La nuova Galleria della Cattedrale dialoga fra antico e contemporaneo
Mozzafiato, titolo della personale dell’artista Dario Agrimi, nato ad Atri, in provincia di Teramo, nel 1980, a cura di Lia De Venere – il progetto del catalogo è di Raffaele Montrone e Ferdinando Bossis e le fotografie di Marino Colucci/Sfera – racconta bene un’esposizione spiazzante, che gioca sull’effetto sorpresa di un realismo al primo sguardo classico, quasi decorativo come le ‘statuine’ che sono migranti. Dietro l’apparenza ingenua, sofisticata, dietro quel dettaglio minuzioso che a tratti appare lezioso, irrompe la lacerazione della contemporaneità, come in Ablazione dove una coppia di ‘fidanzatini’, poco più che bambini che ricordano le statuine di Capodimonte in porcellana con i colori pastello bianchi azzurri delle case della nonna o le bomboniere della prima comunione rivelano un lato inquietante: i loro volti dal lato in cui si guardano sono schizzati di sangue e il ragazzo ha il braccio tagliato.
Dario Agrimi è un artista eclettico, attivo nel campo dell’arte contemporanea con opere di carattere concettuale e spazia dalla pittura all’installazione prediligendo anche il campo fotografico, scultoreo e video, con una ricerca fortemente improntata all’iperealismo. Il contrasto nell’arte di questo scultore attento al dettaglio che crea un’inversione di senso ben si sposa con l’ambiente della Galleria della Cattedrale, che ha compiuto un anno, con affaccio sulla splendida chiesa di Conversano, borgo gioiello in provincia di Bari, che diventa un punto di incontro internazionale di idee e di vignettisti ogni settembre con il Festival Lector in Fabula. Creata da Lucilla Tauro, sposa il recupero dell’ambiente nella tipica pietra locale, con un restauro importante che ha portato alla luce una cisterna e l’essenzialità del concept contemporaneo anche nella scelta coraggiosa di Agrimi.
La mostra, che abbiamo visitato alla vigilia della chiusura, merita una sosta ed è l’occasione per scoprire lo spirito ironico e autoironico, a tratti insolente, una vena di sarcasmo nell’additare problematiche contemporanee troppo complesse da risolvere per offrire delle tesi di Agrimi. La copertina del catalogo è il suo ritratto in veste di Nazareno, una sorta di Salvator mundi, senza supponenza, che appare quasi rassegnato, offrendo quello che è disponibile nelle sue mani, la propria arte, per parlare oltre l’ovvietà e la banalità del male. La povertà come destino, è esposta in uno spazio diverso dalla Galleria, dall’altra parte della piccola piazza, a grandezza naturale: un mendicante rivolto in direzione della chiesa. Neri tutti è una folla di statuine che l’artista ha dipinto di nero per raccontare le migrazioni attraverso uomini e donne, grandi, piccini e vecchi, senza colori, una lunga ombra distesa sotto i loro destini, da sempre. Gli abiti infatti potrebbero essere quelli ottocenteschi o primi Novecento; gli occhi, puntini incredibilmente bianchi e vuoti. Senza via d’uscita, altra opera emblematica, ci presenta mani maschili di un realismo quasi aggressivo, dall’anello ai peli sulle dita, aggrappate ai bordi di un vaso e il pensiero corre a La giara di Pirandello, la novella nella quale si narra dell’artigiano rimasto intrappolato durante il restauro dello stesso recipiente. Il titolo La fede è la soluzione più semplice, lascia aperta la speranza non senza una venatura ironica e senza offrire una soluzione reale e immediata. Le altre opere in mostra giocano sul calembour e sull’idea dell’artista che con un occhio non solo visivo, fa vedere altro, quel tutto, oltre il quale non resta nulla, così come nel Cambio di stagione, una bronzo, nudo di donna in equilibrio, figura classica, una possibile immagine di danzatrice che però indossa dei calzini sportivi bianchi.
A cura di Ilaria Guidantoni