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Un artista per lungo tempo più compreso all’estero che in Italia, che lavora sul crinale, sul filo del concettuale che si nutre di colore, di materia e soprattutto di parole. Le parole sono però cancellare, anzi nel loro sovrapporsi si nascondono, si trasformano e svelano altro rispetto all’originaria forma del dire. Non c’è protesta nell’arte di Algardi ma tutto diventa narrazione, un racconto intimo che filtra l’esterno attraverso la ricerca nell’io più profondo e si esprime con il piacere e la fatica dell’artigianalità dell’arte che non può e non deve a suo avviso essere ridotta a concetto. Lo abbiamo incontrato una prima volta alla Galleria milanese Luca Gracis, in piazza Castello, suo spazio di riferimento in occasione della personale Là dove si assentano le parole (https://bebeez.it/arte/alessandro-algardi-la-dove-si-assentano-le-parole/). Siamo andati a trovarlo nel suo studio a Milano che divide con altri due artisti da molti anni, non tanto per lo scambio di tre personalità molto diverse, quanto per l’energia che circola attraverso tre modi molto diversi di lavorare: meditativo quello di Algardi. Sul tavolo c’è un libro, singolare, che sfogliamo ed è così che prende avvio la conversazione. Le parole scritte con la sua bella grafia risultano incomprensibili e al mio sguardo interrogativo risponde che “il cancellare pone una doppia riflessione” perché l’azione del cancellare non vale tanto come azione in sé; mette in relazione la scrittura che è codificazione, via per comunicare oltre il tempo e lo spazio e la pittura strumento per mostrare il valore della scrittura, oltre il livello semantico. La parola si staglia nel rilievo sulla tela o si evidenzia nel tratto a grafite proprio perché è ‘schiacciata’, nascosta da altre parole. Ora però questo lavoro è lontano dall’Action Painting e della stessa Poesia visiva tiene a precisare l’artista che dichiara di lavorare “sul crinale della costante autoanalisi. La mia pittura è narrazione anche personale che si autoannulla attraverso
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sovrapposizioni successive”; con un processo che è simile a quello della memoria selettiva e della stratificazione delle esperienze e dei ricordi che nel tempo si trasformano. Ora secondo Algardi “l’atto di cancellare appartiene proprio alla pittura come azione ma come senso è invece intrinseco alla scrittura: da sempre lo scrivere si nutre di cancellazioni e correzioni che sono un modo diverso di cancellare: ripensamenti, correzioni di errori che di solito si cerca di non mostrare dato che per chi scrive è il risultato finale che conta”; diversamente da quanto è accaduto spesso nella pittura con il gribouillage, lo scarabocchio, gli schizzi che accompagnano l’opera e testimoniando il lavorio dell’artista. Oggi tra l’altro alla cancellazione non si è quasi più abituati soprattutto nell’era di Internet che non lascia traccia visibile dell’errore e quello che si apprezza è il fatto di nascondere il disordine, la pagina pulita. Sulla tela tutto cambia perché la stratificazione, il frego, l’ingarbugliarsi dei segni appartiene profondamente alla pittura. Nell’arte contemporanea le parole nei quadri e la parola ‘negata’ ha fatto più volte la propria comparsa, basti pensare a Emilio Isgrò, che Algardi ha conosciuto, e rispetto al quale stabilisce la diversità dell’approccio. Isgrò infatti cancellava per costruire un lavoro diverso da quello scritto come punto di partenza mentre Algardi arriva gradualmente alla prevalenza della parola rispetto ad altri segni. Nella prima metà degli anni Settanta fotografava e narrava quello che vedeva, per cui stampava le immagini su tele emulsionate sulle quali scriveva e raccontava. La parola nel tempo ha assunto un’importanza crescente finché, ammette, “ho ceduto alla parola che per me è il recupero dell’io profondo, la possibilità di visualizzare l’aspetto più intimo di me stesso”, rimanendo però un pittore. Infatti la narrazione diventa immagine e colore materico, anche senza pennello e tavolozza nel senso classico. Nel libro che abbiamo davanti girando le pagine il retro del foglio mostra una cancellazione sempre più netta che partendo dalla parte bassa del foglio sale gradualmente pagina dopo pagina.
