Il Bistrot Cannavacciuolo a Novara di fronte al Castello Sforzesco Visconteo, accanto al Teatro Coccia è un’esperienza sensoriale, una sinfonia di territori che si incontrano nel piatto dove la composizione, i colori, sposano profumi e sapori con la voglia di riconoscibilità e di giocare reinventando la tradizione.
All’inizio fu Villa Crespi, dimora storica sul Lago d’Orta, che Antonino Canavacciuolo dirige con la moglie Cinzia Primatesta, ristorante stellato in un luogo fiabesco, quindi è nato cinque anni fa il Bistrot a Novara, dal 2018 una stella Michelin.

Ci siamo intrattenuti con Sara Chaar, maître di sala, giovane professionista marocchina, originaria di un paesino del centro nord, Khouribga (a 120 chilometri a sud-est di Casablanca), cresciuta ad Oleggio, vicino Novara che lavora in coppia con lo chef Vincenzo Manicone, compagni anche nella vita per farci raccontare la storia di questo posto, che hanno fatto gli onori di casa.
Perché a Novara innanzi tutto?
“A metà strada tra le grandi città di Milano e Torino, dove c’è un altro Bistrot e vicino al Lago d’Orta, nasce come un punto di incontro tra la ricercatezza e l’eleganza da una parte e l’informale dall’altra: la possibilità accessibile di sentirsi a casa in un ristorante gourmet”.
Uno spazio polifunzionale su due livelli, aperto dal mattino per la caffetteria fino all’una di notte, offrendo a piano terra in un ambiente giovane tra caffettiere e oggetti raccolti apparentemente con la casualità di un salotto di casa, una pausa pranzo con piatti freddi gourmet oltre a panini e insalate, apertivi, con una formula classica e una dedicata allo street food partenopeo, fino al dopo cena. Al primo piano il ristorante aperto a pranzo e a cena, con una cucina creativa, giovane e la voglia di divertirsi, ha sottolineato Sara, rivisitando la tradizione. Questa la linea di Cannavacciuolo sempre presente come ricordano i piatti di Villeroy&Boch con la sua mano che ‘sorregge’ idealmente anche la tazzina da caffè (tutta la linea acquistabile on line).

Qual è la filosofia del luogo?
“Il recupero e l’unione delle tradizioni culinarie italiane in una versione gourmet divertente anche nell’aspetto, ingannando il palato e la vista, accogliendo suggestioni di altre culture”.
Anche qualcosa dal Marocco? “L’agnello in tre cotture ispirato alla bastela, sorta di pasta sfoglia leggerissima farcita e speziata, profumata alla cannella. Così come l’introduzione del tè alla menta con il servizio al tavolo secondo lo stile maghrebino, che recupera anche l’idea di una convivialità tra l’ospite e chi lo serve, ‘costruendo’ qualcosa a tavola, quasi una rappresentazione, per far sentire il cliente a casa. L’attenzione è concentrata sugli ingredienti stagionali, con un menu che cambia quattro volte l’anno, spesso a chilometro zero, attenzione presente anche nella scelta della carta dei vini. L’idea generale è lo sguardo al territorio e ai territori spesso sconosciuti, una ricerca che diventa anche per noi operatori una scoperta”.
Gustando piatti che suggeriscono sinestesie tra la visione, la costruzione dei volumi e della verticalità tra gli ingredienti, profumi e forme che sorprendono, colpisce nel piatto il dialogo tra i sapori fondamentali ben riconoscibili, come dolce e salato in particolare, che conversano in modo sorprendente. Il risultato è una grande complessità mai confusa,come un piccolo cono di pasta di patata con del gorgonzola, un pas à deux di dolce e piccante condito con fiori commestibili. Nessuna eccedenza: tutto quello che è nel piatto si può mangiare ed è sempre funzionale alla composizione del tutto. Mai una semplice aggiunta puramente estetica. Girando lo sguardo intorno, anche l’atmosfera tesse una trama fra suggestioni del passato, la piazza che si intravede e la struttura dell’edificio e la modernità.
Quale scelta ha guidato l’arredo?
“La suggestione è quella degli Anni Venti, il recupero dell’arredo industriale con il gusto dell’improvvisazione, della stratificazione non definita una volta per tutte, patinata, dove tutto è coordinato, impeccabile…preconfezionato. L’idea è di trovarsi in una casa con le sedie una diversa dall’altra, secondo l’idea di aggiungere un posto in più per l’amico che arriva all’ultimo momento. L’evocazione ricorda quando si cercano per casa delle sedie da aggiungere che sono in stanze dallo stile diverso. Così anche i tavoli non sono tutti uguali.”
Dominano variazioni di grigi che come in una galleria d’arte consentono di fruire al massimo della sinfonia dei colori dei piatti, aprendosi a inserti di toni caldi dal rosa al rosso.
Come racconta la cucina di questo luogo?
“Una cucina giovane che in ogni piatto trasmette una diversa emozione che si percepisce, l’uso fondamentalmente dell’ingrediente del cuore e che è un gioco di squadra.”
Non è un caso che Cannavacciuolo ha definito la vita “Una cena meravigliosa tra amici”.
Se fosse un libro questo Bistrot che genere sarebbe?
“Un libro di avventura, un viaggio nella quotidianità della vita”.
E se fosse una musica?
“Musica jazz, che per me ha un impatto emozionante eppure non invadente”.
E se invece fosse un’opera d’arte?
