La creatività nel mondo del cacao apre uno spazio nuovo di mercato e di cultura di un prodotto che da sempre, come il vino, con il quale ha non poche affinità, è adorato o demonizzato, bevanda degli dei presso gli Aztechi, demonizzato dalla Chiesa nel Settecento.
Noalya, azienda della famiglia Tessieri, con sede a Ponsacco in provincia di Pisa, a due passi da Pontedera, simbolo dell’azienda che sposa la cultura con la realtà della Fondazione Piaggio, nella zona industriale, rappresenta una realtà che ha dato forma a un sogno creando impresa. Accanto al marchio Noalya del cioccolato coltivato infatti c’è la Scuola Tessieri di alta formazione nel settore della gastronomia e ospitalità con master class a tema.
L’attenzione alla cultura e alla formazione è il fil rouge della filosofia Noalya, a cominciare dal nome la cui radice Noa si richiama a Noè, il primo viticoltore della storia, all’idea del viaggio e della terra di Virgilio. Noa, parola che in diverse lingue, nelle quali si pronuncia più o meno nello stesso modo, diventa così un simbolo universale, come del resto il cioccolato che evoca piacere, assumendo diversi significati a seconda delle culture, quale ad esempio quello di essere messaggero di pace.
Quello nel cioccolato è un viaggio nel tempo e nello spazio che BeBeez ha avuto l’occasione di compiere insieme al fondatore Alessio Tessieri, che ha realizzato il suo sogno nato quando da bambino scorrazzava con la biciclettina tra gli scaffali del magazzino dell’azienda di famiglia distributrice di ingredienti per pasticceria. Lì la folgorazione dei profumi che lo ha portato a trasformare l’azienda di famiglia nata sessant’anni fa, un’impresa sfidante, data anche l’instabilità del mercato. Nel tempo così, dalla distribuzione di soli ingredienti per pasticceria, diventa un’azienda importante, affermata in Italia, e Noalya mette a punto un ricco catalogo che presenta, non a caso, la sua collezione di 33 tavolette come libri di una libreria. In effetti attraverso i diversi prodotti si può leggere il mondo, visto dalla parte del cioccolato.
La collezione è il risultato di oltre vent’anni di passione e in particolare di amore per il cacao criollo esploso in Venezuela. È qui che ha acquistato, a quattr’ore di distanza da Caracas, terre che erano usate per pascolo trasformandole nella piantagione di cacao che oggi sono il cuore pulsante della gamma Noalya, cioccolato coltivato. I Tessieri diventano pertanto vignerons del cioccolato, selezionando le piante, seguendone la coltivazione, recuperando varietà dimenticate e poi portando avanti tutto il processo dalla lavorazione delle fave di cacao come fermentazione ed essiccazione, dalla trasformazione con la tostatura all’affinamento con il concaggio, alla creazione della tavoletta, quindi al racconto del prodotto stesso.
Come per il vino, ogni tipo di cacao e ogni territorio ha una sua specificità che va conosciuta, saputa valorizzare e protetta. Ad esempio, in Madagascar è stata fondamentale la scelta dei legni per la costruzione delle casse di fermentazione che aiuta l’esaltazione nel cacao delle tipiche note aromatiche: frutti rossi maturi come prugna e mora, frutti freschi come lampone e mirtillo con intriganti note speziate. Per il puro criollo venezuelano, dalle inconfondibili note di frutta secca, come mandorle e nocciole tostate, in cui la ricca fertilità della terra rilascia alla pianta ottime proprietà nutritive, viene arricchito con il compost naturale prodotto nella stessa piantagione. E poi Trinidad, con un terroir ricchissimo di sali minerali, in cui la selezione di piante di cacao trinitario permette di realizzare un cioccolato particolare, dai sentori di frutta secca tostata, biscotto e castagne, con un finale fresco e sapido.
L’origine del Fervolato
A un certo punto nasce l’idea di sperimentare durante la fermentazione l’incontro con il mosto proprio dall’osservazione del processo di vinificazione. Inizia una lunga avventura, cinque anni di prove e di investimenti, finalmente l’incontro desiderato che si rivela però irripetibile e dunque ancora nuove sperimentazioni, finché il 24 ottobre scorso nasce un unicum, il Fervolato, neologismo, registrato insieme al processo, da fervore, quello manifestato in una fermentazione, interrotta e riavviata, che diventa una triplice fermentazione.
Questa fase è la prima del processo, dopo la raccolta delle cabosse, il frutto che all’interno contiene la polpa e il cacao, un seme avvolto in una mucillagine. Una volta estratti i semi vengono messi in casse di legno, coperti con foglie di banano e qui inizia la fermentazione. Il cacao che darà origine al Fervolato subirà un’inibizione della fermentazione che riprenderà soltanto una volta in Italia quando sarà all’interno del mosto che nella prima edizione è nelle uve passite di Sagrantino dell’azienda Arnaldo Caprai Società Agricola che ha sposato l’idea. Tra l’altro l’azienda umbra di Montefalco, in provincia di Perugia, oggi sotto la direzione di Marco Caprai, la cui amicizia con Alessio Tessieri è di lunga data, ha riscoperto le uve Sagrantino ed è una realtà produttiva fortemente legata alla cultura del territorio per l’esperienza nel settore del Cashmere e della valorizzazione museale del Merletto e dell’arte della tessitura.
I “lieviti” addormentati sono risvegliati al contatto con il mosto e riprende la fermentazione, una seconda, che si accompagna con quella del mosto stesso in uno scambio che crea una sinfonia di profumi e sapori, cui segue una seconda essiccazione, quindi la tostatura e la sgranellatura rigorosamente a mano che occupa due persone diversi giorni, lavoro di grande pazienza e delicatezza, svolto da mani femminili che rendono il prodotto finale raffinato e importante anche nel prezzo. Segue l’aggiunta di zucchero quindi la miscelazione. La raffinazione, il concaggio e lo stampaggio.
Il risultato finale è una tavoletta decagonale da 70 grammi divisibile in 10 triangoli isosceli, forma che allude alla perfezione del numero dieci del poligono che la tradizione rinascimentale descrive come poligono stellato, e del 3 del triangolo, con una ricorrenza del numero nella collezione Noalya. Per ora la produzione è di appena 500 confezioni ciascuna di tre tavolette realizzate con la stessa “ricetta”, al 75% di cacao, messa a punto in tre contenitori diversi, acciaio, anfora di terracotta dell’Impruneta, vicino Firenze, e legno di rovere, proprio come può avvenire per il vino e anche in questo caso le differenze sono sorprendenti. La degustazione procede in quest’ordine, cominciando dall’acciaio che protegge la materia dall’ossidazione e concentra le note di frutta fresca, frutti rossi, uva e melograno, con una leggera acidità, che lascia il palato pulito, e un’avvertenza di tannino. L’anfora, dove la micro ossigenazione è superiore, ci regala sentori di uva passa, dattero, fico, un sentore di macerazione, di ciliegia sotto spirito ma anche di tostatura e qualche nota speziata. Infine il rovere regala un impatto intenso con un sentore vinoso, di cuoi, spezia come il tabacco, frutta candita e legno; grande persistenza e spiccata sapidità.
Il Fervolato ha cominciato il suo viaggio e insieme si muove il racconto di una cultura che necessita un’alfabetizzazione poco presente nei consumatori di cioccolato e che vuole sfatare molti miti a cominciare dall’amaro legato al cioccolato.
a cura di Mila Fiorentini