Aumentano del 31%, a 971, le operazioni di m&a in Italia nel 2022 rispetto ai 742 deal del 2021 con target nel nostro paese, per un controvalore pari a circa 89,4 miliardi di euro (+11% dagli 80,5 miliardi del 2021). È quanto emerge dal report sui trend di investimento in Italia EY M&A Barometer – Review 2022 e Preview 2023 realizzato annualmente da EY, che evidenzia come le m&a italiane abbiano chiuso un anno inaspettatamente positivo sia in termini di numero di operazioni che di controvalori (si veda qui il comunicato stampa e qui l’intero report). Guardando solo il solo primo primo semestre, infatti, EY aveva riportato come, a causa dell’inizio della guerra russa in Ucraina, il valore di acquisizione aggregato fosse sceso del 40%, a 30,7 miliardi di euro, rispetto ai 51,3 miliardi della prima metà del 2021 (si veda altro articolo di BeBeez).
Numeri, quelli annuali mappati da EY per l’Italia, che indicano un trend opposto rispetto a quello evidenziato nell’ultimo report di KPMG, Mercato M&A in Italia nel 2022, nel quale la società di advisory mette in luce come lo scorso anno le fusioni e le acquisizioni siano diminuite a 80 miliardi di euro in termini di valore delle operazioni rispetto ai 100 miliardi del 2021. Il tutto spalmato su complessivi 1.184 deal, in calo del 2,5% dalle 1.214 operazioni del 2021. I dati vanno inseriti in un contesto di forti incertezze macroeconomiche e geopolitiche, rispetto a un anno (2021) in cui erano stati spinti al rialzo dalla conclusione dell’operazione Stellantis (circa 20 miliardi di euro) (si legga altro articolo di BeBeez).
Non solo. I numeri di EY mostrano per l’Italia un trend opposto anche a quello evidenziato a livello globale per l’intera industria dell’m&a, che ha registrato 4.153 operazioni, con una riduzione del 28% rispetto alle quasi
5.800 operazioni del 2021 (con riferimento alle sole operazioni di valore unitario superiore ai 5 milioni di dollari). E il crollo è stato evidente anche sul fronte dei valori, con il totale sceso a 3.457 miliardi di dollari dai 5.462 miliardi del 2021 (-36%). I dati globali di EY sono peraltro in linea con quelli mappati per esempio dall’Investment Banking scorecard del WSJ e di Dealogic, che indica che il controvalore delle operazioni è diminuito del 35%, a circa 3.700 miliardi di dollari, di cui 900 miliardi solo in Europa (-27%) e 1.530 miliardi negli Stati Uniti (-41%). Tra le operazioni più importanti nel 2022, il WSJ ricorda al primo posto il takeover di Microsoft su Activision Blizzard, per 75 miliardi di dollari, mentre in Europa, la prima posizione all’opa su Atlantia lanciata da Blackstone ed Edizione Holding della famiglia Benetton per un valore complessivo, incluso il debito, di oltre 46 miliardi (si veda altro articolo di BeBeez).
D’altra parte è stata proprio l’attività dei fondi di private equity a caratterizzare l’m&a del 2022 in Italia. Secondo i calcoli di KPMG, infatti, i fondi sono stati protagonisti di 131 operazioni nell’anno per un totale di 19 miliardi dalle 200 operazioni per 12 miliardi nel 2021, mentre per EY i fondi di hanno completato 347 operazioni di buy-out su target italiane, per un controvalore di 62,4 miliardi di euro (rispetto a 224 operazioni nel 2021, per 42,6 miliardi), toccando un record storico in termini sia di valore sia di volume.
Tenendo conto sia dell’attività di investimento sia di quella di disinvestimento, e considerando le operazioni annunciate dai fondi e quelle condotte da club deal di investitori privati e da holding di investimento, i dati consolidati di BeBeez aggiornati a fine dicembre indicano ben 549 operazioni complessive, di cui 204 di investimenti diretti e 203 di add-on italiane, cioè il 9% in più rispetto alle 497 di fine 2021 (si veda qui il Report di BeBeez Private Equity 2022, disponibile per gli abbonati a BeBeez News Premium e BeBeez Private Data). Quanto al valore delle operazioni, sono state 20 quelle su aziende con enterprise value di almeno 500 milioni di euro, che hanno avuto per protagoniste imprese italiane, in cui è passato di mano almeno il 15% del capitale delle società target. Di queste, 12 hanno riguardato aziende con un ev di almeno un miliardo. Ma c’è anche un discreto numero di deal (8) di dimensioni medio-grandi su aziende con ev da almeno 300 milioni e appena sotto i 400 milioni. Anche nel 2021 si erano chiusi parecchi mega-accordi e molti comunque importanti per gli standard del mercato italiano. In particolare, BeBeez ne aveva contati ben 40 di private equity su aziende con ev di almeno 500 milioni, che avevano avuto per protagoniste aziende italiane con il passaggio di mano di almeno il 15% delle società target. Di questi, 24 deal erano relativi ad imprese con un ev di almeno un miliardo.
