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Alla Galleria TGM – Tunis Goulette Marsa, del quartiere residenziale de La Marsa a nord della capitale tunisina un’esposizione fotografica dedicata all’esplorazione del corpo. La Galleria ha la sigla del trenino che da un secolo collega il centro di Tunisi alla Goulette, il porto della città, fino alla Marsa passando da Cartagine e Sidi Bou Saïd ed è un ampio spazio accanto alla stazione locale, termine corsa di questa metropolitana di superficie ante litteram. L’occasione della nostra presenza a Tunisi ha coinciso con l’inaugurazione dell’esposizione Corps (Dés)-Accords, un lavoro collettivo che ha visto riuniti Marianna Catzaras, nata in Tunisia da genitori greci, il cui lavoro lo stiamo seguendo da anni, anche per la sua presenza ricorrente in Italia (sarà presto a Firenze per una personale); Héla Ammar, Meriem Bourdebala, Michele Giliberti, Kais Ben Farhat e Firas Ben Ali. La Galleria ha esordito con una mostra dedicata alla scuola di Tunisi, la più importante corrente e forse l’unico vero movimento riconosciuto e riconoscibile della pittura tunisina, dei primi decenni del secolo scorso che si è fortemente intrecciata con la pittura italiana del periodo, Moses Levy in testa; per poi continuare ad esempio con un lavoro dedicato proprio al ‘treno di Tunisi’ in collaborazione con gli allievi dell’École des Beaux-Arts di Tunisi.
L’attenzione al corpo da tempo non è più quella che si rivolge ad un soggetto accademico ma diventa allo stesso tempo soggetto-oggetto e fonte di esplorazione, oltre la pittura. La fotografia, grazie soprattutto al digitale, consente infatti di accedere alla performance, di non ritrarre semplicemente ma creare a partire da un’idea un quadro espositivo o una messa in scena. L’estetica intesa come effetto esteticamente apprezzabile è alle spalle da molto tempo, come ha sottolineato la Curatrice Rim Ben Boubaker, perché “il corpo è un archivio di cose che ci
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supera, che sono più grandi di noi…”.
Marianne Catzaras, poeta oltre che fotografa, consacra il suo lavoro alle minoranze, quelle dei neri dell’isola di Jerba ad esempio, recentemente, come in questa mostra, attraverso i corpi pietrificati che conservano la memoria, le statue greche o italiane, che rappresentano il suo vagare nel Mediterraneo che rappresenta la sua vera patria. Nel suo lavoro c’è la nostalgia in senso greco, il dolore del ritorno, termine che non a caso è stato creato in Germania e che solo da lontano di può avvertire come Ulisse nel suo rimandare il ritorno a Itaca. Il suo fluire sofferente sembra trovare pace in questi scatti che rinunciano al colore in senso stretto per pietrificarsi in una memoria solida che ancora ma dalla quale a tratti si cerca di liberarsi.
Meriem Bourderbala, nata nel 1960 a Tunisi che vive e lavora fra Tunisi e Parigi, dove vanta una presenza all’Institu du Monde Arabe in occasione della sua prima personale nel 1987, nella sua arte riflette l’appartenenza alle due culture e lo sguardo occidentale sul mondo arabo, in particolare femminile, con una proposta di corpi che velandosi nella trasparenza dei drappeggi si velano e sembrano muoversi pur nell’istantaneità che blocca il corpo in una posa. L’effetto interessante, che ha una grazia estetica non estetizzante, è che la sintesi è fluida, rimessa costantemente in discussione, un dialogo aperto che si nutre di approcci diversi.
Kais Ben Farhat, diplomato in fotografia all’Accademia delle Arti di Cartagine nel 2009, inizia a fare teatro e così nascono delle serie in bianco e nero, nel quale ritocca il colore e il contrasto, a partire dal movimento reso nello
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scatto con una successione veloce di immagini, con l’idea di sfidare l’essenza stessa della fotografia che è immobilizzazione, cristallizzazione, per restituire il senso dell’istante in bilico, quasi nulla, se astratto dal suo divenire.
I.G.