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Le fintech e insurtech italiane hanno raccolto 2 mld euro dal 2009. Le cifre dell’Osservatorio Polimi

Valentina MagribyValentina Magri
15 Dicembre 2021
in Dati e analisi, Dati in Italia, Fintech, Venture Capital
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di Valentina Magri e Giuliano Castagneto

Il fintech e insurtech italiano è in costante crescita e oggi risulta composto da 564 imprese: il 53% startup, il 24% pmi innovative, il 21% scaleup, il restante 2% corporate. Una costellazione di aziende innovative che dal 2009 al 2021 in tutto hanno raccolto 2 miliardi di euro dagli investitori, con un valore medio di 3,6 milioni, ma con una forte accelerazione negli ultimi anni. Tuttavia, i fondi sono molto concentrati e sono pochissime le società che hanno raccolto più di 10 milioni di euro, mentre sul totale delle 564 società mappate, meno della metà ha raccolto capitali dagli investitori di venture capital. E’ quanto emerso ieri dal convegno Fintech & Insurtech: è ora di puntare sulla collaborazione!, organizzato dall’Osservatorio Fintech & Insurtech della School of Management del Politecnico di Milano, durante il quale sono stati presentati i risultati dell’edizione 2021 dell’Osservatorio (si vedano qui il comunicato stampa e qui la presentazione completa).

La tendenza è confermata anche dal Report BeBeez su 11 mesi di fintech 2021 pubblicato oggi da BeBeez (disponibile per gli abbonati a BeBeez News Premium e BeBeez Private Data), da cui emerge che 55 startup e scaleup fintech (incluse le insurtech) italiane o fondate da italiani da inizio anno hanno raccolto oltre 870 milioni di euro dagli investitori di venture capital, una cifra che è già ben oltre i 780,5 milioni di euro raccolti in tutto il 2020 da tutte le startup e scaleup non solo fintech, ma di qualunque settore (si veda qui il Report Venture Capital 2020 di BeBeez). Non solo. Sempre le startup e scaleup fintech italiane o fondate da italiani, dal 2018 a oggi hanno raccolto oltre 1,7 miliardi di euro, solo considerando le 63 società che hanno raccolto da un milione di euro in su (anche in più round) e appunto soltanto gli investimenti in aumento di capitale e non i trasferimenti di quote sul mercato secondario. Il che significa che, se consideriamo anche gli aumenti di capitale in aziende più strutturate, quindi includendo gli investimenti da parte dei fondi di private equity, il dato di raccolta è ben più elevato.

Marco Giorgino

Tornando ai dati dell’Osservatorio, la ricerca mostra che un primo tema cruciale per lo sviluppo del settore in Italia è ancora quello della poca collaborazione tra gli incumbent fintech attivi da tempo e startup, scaleup e pmi innovative. Infatti il Fintech index dell’Osservatorio, calcolato appunto sulle attività di investimento e collaborazione degli incumbent attivi n Italia con startup, scaleup e pmi innovative fintech, si ferma a quota 5,7 punti su 10, ancora sotto la sufficienza. Infatti, se il 69% degli incumbent ha già collaborato in qualche forma con startup, scaleup o pmi innovative fintech, la spesa complessiva in collaborazioni nel 2020 è stata soltanto di 263,8 milioni di euro e anche in questo ambito è forte la concentrazione.

“Il valore dell’indice stride con il fermento delle attività nel settore. Ma manca ancora il lavorare insieme, a livello di ecosistema. Serve un aumento della capacità di confronto e collaborazione tra le varie componenti del sistema”, ha auspicato Marco Giorgino, responsabile scientifico dell’Osservatorio Fintech & Insurtech del Politecnico di Milano.

La maggior parte delle società fintech e insurtech italiane sono nate nel nord e in particolare a Milano. Le realtà italiane con sede all’estero sono poche, ma hanno raccolto consistenti fondi, mentre le startup basate entro i confini nazionali fanno mediamente più fatica a raccoglierne.

“Il 64% delle startup fintech e insurtech opera solo in Italia ma questo è un pericolo, perché il mercato è ampio, ma non quanto quello europeo”, ha ammonito Laura Grassi, direttrice dell’Osservatorio Fintech & Insurtech del Politecnico di Milano. Invece, le startup attive anche all’estero operano prevalentemente in Europa, ma anche in Gran Bretagna e Usa.

