clicca qui sopra per vedere il video della tavola rotonda
E’ online il video della tavola rotonda
organizzata da BeBeez per TIM Management
lo scorso 11 maggio
in presenza (solo per i partner di TIM Management)
a Bologna, presso Palazzo Godoli, nella sede dello studio PKF Godoli
e in diretta streaming
su
Torna l’ottimismo sul futuro,
le pmi sono pronte a cogliere le opportunità?
BeBeez è stato media partner dell’evento
Sembrerebbe che la spinta inflattiva stia rallentando; che stiano partendo i grandi progetti legati ai fondi del PNRR con nuovi investimenti in campo energetico e infrastrutturale; che sempre più aziende si siano convinte della necessità di una trasformazione digitale. Insomma dei segnali positivi per poter immaginare un futuro migliore per le pmi italiane ci sono. Nella realtà la situazione non è ancora davvero rosea e soprattutto per gestirla servono risorse competenti che non sempre sono presenti nelle aziende di piccole e medie dimensioni. Da qui la necessità di rivolgersi a manager di esperienza, magari affiancati da investitori in grado di portare maggiore solidità finanziaria e know how. E’ quello che è emerso dalla tavola rotonda organizzata lo scorso 11 maggio da TIM Management a Bologna, a valle di una discussione che è partita da un’analisi dello stato di salute del tessuto imprenditoriale dell’Emilia Romagna.
Numeri alla mano lo ha descritto Alessandro Fischetti, founder e amministratore di Leanus, che ha condotto un’analisi sulle aziende che nella regione nel 2021 hanno chiuso il bilancio con almeno 5 milioni di euro di ricavi (si veda qui il video). Ebbene, emerge dall’analisi, su un totale di 512 imprese soltanto il 3,5% ha indicatori che segnalano gravi difficoltà. Peraltro si tratta in media di aziende piuttosto grandi, visto che ben 367 hanno chiuso l’anno con un fatturato superiore ai 100 milioni di euro. Un numero che a prima vista può sembrare piccolo, ma che invece in prospettiva è molto importante, se si pensa che in tutta Italia ci sono soltanto circa 6300 aziende con ricavi maggiori di 50 milioni. Non solo. Un’altra chicca è che ben il 15% delle aziende della regione tra quelle esaminate non ha debiti verso le banche e che il 44% ha ridotto nel 2021 l’indebitamento bancario rispetto al 2020. Il tutto quindi, con aziende che hanno chiuso il 2021 con un equilibrio patrimoniale solido a fronte di una crescita confortata da una ottima marginalità. Quanto al 2022, al momento sono stati depositati soltanto 76 bilanci, per cui ovviamente è troppo presto per un’analisi che possa dirsi rappresentativa del mercato. Detto questo, da quei bilanci emerge un trend di forte ripresa con margini positivi e ottimo profilo patrimoniale e finanziario.
Ma se questa è la situazione di una regione particolarmente ricca e in buona salute, così come confermato da Luciano Godoli, socio fondatore di PKF Studio Godoli, uno studio commercialista che a Bologna ha una lunga tradizione di affiancamento degli imprenditori locali, purtroppo non è quello che accade nella maggior parte delle altre regioni d’Italia, dove il troppo debito bancario facile ora sta creando problemi.
Federico Maria Alberto Caligaris, partner di CDI Global Italy, ha sottolineato infatti che “nell’ultimo paio d’anni abbiamo assistito al festival della garanzia pubblica, che ha convinto le aziende che prendere soldi a debito costava molto poco e quindi andava fatto. Ma adesso c’è stata la doccia fredda con le banche centrali che hanno aumento i tassi e anzi non hanno ancora finito di farlo. Tante aziende hanno contratto debito appoggiandosi alle garanzie pubbliche che sono state rinnovate ancora sino a fine anno”. Ma poi? Questi debiti andranno rimborsati e si vedrà a quel punto che cosa succederà. Ha continuato Caligaris: “In ogni caso con questo aumento dei tassi la sproporzione tra finanziamento bancario e strumenti di finanza alternativi si è assottigliato Ciò non significa che il private debt costa meno: costa sempre di più. Però l’operatore di private debt è più sofisticato e a differenza delle banche capisce meglio le esigenze delle imprese. E’ quindi in grado di aggiustare gli strumenti di debito offerti al meglio, in base ai flussi di cassa delle aziende, Ma appunto sono operazioni costose e non sono per tutti, quindi aziende con fatturati piccoli non possono permetterselo. Sono strumenti secondo me efficienti quando si tratta almeno di size da 3-4 milioni”.
E infatti, ha confermato Augusto Balestra, cofondatore di Orienta Partners, holding di investimento di private equity, specializzata nella strutturazione di operazioni in club deal con investitori privati, “noi siamo utilizzatori di private debt, in particolare di debito subordinato e mezzanino. Lo utilizziamo in quasi tutte le nostre operazioni. E’ vero che costa, ma noi guardiamo questo fatto alla rovescia: per noi si tratta di semi-equity, che quindi rispetto all’equity costa poco ed è in grado di accelerare i processi di crescita delle aziende. Da quando siamo partiti nel 2017, abbiamo condotto 25 operazioni per un totale di 150 milioni di euro investiti. Se facessimo un consolidato delle nostre aziende in portafoglio, cuberebbero 600 milioni di euro di ricavi, 120 milioni di ebitda e oltre 2 mila persone impiegate nei settori più diversi, che vanno dall’alimentare all’aerospazio, dalal bioplastica alla cosmetica. In genere copriamo la maggioranza, ma lo facciamo restando al fianco degli imprenditori che accompagniamo per gestire la discontinuità all’interno di un quadro di continuità. Il tipico caso è il passaggio generazionale, ma anche la gestione di un momento di mercato particolarmente delicato, come quello creato dalla pandemia”. L’approccio di Orienta è comunque cambiato in questi anni: “Una volta quando si investiva in crescita interna lo si faceva in impianti produttivi e in persone. Oggi questo aspetto esiste sempre, ma c’è l’elemento nuovo imprescindibile della trasformazione digitale, che, almeno per quello che abbiamo visto noi nelle nostre aziende, è in grado di imprimere accelerazioni impressionanti alla crescita aziendale. In questo noi ci facciamo aiutare da un advisory board fatto di ragazzi di 25-26 anni, figli di imprenditori, che già lavorano nelle aziende di famiglia e hanno quindi un approccio da imprenditore, ma sono molto giovani e hanno quindi una visione che noi ultra cinquantenni non possiamo avere”.
