La grande mostra appena inaugurata al Museo Civico San Domenico di Forlì ci racconta la storia di quel gruppo di artisti britannici, tutti ventenni e ribelli, che nell’Ottocento caddero sotto la fascinazione dell’arte rinascimentale italiana.
La mostra, fino al 30 giugno, è diretta da Gianfranco Brunelli ed è curata da Elizabeth Prettejohn, Peter Trippi, Cristina Acidini e Francesco Parisi con Tim Barringer, Stephen Calloway, Charlotte Gere, Véronique Gerard Powell e Paola Refice. E annovera oltre 320 opere giunte da tutto il mondo.
Una storia d’amore, come la definisce Elizabeth Prettejohn, massima esperta dei Preraffaelliti e curatrice della mostra, che comincia a manifestarsi già all’inizio dell’Ottocento, ancora prima che il termine Rinascimento fosse di uso corrente tra gli storici dell’arte.
Un amore divenuto anche più forte dopo l’ascesa al trono della regina Vittoria nel 1837 quando cominciò a essere istillato anche nelle istituzioni britanniche attraverso le Università, gli editori, le case d’asta e i mercanti di stampe. E finì per coinvolgere persone di ogni classe e categoria, inclusi la regina Vittoria e il principe consorte Alberto, appassionato d’arte, insieme a poeti, romanzieri, critici, storici e grandi imprenditori, il cui crescente potere economico alimentava le arti, l’industria e il commercio dell’impero britannico.
Arriviamo circa a metà Ottocento e l’amore per il Rinascimento italiano investe in pieno quegli artisti e designer britannici che guadagnavano fama e successi. Questo ci racconta Elizabeth Prettejohn con poche pennellate, è il caso di dirlo, e ci fa notare che, se nella letteratura Shakespeare era da tempo famoso e celebrato, le arti visive e decorative fanno la loro comparsa solo nell’Ottocento richiamando l’attenzione di pubblico e critici.
L’avventura di questo giovane gruppo di artisti, con una forte sensibilità sociale e politica, prende l’avvio nel 1848 sull’onda della stessa ribellione popolare che invocava “la carta del popolo” e chiedeva democrazia, suffragio, diritti in una società disumanizzata, sfigurata dal capitalismo e segnata dalle diseguaglianze. Sensibili ai problemi sociali, i rappresentanti di questa prima generazione di questo movimento artistico, sono attratti dalle scoperte scientifiche ma spaventati dalla industrializzazione che si sostituisce all’uomo e ne spegne l’anima e l’immaginazione….
Nasce la Confraternita dei Preraffaelliti (Pre-Raphaelite Brotherhood) con Dante Gabriel Rossetti, John Everett Millais, William Hunt, William Morris con la sua manifattura di oggetti d’arredamento, Frederic Leighton, presidente della Royal Academy, George Frederic Watts, Edward Burne-Jones, tutti protagonisti di mostre internazionali negli ultimi vent’anni dell’Ottocento.
Non mancano significative presenze femminili con le artiste Elizabeth Siddal, Jane Herringham, Beatrice Parsons, Marianne Stokes, Evelin de Morgan, non solo muse, ma attive animatrici del gruppo, che contribuirono attivamente a plasmarne l’identità estetica e le cui opere sono esposte nella mostra.
Se si può fissare l’inizio della avventura e la data di nascita del movimento, non è invece possibile fissare una possibile data alla sua fine, quando lo sgretolarsi della unione artistica, di stile e di estetica prese il sopravvento.
I preraffaelliti furono longevi, il corso della loro produzione artistica si è snodato per vari decenni e la loro estetica si estese ai generi dell’arredamento, alle arti decorative, alla illustrazione di libri per poi trapassare nel simbolismo e decadentismo, La terza generazione entrò nel nuovo secolo (alcune opere di John William Waterhouse portano la data del 1915), ben dopo lo scioglimento della Confraternita. Ma ciascuno di loro, anche quegli artisti talvolta poco noti al grande pubblico, sono stati capaci di restituire con grande chiarezza e personalità i tratti caratteristici di questo passaggio storico.