“E’ forse la definizione più difficile anche se in certo qual modo un piatto è un’opera d’arte e lo immagino come un quadro molto colorato che raffigura la natura anche perché nella nostra cucina c’è molta presenza di verdure, frutta e anche fiori.”
L’idea dell’orchestra si ripropone anche tra cibo e vino, in un matrimonio attento che si rinnova ad ogni portata e che sposa l’idea del territorio come ci ha raccontato il Sommelier che supervisiona la gestione della carta dei vini e le scelte del bar, da marzo a Novara, Andrea Mattia.
“Ho puntato sul Piemonte e sul territorio locale, valorizzando prodotti locali che meritano una promozione e riscoprendo vitigni accantonati, senza dimenticare l’apertura a nuovi territori, perché il lavoro del sommelier sulla cantina è in continua evoluzione. Così ho aperto le porte ai vini della Basilicata e della Calabria che a mio parere meritano di essere valorizzati. Il Bistrot poi ha scelto alcune collaborazioni come con l’azienda piemontese Contratto che produce uno spumante metodo classico, cru di pinot noir e chardonnay, extra brut, dosaggio 4gr/litro, espressamente per noi. Oggi serviamo la vendemmia 2013”. Un prodotto che riserva tutta la sobrietà e l’eleganza piemontese nel bicchiere.
“Un’altra collaborazione è con Bianca Vigna di Treviso, un prosecco personalizzato solo per l’etichetta, che incontra un gusto e una tasca più giovane. L’ascolto delle esigenze del cliente e delle tendenze del gusto fa parte della nostra filosofia. In questi ultimi anni infatti è cresciuta molto la domanda di vini pugliesi perché è un territorio che ha richiamato molto il turismo e quindi le persone vogliono ritrovarne il gusto o scoprire qualcosa di più.”
Rivisitare in cucina corrisponde a riscoprire in cantina? “Una passeggiata fuori dai circuiti più battuti come le vigne del Mantonico in Calabria, vitigno autoctono raro e un nettare dai poteri divinatori, una ricchezza culturale ed enologica della regione; il Maturano nel Lazio, un antico vitigno autoctono a bacca bianca, originario della Val di Comino, di recente riscoperta; e il Timorasso vitigno autoctono piemontese che sorge sulle colline del Tortonese, passato da due ettari nel 2000 ai 20 ettari attuali.” Le prime fonti scritte che lo menzionano risalgono al medioevo, assumendo poi nel corso dei secoli sempre più importanza, tanto da diventare uno dei principali vitigni della zona. In seguito all’avvento della fillossera e del secondo conflitto mondiale, fu abbandonata la coltivazione del vitigno Timorasso in favore di tipologie più produttive. Solo negli ultimi tempi un folto gruppo di viticoltori, ha riportato in auge questo vitigno, facendo scoprire le proprietà enologiche del vino Timorasso caratterizzato da freschezza, ben strutturato ed un gusto rotondo, qualità che si ottengono grazie all’invecchiamento e affinamento in botte.
“Sicuramente l’alto Novarese è da valorizzare e se dovessi scegliere un vino che rappresenta il territorio piemontese direi il Gattinara”.
Prima di andar via una sosta davanti alla cucina a vista, che si apre come un palcoscenico sulla sala. Dal regno dei fornelli è uscito Vincenzo Manicone, di Angera, in provincia di Varese, regista della tavola, che ha parlato di “uno spettacolo interattivo. La cucina a vista è una rassicurazione, un elemento di trasparenza per l’ospite ma anche per me che sbircio l’espressione di chi gusta il piatto e sento l’effetto del mio lavoro sul pubblico. Per questa stagione ad esempio c’è il dolce d’autunno nel sottobosco con ghiaccio secco che mima la nebbia novarese e l’emozione è prima visiva che gustativa. Al Bistrot che non a caso confina con il teatro non si viene solo per mangiare ma si degusta con tutti i sensi a cominciare dal racconto e dalla spiegazione dei piatti, con la voglia di far sentire l’altro a casa. In tal senso su un copione c’è l’interpretazione come un abito sartoriale su misura del desiderio dell’ospite per cui ad esempio ho creato una variazione secondo l’esclusione di alcuni ingredienti per gusto o allergie alimentari o anche scelte, come quella vegana. Questo atteggiamento è anche parte di una filosofia: non dire mai no, dato che se un ristorante non è un servizio pubblico, è comunque un servizio al pubblico. Per questo mi piace la condivisione di finire il piatto a tavola anche perché il trasporto di preparazioni con liquidi è disagevole. Così ad esempio oltre la sperimentazione del tè verde cinese alla menta con cibi speziati preparato su un guéridon a tavola, si confeziona davanti al commensale l’anatra accompagnata da fondo di cottura con uva glassata servita da un pentolino. L’idea è di non separare la cucina dalla tavola, quindi le mani, dagli occhi e dalla parola.”
Come racconterebbe la sua cucina?
“Una cucina che viene dal cuore, cerco una buona tecnica per suscitare emozione, sorpresa non troppo difficile da apprezzare. Sono dieci anni che lavoro con Cannavacciuolo e ogni Bistrot ha il suo filo conduttore. Novara è una città chiusa e non è un caso che lavoriamo molto con i clienti da fuori.”
Ci salutiamo con un colore che racconta la scommessa di offrire l’esclusività in modo accessibile.
“Blu, secondo Andrea Mattia, perché è elegante, non formale e poliedrico.”
“Rosso, secondo lo chef, il mio colore preferito, che esprime passione”.
a cura di Ilaria Guidantoni