivian Lamarque, Carlo Petrini e padre Enzo Fortunato. Infine la mostra di Ugo La Pietra, che firma anche il manifesto del festival, Effetto Randomico nella suggestiva Sala delle Pietre del Museo Civico. Appuntamento al prossimo anno con un altrettanto valido e poliedrico cartellone.
a cura di Mario Cervio Gualersi