Erano intransigenti, divisi tra sogno e realtà, volevano recuperare lo stile e l’autenticità del passato ma senza dimenticare la propria appartenenza alla età contemporanea. In breve, riflettevano le contraddizioni della società vittoriana. E forse è stato a causa di queste contraddizioni e incoerenze che la critica non ha riconosciuto loro un vero ruolo nel rinnovamento della pittura dell’Ottocento.
La loro arte fu influenzata in maniera significativa, come detto, dalla passione per l’arte italiana del primo Rinascimento. Lo stesso accadde per i critici di quel periodo, John Ruskin e Anna Jameson, Walter Pater, John Addington Symonds e Vernon Lee, che scrissero testi fondamentali sul Rinascimento nella seconda metà dell’Ottocento.
Amavano Dante e Shakespeare, al punto da ispirarsi nella pittura ai loro sonetti e poesie, crebbero in un clima da revival medioevale e gotico, con l’idea di ritrovare spiritualità, semplicità e romanticismo che le macchine avevano distrutto. La purezza antiaccademica che ricercavano la ritrovano nelle opere create prima di Raffaello Sanzio. Non amavano Rubens ma Beato Angelico e poi Giotto, Mantegna e Piero della Francesca. L’Italia resta per tutti loro punto di riferimento e chi può va a visitarla e scoprirla e i dipinti sono impregnati delle esperienze personali del viaggio e dei ricordi.
I loro quadri sono luminosi, freschi, con colori chiari e puri e una nitida messa a fuoco per contrasto con le tinte cupe e la densa pittura ad olio del barocco prediletta dalla Royal Academy. Nel loro ideale stilistico c’è una pittura primitiva che preferisce il vero al bello.
Le opere di Rossetti con L’infanzia di Maria e di Millais con Cristo in casa dei genitori disorientano la critica avversa ai soggetti religiosi cattolici, ma il critico John Ruskin, teorico del movimento, legittima la tendenza a cogliere la verità in una rappresentazione anche se brutta e sgraziata. L’opera Love among the ruins di Edward Burne-Jones, un capolavoro che suscita consensi, si riferisce alla omonima poesia di Robert Browning, e offre una singolare quanto bella mescolanza di citazioni classiche, da Mantegna a Piero della Francesca e con una propria atmosfera.
Burne-Jones con i suoi arazzi del Santo Graal continuerà a ispirare altri artisti appartenenti alle successive generazioni.
L’influenza e il gusto preraffaellita arriveranno fino alla fine dell’Ottocento e inizi del Novecento con artisti come Cowper e Shannon, oltrepassando la fine dell’epoca vittoriana conclusasi con la morte della regina Vittoria nel 1901, e con una appendice italiana, fondata nel 1886 da Giovanni Costa, il cui nome di punta è Aristide Sartorio. Ma ormai da tempo si era verificata una frattura fra i molti esponenti che avevano abbandonato le tematiche del gruppo per seguire una propria scelta estetica.
Come detto, la mostra, con oltre 320 opere giunte da tutto il mondo, rappresenta una eccezionale unicità, e ci conduce in un viaggio straordinario attraverso l’Ottocento, dal Medioevo al Rinascimento italiano fino al Rinascimento Moderno, movimento che ha rivoluzionato l’Inghilterra vittoriana.
Con uno sguardo al Rinascimento storico, premessa di questo nuovo Rinascimento artistico, la colonna portante di questa esposizione è la numerosa presenza dei grandi maestri del passato da Beato Angelico, a Giovanni Bellini, da Benozzo Gozzoli a Filippo Lippi e a Michelangelo, e ancora Guido Reni, Luca Signorelli, Mantegna, Veronese, Verrocchio, Cosimo Rosselli, Palma il Vecchio, Filippino Lippi, che già da soli basterebbero a creare una mostra, affiancati a tutti gli inglesi che hanno popolato le ondate diverse del movimento preraffaellita, da Dante Gabriel Rossetti, John Everett Millais, William Holman Hunt, John Ruskin, Edward Burne-Jones, William Morris, Ford Madox Brown, Elizabeth Siddal, Evelyn De Morgan, John William Waterhouse, George Frederic Watts, Henry Holiday, William Dyce, Charles Haslewood Shannon, Frederic Leighton, Simeon Solomon, Charles Ricketts, Frederick Sandys.
a cura di Daniela di Monaco