Dal 3 febbraio 2021 Pirelli HangarBicocca ha riaperto le proprie porte al pubblico – da mercoledì a venerdì dalle 10.30 alle 20.30 – con le installazioni su larga scala che compongono la mostra Short-circuits dedicata a Chen Zhen (1955, Shanghai – 2000, Parigi) e curata da Vicente Todolí e l’installazione permanente I Sette Palazzi Celesti 2004 – 2015 di Anselm Kiefer (che avevamo già recensito sulle pagine di BeBeez). Di grande forza la mostra dell’artista di Shangai che vive a Parigi, Chen Zhen – cresciuto durante la rivoluzione culturale – concepita come un’esplorazione immersiva nella complessa ricerca artistica che riunisce per la prima volta oltre venti installazioni su larga scala realizzate tra il 1991 e il 2000 nelle Navate e nel Cubo di Pirelli HangarBicocca. Il corto circuito è quello che si crea con alcune inversioni di senso, con la crescita dismisura di oggetti quotidiani, con la reinterpretazione fantastica, ridondante, vestita dell’elemento esorbitante,
a tratti giocoso a tratti inquietante. Ambientazioni legate ad assemblaggi o ricostruzioni di scene che assumono un carattere teatrale, talora surreale come il tavolo con le sedie incollate e appese o una sorta di igloo sintetica, ma anche letti dove al posto del materasso e delle coperte ci sono oggetti innaffiati da una sorta di doccia. Poi è la volta di un’auto riprodotta in grigio e decorata con tante macchinine, tono su tono, modellino della stessa. Certamente titolo non sarebbe potuto essere più efficace e luogo più adatto per la magia di queste opere nelle quali la dimensione crea l’effetto spropositato in termini emozionali.
Dal 17 febbraio 2021 è stata aperta al pubblico la nuova mostra Digital Mourning di Neïl Beloufa, parte del programma espositivo di Pirelli HangarBicocca, prevista fino al 18 luglio, dal mercoledì al venerdì dalle 10.30 alle 20.30, a cura di Roberta Tenconi. E’ la prima grande personale in Italia dell’artista franco-algerino Neïl Beloufa (Parigi, 1985), tra le voci più brillanti dell’ultimo decennio, acuto osservatore dei nostri tempi capace di offrire rappresentazioni vivide del mondo attraverso film, video, installazioni e sculture. Beloufa restituisce in maniera efficace una realtà talvolta scomoda a cui assistere, astenendosi dall’esprimere giudizi univoci, ma stimolando la riflessione su temi di stringente attualità come le relazioni di potere, il controllo tecnologico, l’insidia del data collection così come il possibile collasso nella gestione di una pandemia. Opere più immediate dall’aspetto superficialmente decorativo si alternano con sagome in fil di ferro sospese e video, mostrando una grande versatilità dell’artista non facile da decriptare. Interessante la narrazione nel suo complesso tessuta dall’insieme delle opere che sembrano sconfinare con generi diversi, una nell’altra, mimando una sorta di percorso urbano dove l’eterogeneità è di casa e molte voci e racconti diversi, che non hanno nulla a che vedere, l’uno con l’altro, si sovrappongono, interferiscono o scorrono semplicemente paralleli. Il risultato è straniante e si sposa perfettamente con le altre due mostre in essere.
L’artista è tra i più brillanti della generazione degli anni Ottanta. La sua ricerca si focalizza sulla società contemporanea e sul modo in cui viene rappresentata e mediata dall’interazione digitale, spesso con l’obiettivo di mettere a nudo i meccanismi di controllo insiti nella nostra routine quotidiana. Attraverso video, lungometraggi, sculture e installazioni tecnologicamente complesse, l’artista gioca con l’esperienza sensoriale dello spettatore invitandolo a confrontarsi con le proprie convinzioni e stereotipi su tematiche del presente che spaziano dalle relazioni di potere alla sorveglianza digitale, dal data collection alle ideologie nazionalistiche, dall’identità alla lettura post-coloniale del mondo.
Il lavoro di Neïl Beloufa, fortemente influenzato dalla dimensione del web, dei videogames, della reality tv e della propaganda politica, utilizza il vocabolario dell’era dell’informazione per svelare il sistema di valori di una società pervasa dalla tecnologia digitale dove tutto, dalle scelte alimentari alle relazioni umane, è definito in base a un algoritmo. In questo processo l’artista si definisce un editor, un montatore che assembla informazioni attingendo a ciò che già esiste per poi scomporlo e ri-presentarlo senza alcun giudizio di natura morale. L’intento è generare un cortocircuito all’interno di scenari consueti, mandare in tilt le supposizioni comunemente accettate come veritiere e restituire allo spettatore la libertà di costruire nuove relazioni e significati personali. Il pubblico si trova così all’interno di installazioni immersive che restituiscono una visione frammentata del reale, un universo popolato di pop-up e sistemi di telecamere a circuito chiuso CCTV studiati per rappresentare sia la libertà di un’organizzazione apparentemente casuale che la dimensione di controllo che vi si cela.
