
Chi è davvero Vivian Maier? Ecco un approfondimento per conoscere meglio questa artista che continua ad emozionare con il suo stile fotografico inconfondibile.
La mostra Shadows and Mirrors, Ombre e Specchi, si propone lo scopo di raccontare le svariate sfaccettature di un’autrice ancora oggi avvolta da un alone di mistero.
I suoi progenitori, dal lato materno, provenivano da un piccolo e provinciale ambiente del mondo rurale francese. La prima ad allontanarsi fu Eugenie Jaussaud (la nonna) che si imbarcò per gli Stati Uniti. Vivian Maier nacque così a New York il 1° febbraio 1926, da Maria Jaussaud e Charles Maier.
I genitori presto divorziarono e Vivian crebbe sola con la madre, condividendo per un breve periodo un appartamento con la fotografa Jeanne Bertrand.
Dal 1938 iniziò a fare la governante per guadagnarsi da vivere. La svolta nella sua vita ha un luogo e una data ben precisi: New York, 1952, quando Vivian acquistò la sua prima macchina fotografica Rolleiflex.
Trasferitasi a Chicago inizia ad appassionarsi sempre di più di fotografia, cercando di catturare i frammenti della città. Gli scatti di Vivian testimoniano la quotidianità americana fra gli anni ’50 e la metà degli anni ’70.

La fotografa è considerata una esponente di spicco della street photography, erede ideale dei grandi maestri francesi come Eugène Atget e Henri Cartier-Bresson.
All’inizio degli anni ’60 Vivian Maier cominciò a filmare per strada, specialmente luoghi ed eventi. Le tecniche di ripresa di Vivian Maier, come nel caso della sua fotografia, rivelano il suo metodo di “caccia e cattura”.
Dietro la cinepresa sicuramente Maier perdeva la parziale invisibilità che le consentiva la Rolleiflex, però poteva zoomare sui suoi soggetti, cosa impossibile con la sua macchina. Le sue immagini in movimento sono rese dinamiche da rapidi tagli e frenetiche panoramiche.
Sul finire degli anni ’70 Vivian Maier iniziò a scattare fotografie a colori. In questa fase Maier utilizzava una macchina Leica, molto più leggera e semplice da usare. Vivian Maier è stata ricordata da chi la conobbe come una donna sola e abbandonata a sé stessa. Forse fu solo una donna indipendente e, l’assenza di un marito e di figli, portò molti dei suoi conoscenti a giudicarla negativamente o a compatirla.
Vivian fu sempre sostenuta da una smodata passione per l’arte fotografica e grazie a questo suo grande amore, consegnò alla storia una mole mastodontica di opere.
Non realizzò mai una mostra d’arte, né vendette alcuna stampa mentre era in vita.

Nel 2007, due anni prima della sua morte, Roger Gunderson, proprietario di una casa d’aste di Chicago, acquisì per la modifica cifra di 260 dollari i 5 magazzini appartenuti a Vivian Maier, del tutto inconsapevole che contenessero un tesoro destinato a divenire inestimabile: più di centomila negativi, migliaia di fotografie stampate in ogni formato, scatole Kodak con centinaia di diapositive e pellicole cinematografiche; oltre che più di mille rullini non ancora sviluppati.
Da questo momento la storia cambiò il proprio corso. L’anonima bambinaia di Chicago divenne Vivian Maier, autorevole rappresentante della street photography.
Nel 2007 John Maloof entrò in contatto con gli scatti di Vivian Maier. Alla seconda asta organizzata a Chicago da Roger Gunderson, Maloof (all’epoca un agente immobiliare) si presentò con un’offerta segreta per lo scatolone di negativi più grosso.
Maloof possedeva un proprio account professionale su eBay con il quale rivendeva articoli acquisiti in aste di questo tipo. La fotografia era una sua grande passione.
La sua vita si stava per intrecciare indissolubilmente con l’opera di Vivian Maier.
Gunderson concluse l’esperienza con il sorriso sulle labbra: i 260 dollari pagati per i cinque box gli avevano fruttato circa 20.000 dollari di vendite all’asta.
John Maloof, invece, aveva scoperto una delle più importanti fotografe della seconda metà del Novecento. Così, tra il 2007 e il 2014, Vivian Maier è divenuta un fenomeno commerciale.

