di Maurizio Ria,
managing director di Duke&Kay
In queste settimane, oltre a essere stati travolti dall’emergenza sanitaria, tutti gli operatori politici, economici e bancari stanno partecipando a webinar, conversazioni e discussioni per cercare di individuare le possibili soluzioni che permettano la ripartenza accelerata dell’economia italiana.
In questo ambito è importante ricordare che ante Covid, le banche italiane erano già sedute su circa 155 miliardi di euro di crediti deteriorati (NPE o non performing exposures) di cui circa 75 miliardi di UTP (unlikely to pay). Questi ultimi sono crediti incagliati relativi ad aziende di tutte le dimensioni e di tutti i settori merceologici.
Recenti deliberazioni del Comitato di Basilea ed EBA, hanno allentato la presa in tema di forbeance (si veda altro articolo di BeBeez) e sospeso l’applicazione del calendar provisioning, con quest’ultimo che in origine obbligava le banche al rientro di tutti gli UTP in 24 (36) mesi per i crediti chirografari e 7 (9) anni per quelli garantiti.
Alcune recenti report (per esempio quello di PwC dello scorso dicembre, si veda altro articolo di BeBeez) dicono che circa il 55% degli UTP è relativo alle imprese di costruzioni e immobiliari-real rstate, mentre la parte restante fa capo ad attività industriali, commerciali, di servizi. Per tutte comunque parliamo di organismi “malati” o in convalescenza. Sicuramente debilitati.
Immaginiamo ora che a queste si aggiunga una platea di altre aziende, originariamente “sane”, che si trovano con urgenti problemi di liquidità. Pronte quindi a diventare a loro volta “nuovi UT”; quelli che ha citato Giovanni Bossi nelle sue considerazioni espresse nella NPLCall di venerdì 3 aprile si veda l’Insight View di BeBeez per gli abbonati a BeBeez Newss Premium)
Alcuni studi (CRIF-Workinvoice del 19 marzo; Leanus-BeBeez del 28 marzo) stimano le necessità finanziarie di tutte queste realtà in 10-15 miliardi di euro nei prossimi 3 mesi. Diversi validissimi professionisti (Rinaldi, Stanghellini, Guiotto, solo per citarne alcuni) hanno ipotizzato un percorso per erogare liquidità attraverso le banche e con l’intervento della garanzia statale, sotto forma di Strumenti finanziari partecipativi (SFP).
Un recentissimo articolo dell’Università di Padova ha anche ipotizzato, per limitare l’impatto delle perdite di questo periodo sul Patrimonio Netto delle società, di “sospendere”, attraverso la capitalizzazione, i costi del lavoro, delle materie prime e delle merci in questa fase assolutamente straordinaria, inserendoli in una nuova voce dello stato patrimoniale definita “costi a recuperabilità differita”, con l’avvallo di un revisore, così da poterli ammortizzare in 5 anni.
Infine in queste ore il Governo sta studiando un Decreto Legge per misure urgenti a sostegno delle aziende (aggiuntivo alle iniziative già anticipate nel precedente “Cura Italia”, si veda altro articolo di BeBeez). È presumibile quindi che l’immissione di liquidità sarà quanto più rapida possibile. Ma tutti questo sforzi dovranno confrontarsi con la gestione diretta delle aziende.
Immaginate come, anche supponendo di avere la liquidità richiesta, buona parte dell’imprenditoria italiana, presumibilmente non abituata a tali condizioni, possa trovarsi a gestire una situazione di crisi industriale. Riprendere le fila della supply chain, ottimizzare i costi, velocizzare e riattivare i canali distributivi, cercare di recuperare il fatturato perduto. In sintesi, i soldi disponibili non creano il fatturato e non articolano le organizzazioni e/o i processi aziendali per rispondere velocemente alle difficoltà.
Abbiamo già visto come la “gestione” di queste situazioni da parte delle banche (nei casi “single name”) e/o delle “piattaforme” che si sono cimentate nella guida di portafogli di aziende UTP in questi ultimi anni abbia sortito effetti limitati (solo il 12% degli UTP torna in bonis, il 15% va in sofferenza, oltre il 70% resta UTP per anni, fonte PwC ), proprio perché il puro approccio finanziario non ha saputo fare le scelte industriali.
Per fare questo credo ci vogliono sicuramente gli strumenti sopra citati (o una loro opportuna combinazione), magari integrate da una forma di incentivazione (statale) per le banche a far uscire dai propri libri gli UTP per affidarli a nuove strutture adeguate alla complessità dei temi da affrontare.
Come anche Angelo Bonissoni (CBA) in un suo recente intervento per BeBeez ha sostenuto, penserei a piattaforme con risorse adatte; certamente dotate di capacità per erogare la nuova finanza necessaria in questi casi ma, soprattutto, di un certo numero di executive industriali, già esperti di risanamento nei diversi settori di maggiore rilevanza nazionale. E non stiamo parlando di un elementare intervento di interim management, poiché questi nella stragrande maggioranza dei casi, non hanno l’esperienza per guidare situazioni critiche. Alcuni recenti esempi di questo genere (che hanno visto l’introduzione in azienda di uomini scelti da “uomini di finanza” o da head hunter completamente digiuni di crisi aziendali) hanno ben chiarito come sia giunto il momento (parafrasando le affermazioni di ieri del direttore del Corriere della Sera, Luciano Fontana) per cui “questa crisi potrebbe chiudere l’era dell’incompetenza”.
Questi sono uomini che oltre la competenza tecnico professionale, devono avere capacità psicologiche superiori, opportunamente selezionate negli anni, atte a gestire condizioni talvolta di panico sia degli imprenditori sia del personale. La scelta e il coordinamento di questi deve essere realizzata da strutture abituate a gestire molteplici casi di crisi aziendali in contemporanea, focalizzate sui tempi e sui risultati attesi, così da garantire al meglio tutti gli attori: banche, imprenditori, lavoratori, comunità di riferimento, per consentire il ripristino di condizioni di “normalità” in tempi rapidi.
Penso che questi manager siano l’equivalente (con le dovute distinzioni) delle strutture ospedaliere che si sono fatte carico di affrontare il coronavirus nei reparti di terapia intensiva. Non possiamo mettere in questi reparti degli “incompetenti” ancorché volenterosi.
Il messaggio forte che deve passare è che questa fase emergenziale ha avuto e ha sulle aziende come principale effetto quello della crisi di liquidità, maggiormente accentuato per aziende già in difficoltà. Il supporto che verrà dallo Stato e dal sistema finanziario non potrà tuttavia risolvere i problemi industriali. Per quelli sarà necessaria una cura profonda, con il bazooka in mano a idonei tecnici d’azienda.
Vale infatti una volta di più il vecchio detto …… “Fanno più danno gli stolti dei malvagi”.