Artur Lescher (1962) è un artista brasiliano contemporaneo che crea installazioni e sculture post-minimali di forza architettonica. I suoi lavori trasformano lo spazio creando nuovi piani coinvolgendo lo spettatore in prospettive diverse. Tagli, piani, linee e cavità sono usati da Lescher per trasmettere un misterioso silenzio e una calma poetica. L’equilibrio di quelle forme è un invito alla contemplazione e alla meditazione. Artur Lescher ha partecipato nel 1987 e nel 2002 alla Biennale di San Paolo e nel 2005 alla Biennale del Mercosul. Questa ciò che si dice dell’artista sul sito della galleria PIERO ATCHUGARRY. Da ieri presso la Galleria Progetto Elm. si può avere il piacere di apprezzare dal vivo in Italia a Milano alcune delle sue opere.
progettoarte elm
dal 26 ottobre 2017 al 8 dicembre 2017
Artur Lescher in Objectos Informados.
Via Fusetti 14, 20143 Milano IT +39 02 83390437
Aracy Abreu Amaral ( São Paulo , 22 febbraio del 1930 ) è una critica e curatricde d’arte attualmente titolare della cattedra di Storia dell’arte presso la Facoltà di Architettura e Urbanistica di USP, è stata anche direttrice della Pinacoteca do Estado de São Paulo (1975 -1979) e del Museo di Arte contemporanea presso l’Università di San Paolo (1982-1986) oltre che membro del Comitato Internazionale del Principe Claus Fund Award all’Aia, in Olanda. Nel 2002 ebbe modo di scrivere quanto segue a proposito di Lescher. Val la pena, qui di seguito, riprendere le sue parole che meglio di ogni altra cosa possono introdurre il visitatore alle opere dell’artista brasiliano.
Artur Lescher – La tattica dell’eleganza: tra spaziale e seriale
Non credo assolutamente nei geni. Quando mi capita di osservare un’opera interessante di un artista emergente, posso rimanere colpito o magari sentirmi felice che il lui o la lei di turno abbia destato attenzione. Tuttavia, riconosco che un’opera di un artista ha davvero valore soltanto quando s’impone nel tempo con audacia e nuove realizzazioni. Sono infatti davvero molti i personaggi che, soprattutto in Brasile, svaniscono come comete nell’etere dello scenario artistico. Ecco forse perché qualcuno, una volta, dichiarò di non aver mai letto un mio testo critico elogiare apertamente un artista. Magari questa persona ha leggermente esagerato. O forse davvero, io tendo all’understatement. Proprio per questa ragione, analizzando le opere recenti di Lescher, percepisco realmente la produzione di un artista maturo anziché quella di un “giovane” artista – con un profilo ben definito. Da cui, questa pubblicazione, che ambisce a riassumere il suo cammino sino a oggi.
Lescher ha il fascino dell’uomo apparentemente goffo ed eternamente ragazzo, con un sorriso gioviale. Leggermente schivo, nel profondo è invece effettivamente consapevole di quello che desidera fare, di quello che ama, e del modo per raggiungere i suoi obiettivi. Come artista, interpreta costantemente la poetica dello spazio e della bellezza della forma, che lo avvicinano alle tematiche del design, dell’architettura e della ricerca di materiali di cui fa uso nei suoi progetti. Tali caratteristiche fanno si che venga annoverato tra i tipici artisti di San Paolo.
Artur Lescher s’inserisce in una corrente artistica nata 50 anni fa, quando i giovani Artisti Concreti di San Paolo, con il contributo di colleghi svizzeri ospiti, organizzarono la prima Biennale di San Paolo. Gli ospiti respinsero l’opera manuale artigianale, optando invece per supporti artificiali, come ad esempio la fibra di cartone, l’alluminio o l’acciaio inossidabile lucidato, applicando meccanicamente la pittura. Queste furono le linee guida del gruppo Ruptura, guidato da Waldemar Cordeiro, paesaggista, artista e instancabile investigatore di nuove tendenze. Probabilmente a causa dell’intensa industrializzazione della città, San Paolo ha dato i natali a un gruppo di artisti che integrano la tecnologia nella loro produzione. Si potrebbero citare Baravelli, nei primi anni Settanta, oppure Julio Plaza, certi progetti di Marcelo Nitsche o addirittura Waltercio Caldas (che Letscher palesemente ammira) e il contatto con i quattro dell’Escola Brasil Dois Pontos – Fajardo, Nesser, Baravelli e Rezende – la cui mostra (presso MAC-USP e MAM-RJ nel 1970) influenzò un’intera generazione di pittori di San Paolo e Rio de Janeiro. In altre parole, eludendo il “precario” e l’”effimero” che dominavano l’arte della fine degli anni Sessanta (Leirner, Antonio Manuel, e gli ambienti Tropicalia di Helio Oiticica, ma anche Barrio, più avanti), si faceva avanti una nuova corrente di artisti, caratterizzati da buon gusto, opere ben rifinite e accuratezza nell’esecuzione dei progetti. Le loro opere manifestavano un’inequivocabile precisione e caratura architettonica, a prescindere dal fatto che fossero o meno architetti.