Il materiale rinvenuto da Maloof è composto da oltre 120mila negativi, filmati super 8mm, tantissimi rullini mai sviluppati, foto e registrazioni audio.
Particolarmente interessante è la collezione degli autoritratti in cui Maier si fotografa spesso su superfici riflettenti come le vetrine dei negozi con al collo la sua inseparabile macchina Rolleiflex.
Diversamente da Narciso, che distrusse sé stesso contemplando e ammirando la sua stessa immagine, l’interesse di Vivian Maier nell’ambito dell’autoritratto fu piuttosto una disperata ricerca dell’identità.
Ridotta all’invisibilità, a una sorta di non esistenza, anche a causa della sua particolare condizione sociale, la fotografa diede vita ad una prova inconfutabile della sua presenza in un mondo nel quale sembrava non aver alcuno spazio.
Riflessi del suo volto in uno specchio, o in un infinito regresso, o la sua ombra che si allunga per terra, o il contorno della sua figura: tutti gli autoritratti di Vivian Maier sono una dichiarazione della sua presenza in un luogo specifico, in un tempo specifico.
La caratteristica costante che divenne una firma nei suoi autoritratti, allo stesso modo di Lee Friedlander, fu la sua ombra. L’ombra, quella silhouette la cui caratteristica distintiva è

l’attaccamento al corpo. Quel duplicato del corpo in negativo, ritagliato dalla realtà, ha l’abilità di rendere presente ciò che è assente.
Sebbene l’ombra attesti l’esistenza di ciò a cui si riferisce, essa allo stesso tempo cancella la sua presenza. All’interno di questo dualismo, Vivian Maier si destreggiava con una versione di sé sul confine tra la sparizione e l’apparizione del suo doppio, riconoscendo forse che un autoritratto è “una presenza in terza persona (che) indica la simultaneità di quella presenza e della sua assenza”.
Dal momento che una fotografia, come disse Edouard Boubat, è “qualcosa di strappato dalla vita”; nel caso di Vivian Maier, lei accumulò grandi quantità di autoritratti per configurare la propria identità. Una identità che ha ora preso il suo posto in un eterno presente, costantemente ripetuto e sotto il sigillo della storia.
Gli agenti preposti alla diffusione delle sue opere si sono trovati improvvisamente tra le mani una miniera d’oro. Il mercato è spietato e non conosce etica; però può essere anche uno strumento virtuoso, dal momento che è in grado di sottrarre un’artista dall’oblio a cui sembra essere consegnata.
Gli osservatori più attenti potrebbero obiettare che se la Maier avesse voluto farsi conoscere in vita avrebbe potuto pubblicare da sola i suoi scatti, o condividerli con un professionista del settore. Invece lei scelse di non farlo, tenne tutto per sé. Però non distrusse i suoi lavori, lasciando così spazio ad una teoria secondo la quale fu proprio lei a voler conservare le sue fotografie per i posteri. Sta di fatto che le immagini di Vivian Maier si sono rapidamente diffuse in tutto il mondo.
Decine di pubblicazioni in diverse lingue, migliaia di riproduzioni su siti internet e blog. Il film di John Maloof, “Finding Vivian Maier”, incassò tre milioni e mezzo di dollari. La ricchissima eredità di Vivian è andata dispersa all’asta: quattro tonnellate di scatoloni immagazzinati. Il risultato è che decine di persone oggi dispongono di suoi beni e di un pezzettino della sua opera artistica.
a cura di Paolo Bongianino
VIVIAN MAIER. Shadows and Mirrors
Palazzo Sarcinelli | Via XX Settembre 132 | Conegliano TV
23 marzo – 11 giugno 2023
ORARI
Inaugurazione per il pubblico Giovedì 23 marzo 2023, dalle 14.00 alle 19.00
Orari di apertura dal 24 marzo al 11 giugno 2023
Lunedì, martedì e mercoledì: chiuso
Dal giovedì alla domenica e nei giorni festivi: 10 – 13 e 14 – 19
Aperture straordinarie: 9, 10 aprile, 1° maggio e 2 giugno (10 – 13 e 14 – 19)
INFO
tel. +39 351 809 9706
mail: mostre@artika.it
www.artika.it