La Galleria Luca Gracis di Milano, uno spazio intimo di fronte al Castello Sforzesco, il primo dicembre ha inaugurato la personale di Alessandro Algardi che resterà aperta fino al 24 gennaio 2022, un viaggio del percorso e della ricerca di questo artista partito dall’arte concettuale che voluto ritrovare la forma e la manualità del gesto artistico. La poetica algardiana è incentrata sulla contaminazione di due linguaggi: scrittura e pittura, dal cui sodalizio si sviluppano i racconti illeggibili che contraddistinguono l’intero arco della carriera dell’artista. La pittura però opera cancellando la scrittura per far emergere la memoria di quest’ultima attraverso un’evocazione, che diventa empatia tra l’artista e lo spettatore.
Le 18 opere dell’omonimo ciclo Là dove si assentano le parole, che dalla mostra prende avvio, segnano il nuovo traguardo, o forse la nuova partenza della vicenda artistica di Algardi che, dopo decenni di scrittura densa e ininterrotta, pone l’accento ora sull’assenza delle parole, sugli spazi vuoti che esse lasciano sulle tele e sulle carte.
“Ho cominciato, ma ci ha raccontato l’artista, trascrivendo parti di autori che mi interessavano o sui quali mi ero formato, realizzando uno o due quadri l’anno. Nel tempo poi ho recuperato queste storie che raccontano precedenti esperienze creative e di autoanalisi del profondo proprio perché la scrittura segna il passaggio dal pensiero al gesto”.
All’inizio fu il bianco assoluto per due ragioni, che Algardi ripensando all’infanzia e ai suoi momenti felici li associa al candore della neve e per una ragione più e ide te, con che il bianco è la somma, ma anzi la sintesi di tutti i colori, come il suo alfabeto. In seguito, il per contrapposizione ha scoperto il nero che è l’assorbimento del colore e della luce anche se trattato opportunamente crea luminescenze.
La fascinazione per la scrittura è l’arte segnica lo porta nel 1984 ad esporre al Mercato del Sale a Milano di Ugo Carrega, un luogo simbolo per questo tipo di arte. Gradualmente la scrittura sparisce dalle sue tele perché, ci ha raccontato, “ho cominciato a sovrapporre 4-5 strati di scrittura, ma irriconoscibile evocando però la stratificazione del racconto, che la memoria. Così anche la mostra nel titolo rievoca la parola giapponese ‘Ma’, che indica la matrice dell’estetica nipponica alludendo all’alternanza di spazio, all’interruzione, all’intervallo tra segni e tra disegni e dove il vuoto non è assenza ma possibilità per evidenziare il segno. Così dal tutto pieno delle prime tele gradualmente l’horror vacui ha lasciato lo spazio al possibile. Questo processo evolutivo si vede bene in quattro opere in grafite, ma indipendenti tra di loro, che però mostrano il percorso di cancellazione progressiva, di rivelazione del gesto. “Tutto nasce dal mio desiderio di creare un linguaggio personale cercando nello sguardo dello spettatore l’empatia non di chi cerca di indovinare ma di guardare oltre facendosi spazio nel vuoto, come nella prima opera del 1979, Manoscritto, autori vari, che precursore del mio percorso che poi ho recuperato”.
Clicca qui sopra per vedere il video con Alessandro Algardi
Le opere sono state concepite come consequenziali con una progressione che giunge a opere come Dalla A alla Z (2018) interamente costruite su un vuoto, un vuoto tra gli estremi del linguaggio, ed è proprio esso che esplicita il significato dell’opera, che suggerisce le infinite variabili che si diramano tra i due estremi alfabetici. Nella versione bianca del 2021 di Là dove si assentano le parole il discorso parte dall’alto, quasi a continuazione di una storia iniziata da altri, in Ubi verba absunt del 2020, al contrario, solo la prima pagina è toccata dalla scrittura mentre quella accanto è ancora in attesa del gesto dell’artista. I materiali utilizzati sono bitume, grafite, oli, acrilici, lacche, ogni strumento che l’artista utilizza è estremamente studiato e scelto per le sue specificità. Le differenti grammature di carta con la loro porosità, rigidezza, il candore più o meno ricercato, o completamente negato come in quelle nere, divengono strumento nelle sue mani, vero mezzo espressivo complice dell’autore.
Chi è Alessandro Algardi
Nato a Milano nel 1945, intraprende la sua ricerca artistica all’interno della contaminazione tra pittura e scrittura tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta, in una costante esplorazione visivo-poetica. Negli anni Sessanta dipingeva, 1967 per la Galleria Agrifoglio Milano. Negli anni Settanta fotografava, Galleria Nino Soldano, 1975. Nello stesso anno abbandonava la ricerca sulla Narrative Art per approdare a ciò che tutt’ora è il suo linguaggio creativo, con la prima esposizione presso lo Studio Sant’Andrea di Milano, luogo sacro dell’arte per la ricerca poetico-visuale. Da quel momento le sue opere vengono esposte in personali presso gallerie italiane e internazionali quali OK Harris a New York tra il 1981 e il 1983; Vera Van Lear Gallery Knokke nel 1992; Art Kiosk Gallery a Bruxelles nel 1996, 1999 e 2001; Imago Art Gallery a Londra e Lugano nel 2011–2012; dal 2014 espone nelle oltre 13 gallerie di Opera Gallery a New York, Miami, Bal Harbour, Aspen, Londra, Parigi, Monaco, Geneva, Dubai, Beirut, Hong Kong, Singapore, Seoul. Tra le esposizioni in musei e pubbliche istituzioni si annoverano: Museum of Art “Book of Art”, U.S.A. Cleveland nel 1984; The University of Chicago Library “The Book made Art”, U.S.A. Chicago nel 1986; “The Artist and the Book in Twentieth-Century Italy”, M.O.M.A., New York nel 1992; “Epifanie”, Stedelijk Museum voor Actuele Kunst (SMAK); Gent Belgio nel 2000; Palazzo Ducale di Sabbioneta nel 2018. Le sue opere sono presenti in collezioni permanenti quali Ortiz Foundation di Lima, Dubugue Museum of Art in Iowa, Savannah College of Art & Design in Georgia (USA), Kathedraal Gent, Mart – Museo di Arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto, Museo del Novecento di Milano, Fondazione Dino Zoli Forlì, tra le altre.
A cura di Ilaria Guidantoni