Più recentemente, ecco Ana Tavares – altra artista della stessa generazione di Lescher, degli anni Ottanta – la quale, come lui, si sofferma sui giochi spaziali, sui dialoghi o l’interazione con l’architettura e opera con diversi materiali. Talvolta, dal mio punto di vista, i suoi progetti suscitano nell’osservatore una sorta di esasperazione, frutto di un’esecuzione sin troppo accurata. Questa corrente di arte “universale”, estremamente urbana ed elegante si dissocia dal nostro ambiente da “Terzo Mondo”, così stancante per noi…quell’elemosinare agli angoli delle strade….Se da un lato siamo sicuramente periferici, dall’altro non accettiamo tale condizione, poiché ci turba e ci allontana dal cosmopolitismo che preferiremmo come nostro tratto distintivo, accantonando le contraddizioni socioculturali dirette che non possiamo né accettare, né eliminare. Artur Lescher appartiene a questa corrente di grande autenticità, poiché riflette un piccolo, ma rilevante numero di artisti molto istruiti e colti, che possiedono altresì un’eccezionale familiarità con la storia dell’arte brasiliana, sia recente che antica. Lescher è stato sempre attratto dalle opere seriali: egli parte da un’idea iniziale che viene sviluppata gradatamente tramite creazioni che evolvono in altre creazioni sulla base dell’idea originaria. E’ stata questa l’origine del suo ideogramma della casa autodiretto, la sintesi di un’abitazione autocontenuta nella sua stessa forma paradigmatica: un tetto a due spioventi, una struttura rettangolare e minimalista nella sua essenzialità formale. Composta da un ampio assortimento di materiali (una struttura parzialmente visibile, come evidente al Museu de Arte Moderna a San Paolo, o in legno, acciaio inox, alluminio); sottoforma di gemelli siamesi reiterati per tre volte – in maniera cruciforme – , o allungata fino all’irriconoscibile, assolutamente verticale, in legno impeccabilmente lucidato. O costruita come vagone-casa, sdraiata orizzontalmente a terra.
Ma, a partire dalle sue case (e palloncini), il dialogo delle forme è con lo spazio che contiene le sue opere. Il dialogo con lo spazio e la creazione seriale indica, al contempo, la sua preferenza per gli esercizi modulari. Di conseguenza, Lescher di solito specula con i materiali e la loro resistenza all’esposizione agli agenti atmosferici, restando sempre fedele a forme di ineccepibile eleganza. Il quadrato perfetto, la plastica opaca, la falegnameria e il sale di rame, il mercurio, la resina, la plastica, il nylon industriale, il granito, la porcellana bianca, l’acqua e l’alluminio.
La serie di opere “Elittiche” di Artur Lescher – dalle morfologie meravigliose, ma di concezione insolita – risponde alla domanda: qual è l’origine dell’elisse? E’ la sezione trasversale di un cono. Così, possono presentare diverse dimensioni, in base alla sezione del cono che rappresentano. Ecco dunque che dalla sezione trasversale deriva la forma ellittica: nitidezza penetrante, tagliente, incisiva, sono tutte espressioni che vengono spontanee a chi contempla lo spazio creato dall’artista, quella superficie di legno lucido e caldo, ma capace di spingere lo sguardo a soffermarsi su forme taglienti – forme che sono sia visibili a metà o addirittura mai presenti nella loro interezza. Il bordo tagliente si percepisce nella sottigliezza dei profili di queste elissi paradossali, che parrebbero minacciose se non fosse per la delicatezza della loro scrupolosa esecuzione. Vengono posizionate orizzontalmente, inchiodate al pavimento, oppure sembrano mordere le pareti quando vi si appoggiano, con i loro bordi gentilmente lucidati e cerati, come pugnali di una bellezza sensuale, ma formale, e al contempo sottilmente aggressiva.