Davanti alla tela bianca come quella sulla quale è appoggiato il libro Algardi comincia a lavorare come punto di arrivo del progetto mentale di cui la visualizzazione è un punto di arrivo rispetto al quale è già oltre. Il momento della visualizzazione è come il tuffo dal trampolino, che arriva dopo una lunga preparazione, allenamento per diventare l’azione, la visualizzazione appunto di un lungo percorso, diventando poi altro. “In realtà, ci ha raccontato Alessandro, quando realizzo un’opera, per me che non eseguo di getto, non sono un istintivo, sono già al di là ma il rischio è di non fare nulla: mi muovo sul crinale tra il troppo presto e l’oltre. La carta assorbente non fa che ricevere dei segni che sono già in me. E’ questa una delle ragioni per cui definisco le mie opere atemporali: non attendo stimoli dall’esterno, dal contesto ma attingo all’interiorità”. Evidentemente un flusso di comunicazione esiste ma non è tematizzato, non è narrazione del quotidiano.
Cosa narri? “Dei testi veri, sovrapposti ad altri che mi ispirano ed è per questo che la lettura la rilettura sono per me molto importanti, solo che non li dichiaro perché desidero che i miei lavori siano letti, anzi guardati come quadri e la ricerca di equilibri, l’attenzione alla composizione, la lezione dell’armonia e della prospettiva rinascimentale mi riportano al mio essere pittore.”
Da cosa parti? “Da un concetto sotto forma di titolo che rappresenta la chiave di lettura di quello che si vede, non tanto di quello che è scritto o cancellato”.
Qual è stato il percorso sulla tela? “Ripercorrendo il mio percorso scorre un doppio binario, rispettivamente quello delle mie tele e quello dei luoghi e delle gallerie. I primi quadri ad esempio erano bianchi e ricordo in particolare gli anni Settanta e gli anni Ottanta con la mostra al Mercato del Sale di Milano, galleria fondata nel 1974 da Ugo Carrega che insieme alla Galleria Sant’Andrea erano il punto di ritrovo e di riferimento degli artisti che usavano il segno e/o la scrittura; ci sono stati gli anni in cui andavo e venivo da New York e lavoravo per la storica galleria di SoHo, quando era un quartiere di artisti e per artisti, OK Harris Gallery. Poi è arrivato il nero che sta prendendo sempre più spazio con i suoi riflessi e le possibilità di un nero che non è nero, quanto marrone, grigio antracite, più caldo con una punta in più di rosso o più freddo, con una punta in più di blu, come in Perimetrare l’area del pensiero, un titolo che è un racconto di per sé.” L’ultima frontiera è quella della trasparenza, dell’impalpabilità del segno, una sottrazione in più, che appare nell’ultima opera realizzata in studio ancora senza un titolo. Non si tratta però di un processo lineare e irreversibile ma nel quale convivono invece colori e proposte, così accanto alle tele bianche e nero e alle trasparenze, ci sono i quadri rossi e alcuni oro, rarissimi, realizzate con i colori Mussini, una scelta di elezione per la resistenza di questi pigmenti alla luce, eccezionale, e la capacità di dare riflessi. In un angolo anche sculture, che abbiamo già visto alle Galleria Luca Gracis durante la personale qualche mese fa, in terracotta smaltata a freddo dove la sovrapposizione non è solo delle parole ma anche dei libri e dei volumi che sembrano fondersi uno sull’altro e nell’altro. Girando lo sguardo nel fermento dell’attività si respira un’energia senza frenesia, che si muove nell’equilibrio instabile di una creatività raffinata, studiata e ponderata, che lascia presagire a una tela che sarà presto raccontata. Riusciamo ad avere solo la conferma di questa sensazione ma del nuovo progetto per ora possiamo vedere solo una tela bianca e forse non sarà neppure su tela.
a cura di Ilaria Guidantoni