
È nata a novembre 2022 Nashira Gallery di Ludovica Bifulco, appartenente a una famiglia di autorevoli collezionisti nella centrale via Vincenzo Monti, con una formula originale che vede su due piani, rispettivamente, al primo piano la vera e propria galleria affidata alla titolare Ludovica Bifulco e al secondo la casa dei collezionisti importanti con oltre 500 opere, una significativa presenza di arte africana e il progetto di creare una Fondazione per esporre la collezione, divenuta una sorta di home gallery per mostre collettive e collaborazioni. Si veda qui precedente di bebeez.
Con Mariella Bettineschi al via il format Incroci
Frutto della collaborazione tra z2o e Nashira Gallery, la personale di Mariella Bettineschi L’era successiva e altri racconti apre il format Incroci, un progetto nato dalla volontà di dare vita a un confronto tra realtà artistiche e culturali italiane e internazionali; l’artista presenta a Milano un ampio corpus di opere che spazia dagli anni Ottanta ai giorni nostri. L’esposizione, presentata già a Roma presso z2o Sara Zanin segnando il ritorno nella Capitale dell’artista, è allestita nella parte degli uffici della Nashira Gallery e al primo piano con un percorso non cronologico attraverso le variegate fasi della sua ricerca. La mostra prende le mosse appunto dalla serie L’era successiva (2008 – on going) –pubblicata in catalogo per i tipi di Electa nel 2019 e protagonista, nel 2022, della a/w cruise di Dior – arrivando, in un percorso a ritroso marcato dalle discontinuità cronologiche che l’artista ha sempre avvalorato nella propria ricerca, a lambire la produzione degli anni Ottanta con i Morbidi, i Piumari e le Erme, passando per la serie degli Appunti (1994) e i ricami Nuovi racconti (2020), per arrivare alla serie inedita di Madre (2018) e alle opere più recenti, datate al 2022. Ne L’era successiva il fulcro è costituito, come spesso accade nell’opera di Mariella Bettineschi, da una riflessione che coinvolge in prima istanza l’universo femminile, come portatore di uno sguardo altro, in cui la presenzialità della donna acquista un ruolo attivo, soggettivo, di affrancamento dalla storia del passato; allo stesso tempo, la Biblioteca come deposito di

conoscenza e la Natura come sostanziale ritorno dell’essere umano al contatto con un universo costellato di percezioni sensibili, fanno da contrappunti agli sguardi femminili che attraversano gli spazi della galleria. Allo stesso modo, nella serie di opere su carta intitolate Madre – mostrate per la prima volta in quest’occasione – è ancora la figura femminile a essere esaltata nella sua funzione archetipica di Madre e Generatrice che, alla stregua di una Madonna con Bambino, tiene tra le braccia degli animali, valorizzando così l’aspetto intrinsecamente protettivo e generativo a cui queste immagini rimandano. Abbracciando con la propria sperimentazione un ampio periodo, che la vede dapprima vicina ai gruppi femministi milanesi – dai quali ben presto si distaccherà intuendo il rischio di una omogeneizzazione della ricerca – Bettineschi ha condotto sin dagli anni Settanta un percorso solitario volto all’implementazione di un linguaggio proprio, un nuovo lemma attraverso cui esprimere il proprio ruolo di donna e artista nel mondo. La serie dei Piumari, delle vere e proprie sculture che prendono il piano della parete facendosi spazio attraverso i toni del bianco e dell’oro; e ancora, i cuscini tessuti a mano, Nuovi racconti, che mostrano figure immaginifiche e antropomorfe insieme alle piccole iscrizioni dei Morbidi, in grado di assumere il ruolo di statement artistici e di vita, costituiscono i segni tangibili di un percorso che rifugge da sempre la perfetta riconoscibilità. L’esposizione sottolinea dunque un interesse non episodico per l’utilizzo di media differenti attraverso cui Bettineschi ha implementato una ricerca formale ed espressiva assolutamente personali. Da un lato, l’importanza ascritta al “saper fare”, quella perizia tecnica di accademica memoria che ha consentito all’artista, nel corso degli anni, di districarsi tra strumenti, tecniche e soluzioni formali disparate per arrivare a una sintesi compiuta del proprio universo immaginifico; dall’altro, un’infaticabile ricerca legata a quella discontinuità a-temporale che fa della sua intera produzione un unicum per quanto riguarda l’ampiezza dei contenuti e dei topoi affrontati. L’arte per Bettineschi è perdita e disorientamento, conoscenza del mondo e del sé, conoscenza del non detto attraverso il superamento costante delle barriere convenzionali di spazio e tempo. Come dalla folgorazione nata per Duchamp, dall’incontro con la sua opera a Philadelphia, per Bettineschi la quarta dimensione è tutta reale: garantisce l’ingresso in uno spazio rinnovato in cui le regole del gioco sono tutte da definirsi. È così che nasce un racconto frastagliato e continuo, una narrazione lunga un cinquantennio che sfugge a qualsiasi tentativo di definizione univoca. L’arte, quindi, coagula uno stato fluido, è priva di costanti riconoscibili, è disorientamento e perdita.

