Il gruppo Mossi Ghisolfi ha comunicato nei giorni scorsi ai sindacati di aver inoltrato la richiesta al governo per aprire dal primo novembre e per un anno, la cassa integrazione straordinaria per 50 dipendenti Biochemtex, centro di ricerca fra Tortona e la frazione di Rivalta Scrivia (con 46 impiegati fra ingegneri, analisti e personale amministrativo, più 4 operai), 56 dipendneti della M&G Finanziaria di Assago Milano e 121 dell’impianto di Crescentino vicino a Vercelli (63 impiegati e 58 operai) dove viene prodotto etanolo di seconda generazione. In totale sono 227 i lavoratori coinvolti.
La decisione del gruppo guidato da Marco Ghisolfi e presieduto dal padre Vittorio, si inquadra nell’ambito della crisi del gruppo leader nell’innovazione applicata al settore del PET, dell’ingegneria e dei prodotti chimici rinnovabili derivati da biomasse non alimentari, che sta predisponendo due piani di ristrutturazione del debito, uno negli Usa e uno in Italia, per riequilibrare la situazione finanziaria e trovare nuovi investitori, preferibilmente tra soggetti industriali, in grado di assicurare la continuità del business (si veda altro articolo di BeBeez).
Il gruppo negli Usa potrebbe a breve chiedere la protezione dai creditori nell’ambito di una procedura di Chapter 11, mentre in Italia è probabile che faccia domanda di concordato in bianco.
Al lavoro c’è uno stuolo di consulenti. Sul fronte americano, advisor finanziario è Rotschild, mentre sul fronte legale sono schierati gli avvocati di Allen&Overy e di Jones Day. Sul fronte italiano ci sono invece l’advisor finanziario Mediobanca, quello legale Gianni Origoni Grippo Cappelli & Partners e lo studio della commercialista Stefania Chiaruttini. Sul fronte del restructuring industriale, invece, è stato chiamato Alvarez& Marsal, che segue le operazioni direttamente negli Usa, ma che ha anche contatto diretto in Italia con gli headquarter di M&G.
Fondata nel 1953 e controllata dalla famiglia Ghisolfi, Mossi Ghisolfi è leader nell’innovazione applicata al settore del PET, dell’ingegneria e dei prodotti chimici rinnovabili derivati da biomasse non alimentari, con un fatturato 2016 di 1,7 miliardi di euro (da 1,83 miliardi del 2015) e un ebitda di 83,4 milioni (da 141,1 milioni), in calo a seguito dei costi pre-operativi del più grande impianto integrato di produzione d PTA/PET a Corpus Christi in Texas (16 milioni) e dei margini positivi (9 milioni) incassati nel 2015 per la vendita di una porzione di terreno sempre a Corpus Christi.
Il tutto ha portato poi a una perdita di 55 milioni (da 51,3 milioni l’anno prima) e a un debito finanziario netto di 1,8 miliardi (da 1,2 miliardi), con il debito che è cresciuto soprattutto sempre in relazione al finanziamento dell’impianto di Corpus Christi, che nel tempo ha richiesto molti più investimenti di quanto previsto inizialmente. Sinora i capitali per questi investimenti sono stati forniti dalla holding italiana, ma questo spostamento ingente di risorse ha creato a cascata un problema sullo sviluppo del business italiano, dove peraltro si sono sommate anche delle difficoltà tecniche in relazione ai risultati attesi dalla messa in opera dell’impianto a biomasse. Per questo motivo, si cerca un investitore anche per le attività italiane.
Qui di seguito la spiegazione dettagliata, contenuta nella Relazione al bilancio 2016, circa gli esborsi che ha dovuto sostenere il gruppo per l’impianto in Texas.
Secondo quanto riferito nei giorni scorsi da Il Messaggero, il debito verso le banche italiane (Unicredit, Intesa Sanpaolo, Banco Bpm) e fondi internazionali ammonta a circa 600 milioni di euro, mentre quello vero le banche estere (in particolare BofA Merrill Lynch e Deutsche Bank) sarebbe di circa un miliardo di dollari.
Secondo quanto riferito da Reorg Research, dopo un buyback condotto al prezzo di 45 centesimi a fine 2010 (si veda qui Bloomberg), ci sono poi ancora in circolazione circa 70 milioni di euro di bond perpetui emessi da M&G Finance Luxembourg sa del totale di 200 milioni emessi nel 2007, che sono in portafoglio ai fondi internazionali, tra i quali quelli di Invesco e Pioneer. Il gruppo ha sospeso il pagamento delle cedole per risparmiare liquidità, così come permesso dal regolamento del bond, in casi di difficoltà.