
Articolo pubblicato su BeBeez Magazine n. 12 del 9 settembre 2023 – parte dell’inchiesta di copertina
di Giuliano Castagneto
Se la ancora bassa qualità delle informazioni necessarie a valutare il rispetto da parte delle attività economiche della Tassonomia Europea (cioè la misura in cui non arrecano danno all’ambiente) è il problema centrale della finanza sostenibile, non va dimenticato che la trasparenza in materia è un processo iniziato solo pochi mesi fa.
Lo sottolinea in questa intervista a BeBeez Magazine Fabrizio Negri, ceo di Cerved Rating Agency, l’agenzia italiana del gruppo Cerved leader nella valutazione del merito di credito di imprese non finanziarie italiane e del grado di sostenibilità degli operatori economici.
Domanda. Dopo l’entrata in vigore nel 2021 della SFDR, tanti fondi partiti come art. 9 hanno dovuto riposizionarsi come art. 8, sintomo di una valutazione non accurata sia degli standard Ue che delle aziende. Ciò ha reso centrale il ruolo dei data provider e dei valutatori come Cerved Rating. Come risponde la categoria a questa sfida?
Risposta. L’entrata in vigore della SFDR ha causato un terremoto sui prodotti di investimento collocati in Europa. La trasparenza informativa richiesta è un cambio di passo significativo perché questo regolamento obbliga i gestori a esplicitare obiettivi in termini di sostenibilità degli investimenti, approcci metodologici sottostanti e tipo di monitoraggio cui si impegnano. Cambia del tutto la prospettiva. Sicuramente il contributo dei rater quali soggetti terzi valutatori e validatori è oggetto di maggiore attenzione da parte dei mercato, anche perché disponiamo di database profondi che consentono agli stessi gestori di definire meglio obiettivi e kpi di monitoraggio. Talvolta forniamo supporto diretto nell’identificazione dei PAI in relazione ai settori su cui si concentrano gli investimenti dei fondi. Il mercato attualmente predilige prodotti ex art.8 rispetto agli art.9 per due motivi fondamentali: il primo è riconducibile all’ondata di riclassifiche dei prodotti di investimento (quasi la metà dei fondi domiciliati UE nel 2022) a seguito dell’entrata in vigore della normativa UE e il secondo è il rischio di affrontare contenziosi legati all’incapacità degli operatori di avere a disposizione i dati che soddisfino il livello di disclosure chiesto dalla normativa.
D. Ci vorrà molto tempo per avere un’informazione all’altezza del compito?
R. Ci troviamo ancora in una fase transitoria. Le normative sulla disclosure sono recenti ed è ancora difficile reperire dati accurati, completi e coerenti con le finalità regolamentari. Sono inoltre in corso di affinamento presso gli operatori di mercato i modelli interni di stima del rischio e misurazione degli impatti. Su questo aspetto abbiamo un vantaggio rispetto all’industria, che si aggiunge all’approccio indipendente che oltretutto è richiesto, come nel caso delle verifiche di terza parte sulle caratteristiche ESG dei prodotti finanziari. Siamo ottimisti, tuttavia, sulla futura disponibilità di dati affidabili, soprattutto per gli effetti che produrrà l’entrata in vigore della CSRD. La normativa oltre ad estendere gli obblighi per le imprese in termini di platea dei soggetti obbligati, costituirà anche un upgrade della qualità del dato che dovrà essere sottoposto a verifica e certificazione.
D. Chi ha il controllo dell’azienda controlla anche il ciclo produttivo e quindi la sua sostenibilità. Chi invece ha influenza limitata sulla governance, come i fondi di debito, come può assicurarsi che l’impresa finanziata rispetti i parametri ESG?
R. Se l’investimento in equity implica una governance e diritti aziendali superiori agli investitori di altre asset class come il debito, occorre tuttavia rilevare come anche in tale ruolo i finanziatori possono migliorare il controllo dei rischi ESG aziendali, grazie a un’attenta definizione dei term sheet contrattuali. E’ sempre più diffuso il sustainability linked bond che impegna il soggetto finanziato a rispettare determinati covenant ESG, monitorati periodicamente dagli investitori e dai verificatori esterni . Ciò che è interessante di tale strumento è la visione olistica sulla sostenibilità: i parametri ESG non sono vincolati al solo impatto ambientale ma possono essere fissati su ulteriori indicatori di rischio che coinvolgono la sfera sociale o la governance dell’azienda finanziata.
D. La SFDR non lo specifica ancora, ma quanto può essere importante estendere l’analisi dell’impatto ambientale a monte o a valle delle aziende lungo la filiera produttiva?
R. In realtà il tema della supply chain è coperto, poiché si richiede esplicitamente di valutare se la realtà in cui si investe dispone di un codice di condotta dei fornitori o se l’azienda rispetta le norme sulla tutela dei lavoratori, oppure se i suoi processi operativi e di fornitura sono esposti a rischio di impiego di lavoro minorile o di lavori estremamente pericolosi nei Paesi o nei settori coinvolti nella filiera. Tale aspetto si ricollega direttamente a quelle che saranno le previsioni della Corporate Responsability Reporting Directive (CSRD), ma soprattutto alle tematiche affrontate dalla proposta di regolamentazione UE sulle supply chain che saranno introdotte con la Corporate Sustainability Due Diligence Directive (CSDD). E questo complicherà ulteriormente l’informativa sui prodotti finanziari collocati.