Ma appunto, tornando al debito, in questo caso chi gestisce l’aspetto finanziario è un team di professionisti esperti di finanza, in grado di comprenderne a pieno rischi e vantaggi. Il grosso delle pmi italiane, invece, non ha queste competenze interne e negli ultimi anni si è trovato a dover gestire una situazione debitoria molto complicata. Il quadro tracciato da Paolo Rinaldi, fondatore dello Studio Rinaldi e specialista in ristrutturazioni aziendali, è infatti piuttosto preoccupante. Ha detto infatti Rinaldi: “Sono stati messi a disposizione finanziamenti garantiti da SACE in maniera massiccia, senza preoccuparsi di che cosa sarebbe potuto accadere nel medio termine nel momento in cui le aziende avrebbero dovuto rimborsare queste somme. In un primo tempo queste linee erano state concesse ad aziende che effettivamente avevano problemi di circolante a seguito dell’emergenza Covid, ma poi la maggior parte delle banche ha erogato crediti garantiti anche a chi non era in emergenza, semplicemente sostituendo debito non garantito con debito garantito. Chi ha consentito a questa prassi si è quindi trovato con abbondanza di denaro, senza però accorgersi che era denaro avvelenato e ora, se ha problemi a rispettare le scadenze dei rimborsi si trova in una posizione difficilissima, più difficile di quella in cui si troverebbe se a quei crediti non fosse stata associata la garanzia pubblica”. Ha continuato a Rinaldi: “Quando c’è un problema e si deve chiedere ai creditori di fare un sacrificio insieme agli imprenditori, ci si accorge che MCC e SACE sono impreparati ad amministrare la garanzia, sono ben poco disponibili a discuter di piani dell’imprenditore e di strategie di rilancio. Non sono in grado di gestire così tanto denaro pubblico garantito. Siamo attorno ai 200 miliardi di euro e se consideriamo anche tassi di default bassi del 2-3-4%, stiamo comunque parlando di miliardi di euro di crediti dietro ai quali ci sono migliaia di situazioni estremamente complicate. Se la banca con la posizione garantita non accetta di negoziare le aziende falliscono. D’altra parte gli enti garanti su questo punto rispondono che si tratta di crediti dello Stato, c’è la Corte dei Conti che controlla, non si può sbagliare. E il modo migliore per non sbagliare è non fare. MCC non si siede neppure ai tavoli di negoziazione. Si può interloquire soltanto attraverso una piattaforma web”.
Insomma, il quadro non è certo dei più confortanti. Per evitare di arrivare a questi punti è molto meglio prevenire. Non a caso Federico Costa, partner TIM Management, ha detto: “In questi mesi le aziende cercano manager con un forte profilo finanziario, ma quando dico finanziario non mi riferisco certo alla contabilità. Penso a manager che siano in grado di gestire un piano finanziario di ampio respiro, che abbiano una visione a 6-12 mesi e oltre, proprio per poter prevenire situazioni gravi come quelle descritte. Se arrivi troppo tardi c’è poco da fare”.
Ma avere una visione di medio termine non serve soltanto a prevenire eventuali crack finanziari. Serve anche a dare nuova linfa all’azienda anche quando le cose vanno bene. Come ha spiegato Alfeo Martini, fondatore di Mondodelvino, la casa vitivinicola che insieme al gruppo Botter e pià di recente insieme a Cantina Zaccagnini, ha dato vita al gruppo Argea, nuovo polo del vino creato dal fondo Capital Partners 3 di Clessidra Private Equity sgr (si veda altro articolo di BeBeez). “L’azienda è vissuta con il supporto del debito bancario per tutta la vita, poi è entrata anche Simest, ma a a breve io compirà tre quarti di secolo e ci ci voleva un ricambio generazionale, era momento di fare due passi indietro”, ha raccontato Martini, aggiungendo: “E’ stata una corsa durata 32 anni, fantastica. Ma era una decisione che andava presa, anche se hai fatto un’impresa che da zero è arrivata a 125 milioni di fatturato all’anno. Devi dare un avvenire alle persone che ci lavorano e ai prodotti che sono entrati sul mercato e che hanno a loro volta modificato il set up produttivo delle regioni che hanno prodotto quei vini. Il successo si misura in termini di persone e di prodotti che sono validati dal mercato, quello che conta sono i rapporti tra le persone, non solo quelle che lavorando in azienda ma anche quelle con cui l’azienda ha a che fare nella sua filiera che a sua volta coinvolge molte altre imprese. Si instaurano delle forze straordinarie tra le persone. Oggi siamo un gruppo che fa circa 440 milioni di euro di ricavin un ebitda di 60-62 milioni e che in due anni vuole superare i 500 milioni con un ebitda che salirà a tre cifre”.