Presentato in anteprima al 37° Torino Film Festival – Sezione Festa Mobile e in arrivo nelle sale italiane solo il 25, 26 e 27 novembre, FRIDA. VIVA LA VIDA è diretto da Giovanni Troilo e prodotto da Ballandi Arts e Nexo Digital in collaborazione con Sky Arte. Il film documentario mette in luce le due anime di Frida Kahlo (1907-1954), rispettivamente, l’icona, simbolo del femminismo contemporaneo – posizione messa in dubbio da una delle testimonianze del film, Frida libertaria e sottomessa ad un tempo a Diego Ribeira – e l’artista libera nonostante le costrizioni di un corpo martoriato.
Un film suggestivo che mantiene il potere narrativo ed evocativo del cinema troppo spesso dimenticato dai documentari dedicati all’arte. Non c’è nulla di romanzato perché la figura di Frida è solo evocata con immagini suggestive, quasi oniriche e narrata da testimonianze di persone a lei vicine e dalla voce narrante di Asia Argento.
Interessante anche il lato pop con interventi fumettistici e piccoli inserti di cartoni animati, a cominciare dalle scritte fucsia che indicano le sessioni del film.
Il racconto è articolato su più piani: innanzi tutto la vita biografica, non solo della protagonista, ma dello scenario che diventa anche un racconto politico del Messico, quello delle lotte contadine e quello della cultura tradizionale indigena nutrita dalla magia e da una sorta di panteismo, di matriarcato naturalistico; il mondo statunitense che Frida non ama e nel quale è costretta a vivere per una parte della sua vita; e i riflessi internazionali come il processo a Trockiij che si rifugerà in Messico, giudicato in URSS un controrivoluzionario chiedendo poi asilo politico. C’è il piano psicologico di Frida donna, forte, innamorata della vita anche se dice che la sua fu orribile e che la pittura prese il posto di tante cose che le erano state tolte a cominciare dalla possibilità di avere un figlio: la sua esistenza fu costellata di aborti tragici rappresentati in molti quadri. Al centro della sua vita ci fu il dolore che non ha nulla di romantico ma che è disgustoso si dice nel film anche se un passaggio necessario come nel film racconta un pittore di ex voto. Infine c’è la Frida pittrice che nell’ultima parte della sua vita fu anche riconosciuta come artista di talento ed ebbe molte committenze, fino ad una personale dedicata quando il mondo della critica intuì che le restava poco da vivere e che la stessa Frida vive come un suo funerale anticipato.
Parlare di Frida, che in Italia è certamente più nota di Diego Ribeira, ai tempi il più importante pittore messicano, senza il marito dal quale sfinita per i continui tradimenti (anche se erano reciproci e Frida non disegnò amanti donne tra le varie fughe), dal quale divorziò (dopo la scoperta di una relazione con la sorella Cristina) e che poi risposò, è impossibile. I due malgrado una relazione difficile, tormentata e certamente aperta, formarono per alcuni aspetti una coppia simbiotica, nell’arte, nella vita e anche nella vita sociale e nell’impegno civile, politico.
Frida, colpita dalla poliomielite a sei anni e vittima di un incidente stradale che la lascerà invalida a diciotto, convisse sempre con dolori atroci che la perseguitarono fino alla morte, tanto che faranno parte della sua arte, stampelle, busti come gabbie, ferite, cicatrici, protesi, fino al sangue che zampilla e alle lacrime quasi sempre presente nelle sue auto rappresentazioni. Ciononostante, grazie alla sua pittura ma anche ai suoi scritti, al suo modo di vestire, al suo stile inconfondibile, nel corso degli anni la Kahlo è diventata un modello di riferimento capace di influenzare artisti, musicisti, stilisti e soprattutto un simbolo di vita e di vitalismo, ispirato in parte dalla cultura indigena e dal protagonismo dell’elemento femminile dove donna e natura, albero si fondono nelle forme e nel senso. La sua stessa balia che non potendola ricordare, dipinge senza volto, con una maschera della civiltà precolombiana, ha un seno che diventa pianta e fiori.
L’importanza della sua ha superato perfino la sua grandezza grazie all’intensità e la determinazione con cui ha affrontato una vita segnata dalla sofferenza. Il dolore, pur essendo materia essenziale del suo lavoro, non basta infatti a spiegare le ragioni di un’affermazione tanto estesa e unanime: nelle opere di Frida c’è un legame perenne anche con la forza interiore e l’amore, con l’energia vitale della sua terra e dei suoi colori.
La scelta dei costumi spagnoli e indigeni sono presenti come due anime, due culture, di una stessa persona, come emerge chiaramente nel suo quadro forse più famoso, Le due Frida. Questo amore per la cultura originaria del Messico, condivisa con Diego Ribeira, fu all’origine del loro collezionismo che ha lasciato una grande raccolta e una testimonianza della cultura locale come anche la loro casa, fatta di due case gemelle e indipendenti, dove sono raccolti oggetti della tradizione e in particolare abiti e gioielli tradizionali.
La colonna sonora del docu-film (Nexo Digital/Sony Masterworks), firmata dal compositore e pianista Remo Anzovino, è disponibile su tutte le piattaforme digitali dal 22 novembre. In questo caso Anzovino ha anche scritto la canzone Yo te cielo (cancion para Frida), il cui titolo proviene da una celebre lettera di Frida, cantata da Yasemin Sannino (già al lavoro con Ferzan Ozpetek su Le fate ignoranti) e arricchita dalla voce della tromba del grande Flavio Boltro.
Suggestiva anche la fotografia con molte riprese dall’altro.
La Grande Arte al Cinema è un progetto originale ed esclusivo di Nexo Digital e per la stagione 2019 è distribuita in esclusiva per l’Italia da Nexo Digital con i media partner Radio Capital, Sky Arte e MYmovies.it.
a cura di Ilaria Guidantoni