Durante la mostra di Artur Lescher presso la Galeria Nara Roesler del marzo 2002, un osservatore attento avrebbe subito notato l’estrema cura nella selezione e nella disposizione di ciascuna opera nello spazio, seguendo un simbolismo magari non percepibile da un visitatore più distratto. La mostra venne organizzata dopo due anni di progettazione davvero minuziosa, che implicò la modifica dello spazio della galleria, la cui pavimentazione fu espressamente rivestita con un tipo di essenza (samauna o kapok) piuttosto simile al legno di cedro nel quale erano state intagliate le elissi. Ma qualcosa di segreto ha caratterizzato l’organizzazione di questo spazio, come pure una meticolosa selezione: l’artista ha effettivamente tenuto per sé il significato profondo della disposizione quasi rituale dello spazio, pianificato e approntato in quel modo. Le stesse morfologie ellittiche, alte tre metri, ora in bronzo e riposizionate in un open space nel bel mezzo di un paesaggio naturale presso l’Universidade Cruzeiro do Sul, in un quartiere orientale della città di San Paolo, ci regalano una differente chiave di lettura. Paiono infatti inaugurare la vocazione di Lescher per le immense opere pubbliche. Ecco dunque che l’artista abbandona il piacere di studiare forme di piccolo taglio come modelli per successive esecuzioni e la loro relazione con lo spazio – uno studio non più autosufficiente e confinato – per aprirsi a un’importante proposta per l’ambiente. Lescher si può altresì considerare un trasformatore di oggetti e di parti, come ad esempio quando riproduce i dischi di un aratro fermo quale esempio di oggetto non utilitaristico in legno lucido. Oppure quando usa cilindri di porcellana candida e lucente che poi intarsia in una serie continua di aste in legno massello con sezioni trasversali quadrate, come a formare un tappeto o una scala orizzontale e immobile. Questo genere di abbinamenti era stato precedentemente anticipato dalla grande opera intitolata “OxO” A Roda (La ruota), esposta nel 2001 al Memorial de America Latina. Anche in un’altra opera, le stesse aste a sezioni squadrate posizionate fianco a fianco, presentano un grande cilindro a ciascuna estremità: uno di granito nero, un altro in porcellana pura e lucente. Entrambe le creazioni attraggono il nostro senso del tatto. La nostra tattilità pare ipnotizzata dalle loro superfici. In altre parole: le sezioni trasversali quadrate delle aste contro le sezioni trasversali circolari dei cilindri di porcellana. Vi è sempre un principio geometrico considerato come contrappunto, antonimia o complementarietà. Dopotutto, il quadrato contiene il cerchio, mentre il cerchio può contenere il quadrato. E i diversi materiali, in questo caso il legno contrapposto alla porcellana, la naturalezza contrapposta all’industrializzazione, giocano la loro parte nell’intensificare il dialogo che coinvolge forme e materiali. La connessione con l’architettura appare anche nell’organizzazione di Lescher dello spazio espositivo, sia esso alla 25esima edizione della Biennale di San Paolo, nel 2002, per la quale l’artista ha calcolato il modo di collocare le sue opere nello spazio, prevedendo possibili interferenze di creazioni altrui accanto alle sue, oppure nella selezione dei materiali, in questo caso la pavimentazione, la colorazione del legno, la distanza tra un pezzo e l’altro, l’impostazione palesemente museale – che coinvolge lo spazio e la luce – che l’autore-artista progetta per la disposizione dello spazio espositivo. Lescher, seppur non sia un architetto, si comporta come tale. Proprio come fa nella spazialità della natura domata nel pianificare del paesaggio, nel progetto scultoreo per il parco dell’Universidade Cruzeiro do Sul, a San Paolo. Credo che questa pubblicazione trasmetterà al lettore la grandezza di questo creatore, sempre attento allo spazio che lo circonda e al contempo molto esigente quando si tratta di garantire l’esecuzione rigorosa di ogni suo progetto.