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Articolo pubblicato su BeBeez Magazine n. 12 del 9 settembre 2023 – parte dell’inchiesta di copertina
di Giuliano Castagneto
Fabio Ranghino, responsabile Strategy & Sustainability di Ambienta sgr, dopo precedenti esperienze nella consulenza strategica milita da quasi 12 anni nel più grande gestore al mondo specializzato nei fondi ecosostenibili, sia aperti sia alternativi, con oltre 3 miliardi di euro attualmente in gestione da parte di fondi sia chiusi sia aperti, tutti classificati art. 9. Nessuno meglio di lui può quindi spiegare in dettaglio le difficoltà cui stanno andando incontro i gestori che vogliono proporre fondi “green” e a cosa devono stare attenti.
Domanda. I fondi art. 9 sono in questo momento oggetto di grandi discussioni nella categoria dei gestori. Recentemente molti fondi di questa categoria sono stati riclassificati art. 8. Lei come lo spiega?
Risposta. Con la grande sopravvalutazione che i gestori di quei fondi hanno fatto del reale impatto ambientale dei rispettivi investimenti e del livello di trasparenza effettivamente richiesto dalla norma.
D. Quali criticità ha portato alla luce questo fenomeno?
R. Anzitutto queste difficoltà nascono per tutti gli investitori e per tutte le singole asset class, anche se attualmente i più colpiti sono i fondi aperti. I problemi possono essere di tre tipi. Il primo riguarda la strategia dei fondi. Chi ha lanciato veicoli art. 9 senza avere una chiara strategia di sostenibilità oggi è in difficoltà. Il secondo riguarda la disponibilità di dati in materia di conformità degli asset investiti ai requisiti sui PAI (Principal Adverse Impact) delle rispettive attività. Per gli investitori in asset quotati vengono in soccorso i data provider.
D. E nel private capital?
R. Qui le cose sono più complicate perché si investe molto spesso in aziende medio piccole dove ottenere informazioni dettagliate non è semplice, soprattutto per i fondi di debito o venture capital o comunque gli investitori che non detengono quote di maggioranza.
D. Il terzo problema?
R. E’ quello della tassonomia, il cui mancato rispetto non comporta ancora delle penalità trattandosi di un semplice vincolo di disclosure in capo ai gestori e la Tassonomia stessa ancora “immatura”, ma andando avanti nel tempo la disciplina in merito diverrà più stringente.
D. Come possono i gestori far fronte a queste criticità?
R. In sintesi, con un’accurata calibrazione della strategia del fondo. Se il gestore si è dato l’obiettivo di una percentuale molto alta, o addirittura il 100%, di attività allineate alla Tassonomia in portafoglio, allora avrà enormi problemi nell’allocare le risorse raccolte, almeno nel breve termine. Se invece nei documenti informativi dichiara che una parte del portafoglio verrà investita in tal senso, allora la situazione è molto più gestibile. E’ necessario quindi valutare oggi ex ante, in assenza di dati specifici, la possibilità di un’azienda di essere allineata. Ambienta per esempio investe esclusivamente in aziende che sono sempre sostenibili secondo l’SFDR e che, in una quota parte, possano anche essere allineate alla Tassonomia.
D. Cosa comporta questa situazione per gli investitori istituzionali che hanno sottoscritto fondi art. 9?
R. Gli istituzionali, per esempio i fondi di fondi, sono sulla stessa barca, perché anch’essi devono soddisfare dei requisiti in materia di SFDR, per cui un eventuale de-rating ad art. 8 dei fondi investiti ha delle conseguenze a livello gestionale, ma in qualche misura anche a livello reputazionale.