Un nuovo luogo di incontro per l’arte a Milano, la Fondazione Rovati, intitolata al Professor Luigi Rovart, scomparso nel 2019, ospitata in un bel palazzo settecentesco, raccoglie l’eredità di chi ha saputo unire la passione per l’arte e il collezionismo alla ricerca scientifica. Non solo, ma Luigi Rovati ha creduto da sempre nella cura e nel benessere che l’arte può offrire. Per questo lo spazio vuole offrire un percorso di piacevolezza, un luogo di armonia. Nello spirito della Fondazione l’idea di un museo vivo e dinamico dove il contemporaneo con molte opere site specific dialoghi con la storia, la collezione permanente entri in un confronto con l’arte di oggi e anche l’esposizione si avvicendi. Attualmente sono esposti 250 pezzi dei totali 2300 della collezione.
Luigi Rovati nasce nella provincia pavese da famiglia modesta, diventando uno studente modello del Collegio Ghisleri che poi ha sostenuto nel corso degli anni; negli anni Ottanta ha fondato il laboratorio di ricerca Rotta Reasearch Laboratorium, una biotech anticipatrice punto di eccellenza internazionale per lo sviluppo di nuovi farmaci, inserendo gradualmente l’arte in azienda e dedicandosi al collezionismo. Il figlio Lucio con la moglie Giovanna e la nipote Lucrezia hanno dato vita alla Fondazione portando avanti oltre a un progetto espositivo museale un progetto scientifico di scavo archeologico e una Summer School, dando vita nel 2021 al primo Master in Italia che ha visto insieme cultura e benessere. Il percorso museale è proprio improntato al benessere e alla cura della persona grazie all’arte.
Il Palazzo, acquisito dalla famiglia Rovati nel 2017 per realizzare un contenitore culturale, è stato realizzato sul finire del Settecento per volontà del Principe di Piombino, poi passato nelle mani di diversi imprenditori milanesi dai Bocconi, ai Rizzoli ai Carraro. Proprio con questi ultimi subì una grossa ristrutturazione negli Anni Sessanta con il riallestimento interno a cura di Filippo Perego.
Per la realizzazione museale l’architetto Mario Cucinella, scelto sia per la sua visione estetica innovativa sia per la sua attenzione alla sostenibilità, ha realizzato al piano ipogeo un ambiente di grande suggestione nel quale la luce sfiora e accarezza le opere con grande morbidezza. La struttura si presenta con conce di pietra per la naturale traspirazione che rendono arioso anche spazi non illuminati con luce naturale. La suggestione è ispirata alle tombe etrusche a tumulo di Cerveteri e alla Cripta di San Lorenzo a Genova di Franco Albini, con un’architettura dominata da linee curve senza spigoli. Il percorso che si snoda in modo fluido, si articola sulla sinistra con tre cupole mentre a destra troviamo un’ampia sala elissoidale.
Qui sono sistemati reperti etruschi non in ordine cronologico ma tematico – splendide le urne cinerarie – che raccontano la civiltà etrusca con un innesto di opere contemporanee. Si comincia con il rapporto con la natura dove si trova una Testa di Medusa di Arturo Martini del 1930 in ceramica vetriata. Segue la sezione dedica al rapporto con la divinità, quindi all’aristocrazia guerriera dov’è collocato un grande piatto in ceramica di Lucio Fontana che raffigura una battaglia.
Nella grande sala l’esposizione dedicata alla vita quotidiana con oggetti di uso comune, ad esempio per il banchetto dove troviamo un vaso di Pablo Picasso del 1950. Una piccola ma preziosa sezione è riservata agli ori con ad esempio due opere di Alberto Giacometti. Qui anche un pezzo particolarmente prezioso Il guerriero Cernuschi, appartenuto al milanese Cernuschi, uno dei capi delle Cinque Giornate di Milano e forse il primo collezionista di arte etrusca, la cui scoperta rappresentata una cifra tipica dell’italianità.
