Si conclude finalmente il lungo iter di gestione della crisi di Officine Maccaferri spa, leader globale nel settore dell’ingegneria civile e ambientale con 23 stabilimenti in 4 diversi continenti, oltre 3.000 dipendenti e una presenza commerciale in oltre 130 paesi. Ieri, infatti, Il Tribunale di Bologna ha emesso il decreto di omologa del concordato preventivo in continuità aziendale, dopo che i creditori hanno dato il loro via libera al piano la scorsa primavera e dopo che l’intero capitale della società è stato trasferito alla newco OM Topco sarl, società partecipata dai soci dell’Ad-Hoc Group, il gruppo di investitori composto da Carlyle Global Credit Investment Management, Man GLG e Stellex Capital Management, originariamente i principali sottoscrittori del bond da 190 milioni di euro cedola 5,75% a scadenza 2021 emesso da Maccaferri nel 2014 (si veda qui il comunicato stampa).
Gli advisor per l’operazione, coordinati dal Chief Restructuring Officer, Sergio Iasi, sono stati: Studio del Prof. Avv. Andrea Zoppini e degli Avvocati associati e DLA Piper per gli aspetti legali; Studio Trombone Dottori Commercialisti Associati per gli aspetti amministrativi; Boston Consulting Group nell’ambito del restructuring; Rothschild & Co. per gli aspetti finanziari.
Ricordiamo che il Tribunale di Bologna aveva ammesso Officine Maccaferri alla procedura di concordato preventivo nell’ottobre 2021, dopo che nel luglio dello stesso anno aveva depositato un’ultima nuova versione del piano concordatario (si veda altro articolo di BeBeez). Contestualmente era stata fissata per il 16 febbraio 2022 l’adunanza dei creditori (si veda altro articolo di BeBeez), poi spostata al 6 aprile (si veda qui il comunicato stampa). I creditori si erano poi espressi con voti favorevoli complessivi per circa 238,8 milioni di euro, corrispondenti a circa il 98,47% dell’importo complessivo dei crediti ammessi al voto, rappresentanti la maggioranza in tutte e quattro le classi di creditori(si veda qui il comunicato stampa). Pochi giorni prima, a fine marzo, si era invece espressa a favore del piano concordatario l’assemblea degli obbligazionisti con voti favorevoli rappresentanti circa 141,7 milioni di euro di bond, pari al 74,57% del totale delle obbligazioni emesse (si veda qui il comunicato stampa).
Il decreto di omologa dà dunque avvio all’esecuzione del piano concordatario, che la società prevede di portare a termine entro la fine del 2022. In questa direzione, i prossimi passi nell’attuazione del piano saranno rappresentati dalla sottoscrizione dell’aumento di capitale che sarà realizzata da OM Topco per complessivi 60 milioni di euro e dall’approvazione dei bilanci relativi agli esercizi 2019, 2020, 2021.
A quest’ultimo proposito, la nota di Officine Maccaferri diffusa ieri precisa che la strategia di crescita della società ha consentito di registrare risultati eccezionali nel 2021, anno record nei 142 anni di storia del gruppo e che anche nel primo semestre del 2022 il gruppo ha registrato una crescita significativa in tutte le aree geografiche e in tutte le divisioni.
Lapo Vivarelli Colonna, ceo di Officine Maccaferri, ha commentato: “Officine Maccaferri rappresenta uno standard di eccellenza del settore e siamo estremamente fiduciosi che il gruppo sia avviato verso un futuro luminoso. Questo decreto conferma la solidità del nostro piano, che è stato valutato positivamente dai Commissari e dal Tribunale di Bologna. Il nostro piano di crescita, ben sostenuto dagli azionisti, prevede di continuare a concentrarsi sull’offerta di soluzioni innovative e sostenibili per la nostra base diversificata di clienti su scala globale”.
Quanto ai tempi, Vivarelli Colonna ha detto ieri al Resto del Carlino: “Nei prossimi giorni approveremo i bilanci degli ultimi tre anni, poi entro fine mese potremo procedere con l’aumento di capitale, mentre i creditori saranno liquidati entro l’anno“.
