Il Tribunale di Milano ha decretato il fallimento della casa editrice torinese Utet Grandi Opere (si veda qui la sentenza). La sentenza è di metà ottobre ma la notizia si è diffusa soltanto in questi giorni. La società aveva depositato il 24 marzo scorso la richiesta di concordato preventivo (si veda altro articolo di BeBeez).
Il tribunale con la sentenza di fallimento di Utet Grandi Opere ha preso atto: dello stato di insolvenza dell’editore; della sospensione di ogni attività di vendita; della comunicazione del recesso a tutta la rete commerciale e distributiva; dell’assenza di eventuali interessati alla continuazione in via indiretta dell’attività di impresa; del fatto che nessun socio abbia voluto prestare la finanza necessaria per la proposizione del concordato; delle perdite dell’azienda. Il giudice Luca Giani ha nominato curatrice fallimentare Roberta Zorloni. L’adunanza dei creditori per l’esame dello stato passivo è stata fissata per il 2 marzo 2021.
Utet Grandi Opere al 31 agosto 2020 aveva passività superiori alle attività (6,5 milioni contro 2,26 milioni), con una perdita di 566 mila euro. Ma la crisi durava da tempo: la società aveva già archiviato il 2018 con perdite per 1,7 milioni, a fronte di un fatturato di poco più di 5 milioni. Secondo il ricorso presentato al tribunale per la richiesta di concordato, la crisi dei ricavi di Utet era stata dovuta a: ridimensionamento della rete commerciale (dai 70 agenti del 2017 ai 33 del 2018); riduzione delle linee di credito delle banche; e impossibilità di vendere porta a porta a causa dell’emergenza sanitaria da coronavirus. Secondo quanto riferisce la controllante Cbi, vi erano state alcune manifestazioni di interesse per ricapitalizzare Utet Grandi Opere, che tuttavia non si erano concretizzate.
Intanto, nella sentenza di fallimento si legge che l’attivo patrimoniale e i ricavi erano in discesa continua da tre anni. L’attivo era passato dai 12,4 milioni del 2016 agli 8,2 milioni del 2018 e i ricavi erano scesi dai 13,3 milioni del 2016 ai circa 8 milioni del 2018. Anche i debiti erano comunque scesi, passando nel periodo da 9,94 milioni a 6,93 milioni. Ciononostante, si legge ancora, le circostanze “dimostrano come l’imprenditore non abbia più credito di terzi e mezzi finanziari propri per soddisfare regolarmente e con mezzi normali le proprie obbligazioni”.
Utet Grandi Opere è stata fondata a Torino nel 1791 dai fratelli Pomba in associazione con Giuseppe Ferrero, che pubblicò nel 1841 la prima enciclopedia italiana. La società nel 1854 si è trasformata da piccola bottega familiare a grande azienda editoriale tipografica. Nel 1861 ha stampato il primo dizionario della lingua italiana e in seguito numerosi grandi classici.
Utet Grandi Opere è controllata da Cose Belle d’Italia (Cbi), tramite il veicolo Arca, posseduto al 90% da Cbi e al 10% da Marco Castelluzzo, presidente e amministratore delegato di Utet, mentre soci di minoranza sono, fra gli altri, Gabriele Galateri di Genola e l’avvocato torinese Marco Weigmann.
Il 26 marzo scorso, Cbi ha deciso lo scioglimento a causa dell’andamento delle società partecipate e del “contesto di mercato avverso, dovuto principalmente all’emergenza sanitaria in corso, che rendono impossibile elaborare un piano in continuità e di rilancio del gruppo” (si veda altro articolo di BeBeez). In particolare, il coronavirus aveva bloccato completamente le attività delle controllate Utet Grandi Opere e Bel Vivere (che si occupa di vendita di pubblicità sulle testate). Cbi al 29 febbraio scorso aveva un patrimonio netto inferiore al limite previsto dall’articolo 2447 del codice civile e negativo per 265 mila euro, a fronte di un capitale sociale di 1,62 milioni di euro. La società ha conseguito nel 2018 ricavi per 294 mila euro e una perdita di 3,79 milioni.
Cose Belle d’Italia, con sede a Milano e presieduta da Stefano Vegni, opera e investe attraverso crescita organica e acquisizioni mirate nel mondo dell’arte, della cultura e del lifestyle tramite marchi storici e eccellenze italiane. A oggi in portafoglio ci sono: Cose Belle d’Italia Media Entertainment, Alberto Del Biondi, Vismara Marine, FMR, UTET Grandi Opere, Arte del Libro, Industria del Design, Antica Tostatura Triestina, Maestria, e i marchi Laverda Collezioni e Nerocarbonio. Cose Belle d’Italia ha inoltre creato un polo intrattenimento che ingloba riviste, siti web ed eventi dedicati al bel vivere italiano, quali Amadeus, Il Mondo del Golf Today, Sci-Il Mondo della Neve, La Madia Travelfood, Belvivere e Watch Digest.
La società era quotata sul MTA di Borsa Italiana, ma il 27 marzo scorso, a seguito dell’annuncio di scioglimento, è stata sospesa dalle contrattazioni (si veda Teleborsa). Cbi fa capo ad Achirot spa, che detiene il 67,808% del capitale e dal 26 giugno 2019 è la nuova denominazione sociale di Europa Investimenti Special Situations spa (si veda qui il comunicato stampa), veicolo di investimento che faceva capo a Europa Investimenti spa, società specializzata in investimenti in aziende in distress e nell’acquisizione di crediti deteriorati e Npl, che a sua volta nel marzo 2018 era stata acquisita dal gruppo Arrow Global (si veda altro articolo di BeBeez). In quell’occasione Cose Belle d’Italia e tutte le società da questa controllate, non erano state oggetto di acquisizione da parte di Arrow Global Group ed erano passate sotto il controllo di Vegni, che contestualmente aveva lasciato Europa Investimenti (scarica qui il comunicato stampa di allora).
Achirot ha dichiarato di non poter supportare finanziariamente un piano di rilancio di Cbi, come fatto sino ad ora, e ha reso nota la sua intenzione di votare a favore del mantenimento dello stato di liquidazione della società. Cbi aveva avviato iniziative correttive in precedenza: la proposizione di concordato da parte di Bel Vivere, l’intervento del fondo di integrazione salariale per tutti i dipendenti e della cassa integrazione guadagni da parte della controllata Utet Grandi Opere, la cessione dell’intera partecipazione in Media Entertainment srl e di alcuni diritti di proprietà intellettuale funzionali allo svolgimento del business di quest’ultima. Che però non sono bastati a scongiurare il suo scioglimento.