Da notare lo studio accurato dell’esposizione che non è affaticante e le teche che mantengono lo stile curvilinee.
Al primo piano il visitatore compie un salto nel tempo e nello stile e si viene proiettati nel Palazzo settecentesco nel quale successivi rimaneggiamenti ne hanno contaminato e arricchito lo stile. Interessante il dialogo con l’esterno, i Giardini di Porta Venezia, i palazzi adiacenti e il rapporto con la città che gratifica l’occhio. Qui per quanto possibile è stato recuperato il riallestimento degli Anni Sessanta con un’atmosfera che restituisce l’idea di
casa e il gusto del collezionista. Il primo artista invitato è l’italo americano Francesco Simeti al quale sono stati chiesti degli arazzi delle dimensioni originarie con un intervento che ha unito elementi architettonici, del bestiario etrusco quali la civetta e suoi propri temi.
Una sala è dedicata a Luigi Ontani, con una boiserie in rosa cardinale che accoglie i suoi sei acquarelli di grandi dimensioni, ibridi, tra elementi orientali tipici del suo stile, mondo etrusco e il suo stile esuberante. Sul tavolo al centro della stanza reperti non antichi non solo etruschi tra i quali la testa di un sacerdote shintoista del IV-VI secolo giapponese.
Un ambiente è occupato da un’installazione di Giulio Paolini in dialogo con un cippo etrusco. La Sala azzurra evidenzia la figurazione nel tempo di Andy Warhol per Carlo Bilotti che nel 1984 gli aveva commissionato una serigrafia per la propria cappella funebre. Qui sono raccolti anche i disegni di Augusto Guido Gatti che è stato a lungo soprintendente a Firenze con il compito di realizzare un catalogo degli affreschi delle tombe etrusche attraverso i suoi disegni. Il lavoro di una vita è stato concesso dai suoi allievi alla Fondazione in comodato.
Una sala è dedicata alle armi dove si può ammirare un prestito della collezione Merlini di Busto Arsizio, un’armatura del Cinquecento della collezione Rovati che non era un appassionato per altro di questo ambito, accanto a dei Cavalli di Giorgio De Chirico.
In una stanza si viene accolti dal grande specchio della designer londinese Marianna Kennedy che riflette una parte di un grande ritrovamento nel Ripostiglio di San Francesco vicino Bologna dove a fine Ottocento furono rinvenuti oltre 13mila pezzi esposti come alla Fondazione con un allestimento di grande modernità, come un quadro che unisce disposizioni diverse in orizzontale e verticale di armi e oggetti quotidiani antichi quali fibule.
A fianco un piccolo arazzo di Erta Ottolenghi con un’opera di Wei Wei e un elmo mettono in dialogo tempi e stili diversi.
Infine lo spazio ‘bianco’, “La vulnerabilità delle cose preziose” riservato a mostre temporanee che, fino al 29 novembre, ospita l’installazione Autobiografia in rosso (2017) di Sabrina Mezzaqui (artista della Galleria Continua), originaria dell’Appennino Tosco-emiliano che recupera l’eredità della manualità femminile lavorando con libri, carta, tessuto e ricami.
Vi succederà il lampadario etrusco del museo di Cortona esposto nella città toscana la scorsa estate.
Uscendo si nota il lampadario di Diego Giacometti fratello dello scultore Alberto e figlio del pittore Giovanni, in anteprima per la personale prevista a marzo 2023.
La Fondazione rappresenta anche uno spazio restituito alla città con un giardino aperto gratuitamente al pubblico dove c’è un piccolo Padiglione d’arte con mostre temporanee che al momento accoglie i bozzetti di preparazione per la statua che accoglie il visitatore all’entrata dedicata a Luigi Rovati, Cavaliere del Lavoro e Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana, dell’artista romano Giovanni Ducrot, statua grandeur nature in marmo statuario di Carrara.
La Fondazione ospita anche una caffetteria Bistrot e un ristorante Gourmet dello chef Andrea Aprea.
a cura di Ilaria Guidantoni