Chi è Mariella Bettineschi
Nata a Brescia nel 1948, si è confrontata, con consapevolezza, con il proprio ruolo di donna e artista ancor prima di affermarsi sulla scena nazionale, seguendo una vocazione autonoma all’interno di un ambiente marcatamente maschile: “Posizionarsi ai confini, attivare uno sguardo allucinato, un’attenzione primitiva sulle cose, l’immagine arriva dalla periferia, si rivela per il suo “sfavillio”, è unica, non cerca connessioni, affinità, famiglie. […] Ma l’immagine può anche biforcarsi, diventare labirinto: allora si moltiplica, ingoia sé stessa e rigetta il suo opposto, tradisce i presupposti, approda ad esiti sconosciuti”, scrive nel 1999. La partecipazione nel 1988 alla XLIII Biennale di Venezia su invito di Achille Bonito Oliva, nel 1989 il trasferimento a Berlino – città in cui l’artista risiederà fino al 1995, sino ad arrivare al successo della cruise di Dior del 2022 con la presentazione di un’installazione immersiva da L’era successiva, sono soltanto alcune delle tappe salienti di un percorso artistico lungo e frastagliato.
Dove nascono gli uccelli la mostra installativa di Andreas Zampella

Mostra ben scollegata la definisce l’autore, artista di Cava dei Tirreni in provincia di Salerno, classe 1989, formatosi all’Accademia di Belle Arti di Napoli, che lui stesso ha curato e allestito, perché ogni opera ha un suo senso proprio e si può, forse è consigliato, vedere da sola. A tal fine Andreas ha realizzato una struttura che separa le opere, creando sette ‘stanze’ che nello stesso tempo sono unite. L’autore non è propriamente pittore, o scultore o disegnatore o performer ma riunisce tutti gli aspetti artistici per creare una situazione immersiva di grande suggestione con un’alea di inquietudine. Interessante la tecnica che conferisce spessore alle tele e una forte matericità, realizzata con terre e olio su tela. La raccolta e la scelta di terre e argille, questa volta del promontorio di Agliano è curata dallo stesso Andreas che tiene molto a questa fase del suo lavoro. Tutto lo spazio a disposizione è utilizzato con il posizionamento di Composizione su due tre piedi che crea il ritmo, quasi una partitura. All’ingresso un quadro di piccolo formato Argilla del mio cuor, che rappresenta un buco nella pelle e cerca la carne viva, quello che c’è sotto in una forma come altre delle sue opere dove natura e uomo in parte si confondono. A proposito di rappresentazione, chiedendogli che cosa racconti nelle sue opere, l’artista ci ha risposto che per lui “il concetto è molto complesso se non complicato. Forse dovrei parlare più di osservazione della realtà da cui nasce la rappresentazione”. Anche il titolo ha una sua particolarità perché Dove nascono gli uccelli ci ha raccontato che è la traduzione poetica di Dove nascono le parole, quella parola che all’artista manca e che si augura nasca dai suoi stessi quadri e opere. L’associazione con l’uccello è legata al suo significato di messaggero come nell’opera in cui in primo piano c’è una gola, luogo in cui si generano i suoi e le parole che possono far nascere mondi, narrazioni, il luogo primordiale che dà il nome alla mostra appunto e forse anche il senso dell’arte in termini di creazione. La parola diventa reale se si fa carne, se ci anima non se dice, se è semplice verbalizzazione. Le nature morte sono un soggetto classico della pittura e in particolare della pittura italiana a cominciare dagli strumenti musicali del Seicento di Evaristo Baschenis fino alla semplicità metafisica di Giorgio Morandi. Forse per la sua natura morta, viva, anche nell’autodistruzione, come gli oggetti in fiamme su un frigorifero sono un unicum.
a cura di Ilaria Guidantoni