Ricordiamo che l’Ad Hoc Group si era aggiudicato il 100% del capitale sociale di Officine Maccaferri a seguito dell’asta indetta dal Tribunale a inizio dicembre 2020, e si era impegnato a ricapitalizzare il gruppo al momento dell’ottenimento dell’omologa con le risorse necessarie a dare atto al piano concordatario (si veda altro articolo di BeBeez). Ma alla fine dello stesso dicembre 2020 il Tribunale aveva bocciato per la seconda volta il piano di AHG per Officine Maccaferri. Infatti nel maggio 2020 l’azienda aveva depositato presso il Tribunale di Bologna una prima richiesta di concordato preventivo con riserva, dopo aver sottoscritto un accordo quadro di ristrutturazione con gli investitori di Ad Hoc Group (si veda altro articolo di BeBeez). Questi ultimi avevano presentato un primo piano di ristrutturazione di Officine Maccaferri che prevedeva l’erogazione di nuova finanza prededucibile per 60 milioni da parte del fondo e dei e suoi coinvestitori a favore di Officine Maccaferri. Il piano però non era piaciuto al Tribunale di Bologna, che aveva chiesto così delle modifiche (si veda altro articolo di BeBeez). Ma neanche la seconda versione del piano aveva incontrato il gradimento dei giudici bolognesi, che avevano contestato il prestito ponte da 40 milioni che avrebbe dovuto garantire la continuità aziendale di Officine Maccaferri. Il tribunale aveva infatti sottolineato una serie di costi occulti, la presenza di contratti collaterali con rimandi al diritto inglese, garanzie su altre società del Gruppo Maccaferri che non potevano essere concesse, potenziali conflitti di interesse che avrebbero danneggiato gli altri creditori (si veda altro articolo di BeBeez). Nel luglio 2021 Officine Maccaferri aveva quindi depositato un’ultima nuova versione del piano concordatario (si veda altro articolo di BeBeez), che finalmente ha appunto incontrato il benestare del Tribunale, che quindi nell’ottobre dello stesso anno ha poi ammesso il gruppo al concordato preventivo.
Quanto a SECI, la holding con cui la famiglia Maccaferri controllava l’intero gruppo, compresa Officine Maccaferri, ricordiamo invece che sempre il Tribunale di Bologna ne aveva dichiarato il fallimento nel luglio 2021 (si veda altro articolo di BeBeez) e che nel novembre 2021 la Corte d’Appello di Bologna aveva respinto il ricorso della società contro la sentenza, confermandone quindi il fallimento (si veda altro articolo di BeBeez).
SECI è gravata da un debito complessivo lordo di circa 750 milioni, di cui circa 500 milioni sono debiti finanziari (tra banche e 90 milioni di bond), gran parte dei quali nel corso dell’ultimo anno sono stati ceduti a forte sconto dalle banche e altri istituti finanziari a vari fondi specializzati. In particolare ad Apollo Capital Management (si veda altro articolo di BeBeez), dopo che la famiglia Maccaferri aveva respinto al mittente la proposta di salvataggio fatta recapitare dalla stessa Apollo attraverso il suo advisor esclusivo per l’Italia Apeiron Management (si veda altro articolo di BeBeez). Ma anche SC Lowy, Europa Investimenti e Taconic hanno partecipato ad aste per acquisire parte dei crediti (si veda altro articolo di BeBeez).
Tra gli asset di SECI, che attira l’interesse dei fondi, c’è soprattutto il 51% di Manifatture Sigaro Toscano (MST), che non è stata toccata dalla crisi della casa-madre. MST ha chiuso il bilancio 2021 con ricavi per 115,7 milioni (da 106 milioni di euro nel 2020), un ebitda di 39,1 milioni (da 34,2 milioni) e un debito finanziario netto di 45,9 milioni (da 49,1 milioni) (si veda qui il report di Leanus, dopo essersi registrati gratuitamente). Sulla base dei dati di bilancio prospettici 2020 i rumor di mercato valutavano MST attorno ai 200 milioni (si veda altro articolo di BeBeez). Il restante 49% di MST fa capo alla Antelao spa di Piero Gnudi (ex ministro nel governo Monti ed ex presidente dell’Enel), alla MCG holding srl di Luca Montezemolo (ex numero 1 della Ferrari), alla Comunimpresa srl di Aurelio Regina, alla Aragon Value Leadership srl di Francesco Valli e a Matteo Tamburini.
Ricordiamo in particolare che il bond di SECI, che era stato emesso in due tranche, una da 70 milioni a gennaio 2019 e l’altra da 20 milioni nel marzo successivo, ha tra le garanzie proprio il pegno sul 46,1% delle azioni di MST. L’operazione era stata condotta allora per spostare in mani amiche il pegno sino a quel momento in capo a Credit Suisse. I bond pagano una cedola annua del 6% annuo più il 2,5% PIK, cioé da corrispondersi alla scadenza nel 2023 ed erano stati sottoscritti inizialmente da tutti gli azionisti di MST (si veda altro articolo di BeBeez).