“La grandezza della lingua italiana che è nell’essenza la stessa da secoli, dal padre Dante che dette una lingua alla Nazione fino a Manzoni, padre della lingua dello Stato moderno”. Una lettura scenica a cura di Massimiliano Finazzer Flory a Palazzo Cusani, nel cuore di Brera a Milano, che si è tenuta lunedì 15 gennaio, racconta la modulazione così ricca di una lingua chiudendo il cerchio. Un inizio che prende avvio nel Novecento, nel 1909, con il primo Marinetti ancora lirico per poi chiudere il viaggio tra le parole con il testo forse più noto di Filippo Tommaso Marinetti, con il suo volto più noto di rottura, rispetto alla storia con il mito della velocità, per poi tornare al volgare umbro di San Francesco nel Mille e Duecento.
La lettura si snoda sul tema delle stelle da Dante del I Canto del Purgatorio per ridiscendere all’Inferno fino al Canto XXVI e il personaggio di Ulisse, un’Odissea lontana da quella omerica (Dante non conosceva il greco né l’Odissea nelle versioni latine e tradotte del suo tempo) attraverso Leonardo dell’Ultima cena, fino a Manzoni, quindi a Italo Calvino che nel 1972 scrisse Le città invisibili dove l’esperienza della città rende visibile quella centralità che nel Novecento assume la concentrazione urbana, il senso della comunità, dello sviluppo ma anche il nodo di quello che oggi si definisce sostenibilità.
Un passaggio letto da Finazzer coglie quel lato ironico e tragico della città che si rivela non tanto per quel che produce ma per quello che butta vita e chissà dove finisce quando passo lo “spazzaturaio”. Nella versatilità della lingua italiana Finazzer propone un inno alla natura che si rivela anche attraverso la musica che lo accompagna al pianoforte e al violino Guarnieri 1706 con una scelta che a volte si sposa come Mascagni con Manzoni, a volte anticipa e a volte gioca con un contrasto di grande suggestione mai didascalico.
Giocando sulla suggestione della voce usata come uno strumento musicale, un assolo nel quale voce e gestualità del corpo si compenetrano, l’emozione si intreccia con qualche pillola didascalica riportandoci sui banchi di scuola, con la voglia di trasmettere soprattutto alle nuove generazioni la memoria di una lingua che nel mondo è invidiata per la sua ricchezza letteraria, l’ascendenza da due lingue classiche e la sua musicalità per la quale il Belpaese è unico. Non è forse un caso che la lingua italiana sia sopravvissuta a livello internazionale proprio grazie all’Opera lirica. Dietro la leggerezza del racconto un lavoro di tessitura fine, di ricerca di un filo, di brani pregnanti di senso e di uno studio profondo sulle parole, il senso e la sonorità. Un viaggio iniziato alla Camera dei Deputati che potrebbe diventare un percorso di autocoscienza e di recupero della coralità della lingua e della lettura ad alta voce che diventa declamazione, preghiera e che restituisce la dimensione dell’oralità originaria.
a cura di Ilaria Guidantoni