L’attualità del lavoro di Neïl Beloufa emerge tanto nei processi di produzione che elabora quanto negli scenari che costruisce. Le sue opere sono interamente realizzate in studio, con lo scopo di creare un modello alternativo di sostenibilità economica fondato sulla condivisione di competenze. Da questa fucina collettiva emergono opere che si confrontano e talvolta addirittura anticipano le istanze più urgenti del contemporaneo. È il caso di Screen Talk (2020), un progetto sperimentale che trasforma il video Home Is Whenever I’m With You (2014) in una serie web. Nel video l’artista immaginava una pandemia globale e la corsa tra laboratori farmaceutici antagonisti nella ricerca di una cura. Questo scenario, concepito come pura fiction nel 2014, assume oggi un significato del tutto nuovo, che si arricchisce di riferimenti al modo in cui il nostro sistema di comunicazioni e relazioni umane sia stato quasi interamente trasposto in forma digitale.
Fin dal titolo, la mostra allude a uno dei paradossi più evidenti della società contemporanea, l’esistenza in un mondo tecnologico e la sua parallela scomparsa. L’associazione dei due termini “digital” [digitale] e “mourning” [lutto] si risolve nell’incontro tra assenza di vita e contesto artificiale, una dimensione dove la vita stessa viene simulata attraverso modelli appositamente costruiti per comprenderne l’essenza.
Il percorso è composto da un’ampia selezione di opere video che ripercorrono la carriera dell’artista dagli esordi (con Kempinski, 2007) fino alle produzioni più recenti, alcune delle quali proiettate all’interno delle installazioni multimediali originariamente pensate dall’artista a questo scopo. Nel loro complesso, queste divengono parte di un sistema computerizzato di attivazione e ri-montaggio che annulla qualsiasi gerarchia tra le informazioni.
Lo spazio, che emula lo scenario di un “parco divertimenti”, accoglie un’ampia selezione di opere che include le più rilevanti installazioni e sculture di Neïl Beloufa. Tuttavia, analogamente a quanto accade oggi, la fruizione delle “attrazioni” non è consentita e la mostra sembra prendere vita unicamente in risposta a una serie di voci narranti che guidano lo spettatore. Presentando le opere e spiegando al visitatore cosa scoprirà in ogni area, i narratori introducono e mettono in discussione posizioni differenti, dalle aspirazioni utopiche alle opinioni delle nuove generazioni. Nel realizzare una nuova opera d’arte totale a partire da lavori pre-esistenti, l’esposizione inoltre simula il modo in cui avviene il consumo culturale in questo periodo, giocando per esempio sul flusso di informazioni e sulla capacità media di attenzione dello spettatore o fornendo link per vedere film direttamente da casa.
La messa in discussione delle convenzioni è presente fin dal primo lavoro di Neïl Beloufa, Kempinski (2007). Girato a Bamako, in Mali, il video raccoglie una serie di brevi interviste in cui l’artista sottilmente scardina le regole stilistiche di genere. Mantenendo lo spirito di autenticità tipico del documentario, i dialoghi tra i protagonisti descrivono una realtà totalmente priva di qualsiasi visione stereotipata del continente africano, caratterizzato piuttosto da scenari fantastici e surreali scaturiti dal semplice uso del tempo verbale presente per parlare di un futuro ipotetico. L’allegoria del mondo contemporaneo e delle sue fragilità ritorna anche nell’installazione cinetica People’s Passion, transparency, mobility, all surrounded by water (2018), che include l’omonimo video. L’opera prende vita a partire da una serie di interviste realizzate dall’artista agli abitanti di un nuovo complesso residenziale nel Nord America, che mostrano tutta l’artificialità insita nel modello di presunto lifestyle e benessere occidentale. Altrettanto potente è l’idea di un mondo fortemente retorico trasmessa da World Domination (2015), opera in cui Neïl Beloufa ricorre ad attori non professionisti e al modello del gioco di ruolo per difendere delle posizioni arbitrariamente attribuite. Proiettato sulla superficie irregolare di un muro motorizzato che si muove su un binario, il video mostra cinque scene e tavoli diplomatici dove la discussione verte su problematiche internazionali come l’obesità e gli investimenti finanziari, spesso concludendosi in evidenti contraddizioni e istanze di guerra.
Infine, la mostra presenta una nuova versione espansa, realizzata appositamente per l’occasione, di La morale de l’histoire (2019). L’installazione immersiva è concepita come un racconto tecno-fiabesco, che narra le vicende di un cammello e alcune volpi del deserto che costruiscono un muro di pietre per ripararsi dal sole a discapito di una colonia di formiche. Il lavoro, che adotta volutamente i codici narrativi dell’infanzia per costruire una metafora dell’economia capitalista, conclude il percorso espositivo fungendo da riepilogo per tutte le altre narrazioni e opere.
