Tutto comincia, per Josephine Baker, al Théâtre des Champs Elysées quando, nel 1925, Rolf de Mare, che dirigeva il teatro, decide di fare venire a Parigi uno spettacolo “nero” di oltre Atlantico su consiglio del pittore Fernand Léger, ammiratore dell’”art nègre”.
In questo teatro, la prima del Music Hall, intitolato “Revue nègre”, avviene il 2 ottobre . Josephine debutta in una “danse sauvage” come viene definita dalla stampa, seminuda, una cintura di piuma come solo vestito. Per tutti è una rivelazione. Josephine Baker impone una silhouette piena e sciolta e una gestualità tonica che lega il charleston con i ritmi africani.
Paul Colin, che diventerà un famosissimo “affichiste”, debutta facendo l’affiche della “Revue nègre” che coglie ammirevolmente le forme, il movimento della vedette dello spettacolo di Rolf de Mare. Appena arrivato da Nancy , la sua città di origine, a 18 anni, gli vengono commissionati dal Théâtre dei Champs Elysées otto manifesti e due scenografie, tutti mesi. Questi manifesti hanno aiutato a lanciare Josephine ed hanno contribuito alla carriera del pittore forte di 1200 affiches e 800 scenografie che illustrano sia la vita notturna di Parigi, sia la publicità dell’epoca ed anche la vita politica come, per esempio, l’affiche della Liberazione della Francia , della resa di Dien Bien Phu o dell’invasione tedesca della Norvegia.
Il pittore descrive Josephine nel suo libro “La Croute” in questi termini: “Vestita di stracci, sembrava un canguro pugile, una donna caucciù, la moglie di Tarzan. Si contorceva, strizzava gli occhi, si scuoteva, attraversava il palcoscenico a quattro zampe, gonfiava le guancie , il suo deretano diventava il centro mobile delle sue evoluzioni sulla scena. Poi nuda, reni cinti di piume verdi, il cranio laccato di nero, il fremere del suo ventre, delle sue cosce sembrava un richiamo alla libidine. La rivedo frenetica, ondulante, mossa dai suoni esasperati dei sassofoni. Le danze della Carolina del Sud annunciavano forse l’era di una nuova civiltà che si sarebbe disfatta di intralci millenari?”
Nel 1927 esce una serie di 44 disegni di Paul Colin, che aveva lanciato Josephine due anni prima, raccolti in un portfolio ormai famosissimo, intitolato “Le Tumulte noir”. Illustrano con fervore le sonorità jazz, la musica sincopata Charleston, i movimenti del corpo di questa ballerina di Harlem, questa star che per quattordici anni trionfa sulle scene parigine. Fra il 1928 ed il 1930, viene scritturata in 25 paesi dall’Europa all’America del sud. Racconta che, a Santiago, viene accolta, come in tutta Europa, da 25 mila persone che la aspettano.
Ritorna a Parigi, si esibisce al Casino de Paris, alle Folies-Bergères, al Club des Champs Elysées. Balla, e adesso canta. Le sue più famose canzoni sono: “ J’ai deux amours , mon pays et Paris”, ” La Créole” di Offenbach, “Dans mon village….”
E poi la guerra arriva. Viene arruolata come infermiera dei servizi sanitari della Croce Rossa nonché nei servizi segreti. Viene nominata Luogotenente. Riprende la sua attività artistica al servizio dell’esercito come paravento da Algeri a Beyrouth, da Casablanca a Benghazi, “attraverso le sabbie del deserto, su piste minate con i cavalieri della France libre”. “Mi sgattaiolavo”, dice, “come un anguilla con piccoli pezzi di carta segreti, specie di bigodini, spillati gentilmente sotto il mio vestito. […] Però non sono stata spia. Non è nei miei modi”. Viene chiamata nel servizio di Divertimento alle Forze armate: “Offrivo un po’ di gioia, un po’ di musica agli Alleati. […] Canto per i combattenti, non per i soldi”, dice nelle sue Mémoires. “ Chiedevo una cosa sola, la minima, servire il paese nei confronti del quale avrò sempre un debito di riconoscenza anche se devo sacrificare la mia vita. La Francia mi ha fatto ciò che sono al di là di tutti pregiudizi”.
Ed ecco la riconoscenza della Francia con la sepoltura al Panthéon a fine novembre di questo mese per la felicità data durante “les Années folles”, i servizi resi durante la guerra ma anche per l’esempio di assimilazione che la Francia non riesce più ad ottenere.
a cura di Catherine Douël