Delle 564 realtà attive nel fintech e insurtech italiano, più della metà (il 52%) è costituto da realtà strettamente fintech, insurtech o RegTech, che offrono servizi finanziari come prestiti e finanziamenti (nel 24% dei casi), di pagamento (28%), di asset management (18%) e assicurativi (31%). Un ulteriore 26% sono invece TechFin, realtà che offrono tecnologie pensate apposta per gli attori del settore finanziario e assicurativo. Il restante 22% non offre servizi finanziari né soluzioni tecnologiche, ma abilita l’accesso di attori finanziari a dati, clientela, competenze.

Analizzando il solo ambito insurtech, le realtà innovative sono 130 e si dividono in due categorie: il 64% sono insurtech in senso stretto, ossia offrono servizi assicurativi, mentre il 36% sono tech insurance, ossia offrono tecnologie per gli attori del settore assicurativo. Complessivamente dal 2009 hanno raccolto finanziamenti per 120 milioni di euro, pari al 6% dell’ammontare complessivo.

Ha aggiunto Grassi: “Il volume di capitali raccolti è certamente significativo, ma si può e deve fare di più, soprattutto alla luce della rilevante concentrazione della raccolta in poche realtà: è evidente infatti come l’accesso ai fondi delle fintech e insurtech sia ancora limitato e la provenienza dei capitali sia prevalentemente locale, segno che venture capital e fondi esteri non hanno ancora riconosciuto alto potenziale in queste realtà o trovato il modo per intercettarle. Inoltre, si evidenzia un’alta concentrazione delle quote azionarie in posizioni di controllo: per le nuove sfide della crescita è importante avere compagni di viaggio imprenditoriale che possano apportare conoscenze e competenze, al di là dei capitali”.

Si conferma la crescita dell’adozione, con soddisfazione, di servizi fintech e insurtech da parte dei consumatori, i più gettonati dei quali riguardano il pagamento via smartphone (usato già dal 54% degli italiani) e il trasferimento di denaro tramite app (44%), un segnale di come oramai i dispositivi mobili siano fondamentali negli scambi di denaro. Nei servizi assicurativi, in generale, l’uso delle soluzioni digitali è meno sviluppato, con l’acquisto o rinnovo di polizze in digitale scelto dal 31% dei consumatori, la possibilità di modificare le coperture dal 18% e la gestione dei sinistri da smartphone o tablet dal 15%.

Nell’ambito della richiesta di piccoli finanziamenti, le banche sono ancora il punto di riferimento principale, con il 61% degli italiani che vi si rivolge. Ma emerge la competizione di nuovi attori: il 23% sarebbe pronto a prendere in considerazione i prestiti legati a case automobilistiche (+9%), e il 32% quelli collegati a fornitori di gas e luce (+ 11%). Sebbene la posizione di vantaggio degli attori tradizionali (banche, compagnie assicurative, servizi postali e sgr) sembri confermata, questi mostrano tuttavia un calo dei consumatori che li vedrebbero come riferimento esclusivo.

Molto più ampio il distacco nelle assicurazioni sulla salute, dove le compagnie assicurative restano il riferimento per il 75% dei consumatori. Solo il 26% prenderebbe in considerazione polizze collegate ad associazioni di categorie, mentre il 22% quelle legate ai servizi postali. Anche in questo ambito, però, diminuisce (del 16%) il numero dei consumatori che si affiderebbero esclusivamente alle compagnie assicurative.

Dopo il boom registrato durante il primo lockdown, la pandemia continua a spingere l’uso dei canali bancari digitali da parte degli italiani. Nel primo semestre 2021 sono cresciuti mediamente del 12% gli utenti  consumer online delle banche italiane rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, con punte del 60% per alcuni istituti finanziari.

Ancora più rilevante l’incremento delle transazioni digitali mensili, pari in media al 33% ma con alcune banche che hanno segnato fino a un +110%. Più contenuta, invece, la crescita media dei nuovi clienti acquisiti online (+5%), con alcuni istituti che hanno registrato ottime performance (fino a un balzo del 55%).

Filippo Renga

Filippo Renga, direttore dell’Osservatorio Fintech & Insurtech del Politecnico di Milano, ha evidenziato: “Nell’ultimo anno i consumatori italiani hanno dimostrato una maggiore educazione digitale in ambito finanziario, con una forte propensione a sperimentare sia nuovi servizi innovativi che attori alternativi. La posizione di vantaggio di banche e compagnie assicurative non sembra essere ancora stata compromessa, ma non è immune alla competizione degli attori emergenti. In particolare, la scelta delle banche come punto di riferimento principale nell’accesso a piccoli finanziamenti non va data per scontata, mentre nella gestione del risparmio o nella scelta di un’assicurazione sulla salute gli italiani tendono a preferire in maniera più marcata gli attori tradizionali”.