L’insieme delle installazioni trasforma in un ambiente immersivo, dove gli stimoli scaturiti da immagini, suoni e luci si sincronizzano nell’ambito di una sequenza complessa che guida i movimenti dello spettatore. L’accensione e lo spegnimento di una o più opere contemporaneamente genera una coreografia unica nel suo genere che vede alcuni lavori animarsi, e altri giacere senza vita in un sonno congelato. A dettare il ritmo del racconto sono le voci narranti, i cosiddetti “Hosts” o “Ghosts”, i cui canali audio sono programmati per rivolgere “ordini” allo spettatore. In questo modo, secondo le parole dell’artista, il pubblico si trova “in a free but uncomfortable position that should lead to thinking about what is shown instead of believing it” [in una posizione libera ma scomoda che dovrebbe portare a riflettere su ciò che viene mostrato, non su ciò che si crede]. Nel creare un sistema di controllo, Neïl Beloufa mette in discussione concetti permeabili come la verità e la finzione e mostra quanto questi siano intrecciati nella realtà contemporanea, i cui meccanismi sono messi a nudo proprio come i dispositivi e i cablaggi delle sue opere.
In primavera inoltre Neïl Beloufa presenterà in città The Moral of the Story, progetto promosso da Fondazione Henraux e composto da quattro installazioni inedite dell’artista esposte nell’anfiteatro dell’Apple Store in Piazza Liberty. Le opere, prodotte da Henraux in marmo, saranno visibili sia durante il giorno che nelle ore serali.
Il catalogo
Pirelli HangarBicocca è partner della prima monografia mai realizzata sull’artista, pubblicata in occasione della mostra, edita dalla casa editrice After 8 Books di Parigi e disegnata da Olivier Lebrun, che tratteggia in oltre trecento pagine il percorso artistico di Neïl Beloufa e ne descrive il metodo produttivo, così come il lavoro all’interno dello studio. Completo di un ricco apparato iconografico e testuale che include i saggi di Yilmaz Dziewior, Ruba Katrib, Jesse McKee, Guillaume Desanges, e Negar Azimi, il catalogo è in edizione bilingue inglese-francese.
Chi è Neïl Beloufa
Neïl Beloufa è un artista franco-algerino nato nel 1985 a Parigi, città dove vive e lavora.
Ha ricevuto una formazione interdisciplinare, che coniuga arti visive, design e cinema.
Oltre agli studi a Parigi all’ENSBA École Nationale Supérieure des Beux-Arts (2007) e all’École Nationale Supérieure des Arts Décoratifs (2009), ha frequentato la Cooper Union a New York (2007) e il California Institute of the Arts (CalArts) a Valencia, Los Angeles (2008), e studiato cinema a Le Fresnoy-Studio national des arts contemporains, Tourcoing, Francia (2009).
Tra le istituzioni che hanno presentato sue esposizioni personali vi sono Schirn Kunsthalle Frankfurt, Francoforte (2018); Palais de Tokyo, Parigi (2018 e 2012); Pejman Foundation, Tehran (2017); K11 Art Foundation, Shanghai, MoMA Museum of Modern Art, New York (2016); Schinkel Pavillon, Berlino (2015); Banff Centre, Canada, Institute of Contemporary Arts, Londra, Fondation Ricard, Parigi (2014); Hammer Museum, Los Angeles (2013); New Museum, New York (2011).
I suoi lavori sono stati presentati in importanti rassegne collettive, tra cui Busan Biennale (2020); Biennale di Venezia (2019 e 2013); Biennale de l’Image en Mouvement, Centre d’Art Contemporain Genève (2018 e 2007); Taipei Biennial, Shanghai Biennale (2014); Biennale de Lyon, Manifesta 8, Murcia (2010); Prague International Triennial of Contemporary Art (2008).
I suoi film e video sono inoltre stati presentati in vari festival internazionali di cinema, tra cui Toronto International Film Festival, International Film Festival Rotterdam, London Film Festival e Oberhausen Kurzfilmtage.
Tra i finalisti dei premi Artes Mundi e Nam June Paik (2016) e del Prix Marcel Duchamp (2015), Neïl Beloufa ha ricevuto il Meurice Prize for Contemporary Art (2013), Audi Talent Awards (2011), Agnès B. Studio Collector Award (2010) e il Grand Prize, il Prize of the Jury e Arte Prize al 57. e 54. Kurzfilmtage Oberhausen (2011 e 2008).
dall’alto due opere di Chen tzhen e una di Neil Beloufa
a cura di Ilaria Guidantoni