Non va comunque dimenticato che le aziende sotto i 10 dipendenti  (microimprese), molto numerose in Italia, preferiscono rivolgersi a operatori tradizionali nella richiesta di servizi finanziari ed assicurativi: per il 72% di esse le banche sono attori di riferimento per l’anticipo fatture o i prestiti, mentre per il 64% delle microimprese le compagnie assicurative sono ancora imprescindibili per la richiesta di polizze. In generale, nessun operatore non tradizionale gode della fiducia di più del 7% delle microimprese per servizi finanziari e del 12% per i servizi assicurativi. Nella scelta della banca di riferimento la vicinanza della filiale è un criterio molto importante per il 27% delle microimprese, mentre il 15% ritiene fondamentale l’offerta di servizi. Nel caso della scelta della compagnia assicurativa, è la convenienza economica dei prodotti il criterio di scelta più diffuso, rilevante per il 37% delle microimprese.

Quanto alla sostenibilità, secondo i consumatori italiani, il settore finanziario è tra i più importanti per perseguire obiettivi di sostenibilità sociale (come la riduzione della povertà o l’accesso universale alle cure), posizionandosi al terzo posto tra 11 settori considerati per potenziale contributo al sociale, appena dopo quello dell’Università e istruzione e quello delle coltivazioni. Diversamente, i consumatori non ritengono che il settore finanziario possa particolarmente contribuire alla sostenibilità ambientale, posizionandolo al penultimo posto in classifica per potenziale impatto sull’ambiente, davanti solo all’arredamento. Gli attori finanziari ed assicurativi da tempo offrono prodotti come investimenti ESG o green bond attenti alla sostenibilità, ma più recentemente sono nate soluzioni fintech e insurtech orientate alla sostenibilità. Delle 2.541 startup fintech e insurtech attive a livello mondiale, il 14% offre almeno uno strumento legato alla sustainable fintech, capace di contribuire a uno dei Sustainable Development Goals (SDGs) identificati dall’ONU. Al di là dei classici investimenti ESG o green bond, esistono anche soluzioni di micro fintech e micro insurtech, fino ad app che consentono di investire direttamente in progetti sostenibili.

Sempre in occasione del convegno del Politecnico, ieri 20 player a vario titolo dell’industria finanziaria, tra cui lo stesso ateneo meneghino, la società di consulenza internazionale PwC, lo studio legale BonelliErede, la piattaforma di open banking Fabrick e AgID (agenzia governativa per l’Italia digitale) hanno lanciato l’identità finanziaria: una sorta di Spid che consente di accedere ai servizi finanziari.

Marco Folcia, partner e transformation financial services leader di PwC Italia, ha raccontato: “Nell’ottobre 2020 ci siamo incontrati per creare una codice di identità che permetta all’utente di accedere ai servizi forniti dagli istituti finanziari. La soluzione tramite credenziali che un soggetto ha già, per esempio presso la banca, permette di aprire un altro conto e utilizzare le stesse informazioni e password certificate, senza rifare daccapo il processo di onboarding”.

Giulio Rattone, cio di Fabrick (piattaforma che fa capo al Gruppo Sella e che promuove nuovi modelli di business e servizi bancari favorendo la collaborazione tra istituti finanziari, aziende e fintech), ha chiarito che la società crede molto nei progetti di sistema per il valore che danno ai clienti.

Federico Vezzani, partner dello studio legale BonelliErede, ha sottolineato che “è fondamentale accelerare e semplificare i processi di onboarding e condivisione dei dati per migliorare l’esperienza del cliente e sviluppare nuovi servizi con diverse modalità”.

Tommaso Faelli, anch’egli partner dello studio legale BonelliErede, ha aggiunto che “la gestione della  privacy è vista spesso dalle aziende come un ginepraio da cui non si esce. Noi però non abbiamo mai trovato ostacoli insormontabili, nonostante il progetto di identità finanziaria fosse complesso e ad alto valore aggiunto, in quanto volto all’innovazione di sistema e non del singolo”. Un altro tema importante da affrontare era che non tutti i portatori di interesse del progetto erano presenti nella sua fase di progettazione: mancavano ad esempio autorità di vigilanza e correntisti. “Come BonelliErede, abbiamo dato un contributo legale portando anche i loro interessi e presidi, in modo che la struttura dell’operazione compatibile sia con le richieste dei regolatori, che con gli interessi dei risparmiatori”, ha assicurato Faelli.

Tags: AgidBonelliEredeFabrickFintechidentità finanziariainsurtechItaliaOsservatorioPolitecnicoPwCRoundventure capital

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