Tornando ai numeri di EY per l’Italia, Marco Daviddi, strategy & transactions markets leader Europe West, EY, dice che “si tratta di un dato per certi versi inaspettato. Scenario geopolitico, inflazione, costi energetici, tensioni nelle catene di fornitura e incremento del costo del denaro hanno inciso sul mercato, ma se inizialmente si è ritenuto che potessero determinare un freno in un contesto di incertezza, nella realtà, anche per effetto di una crescita del pil tra le più solide in Europa, il mercato italiano ha mostrato grande lucidità ed efficacia. Il sistema Italia, dopo la crisi legata alla pandemia, sembra aver effettivamente compreso come la leva m&a possa essere un efficace strumento per accelerare i processi di trasformazione aziendali e per acquisire competitività. Infatti, a fronte di un’elevata incidenza dei mega deal, che hanno totalizzato investimenti per circa 56 miliardi di euro, anche il mid market è stato caratterizzato da un’attività particolarmente vivace, con un totale investito pari a circa 33 miliardi, in crescita del 24% rispetto al 2021”.
A livello settoriale, i comparti industrials&chemicals (con il 24%), technology (16%) e consumer (16%) rappresentano i settori di riferimento del mercato per incidenza del numero di operazioni. Evidenziano un trend positivo rispetto al 2021, sempre per incidenza sul totale del numero di operazioni, i comparti technology (+3%), infrastrutture (+2%) e business services (+1%); registrano invece un lieve calo rispetto all’anno precedente – seppure in crescita in termini assoluti – i settori industrials&chemicals (-3%) e consumer (-3%), maggiormente penalizzati dalla spinta dell’inflazione. Anche l’energy ha visto complessivamente una leggera contrazione (-2%) rispetto allo scorso anno, con dinamiche contrapposte tra sotto settori: in rilevante crescita le energie alternative, in difficoltà quello più tradizionale dell’oil&gas.
Per il 2023, EY parla di uno scenario articolato: se da un lato i trend a livello internazionale suggeriscono un atteggiamento prudente per le stime dell’attività di m&a in Italia, dall’altro il sistema Italia ha sinora dimostrato una buona capacità di reazione e risposta. La pipeline di operazioni sul mercato o in procinto di esservi collocate è solida ed in fermento, generalmente in tutti i settori. Il report conferma una certa polarizzazione dell’interesse dei fondi, attesi per il 2023 a confermare il loro ruolo di guida sul mercato, soprattutto nei settori tech, healthcare, pharma, consumer (ma a condizione di avere brand riconoscibili e ad alto potenziale) e infrastrutture (con asset in grado di garantire cash flow stabili). Cresce, inoltre, l’interesse verso i settori di nicchia legati allo sviluppo professionale (education, ricerca e selezione di personale, talent management).
EY sottolinea, infine, un continuo interesse anche di buyer industriali domestici e internazionali nei settori tradizionali del Made in Italy. Sulla scia di quanto sta avvenendo a livello internazionale, joint venture, alleanze e fusioni continueranno ad acquisire maggiore rilevanza in quanto, viene spiegato nello studio, sempre più aziende ritengono che far parte di un ecosistema e collaborare con altre imprese, anche adiacenti al proprio settore, sia un fattore chiave di successo.
E ha concluso Daviddi: “Pesano alcune incognite: il perdurare della crisi militare in Est Europa, la nuova ondata di Covid-19 in Cina, le politiche economiche restrittive da parte delle Banche Centrali e l’incremento generalizzato del costo del denaro, unitamente a un più complesso accesso al debito. D’altro canto, la liquidità presente nel sistema continua ad essere elevata e gli shock degli ultimi anni hanno accelerato una serie di trasformazioni che hanno messo aziende e imprenditori di fronte alla necessità di aprire il capitale alla partecipazione di soggetti in grado di portare risorse fresche e know-how, un fenomeno destinato a perdurare in vari settori. Pertanto nei primi mesi del 2023 è da attendersi una più complessa composizione negoziale tra le aspettative dei venditori e disponibilità degli acquirenti, con un inevitabile freno al completamento dei deal, ma la necessità di continuare a operare una veloce trasformazione dei modelli operativi e di business, all’insegna della revisione delle catene di fornitura, dei mercati target, dell’efficienza operativa e della definizione di nuove modalità di interazione con la clientela, continuerà a favorire una dinamica m&a solida. In tale contesto appaiono rilevanti le scelte di finanza pubblica, la capacità di sostenere l’occupazione e il mantenimento di costi competitivi. E non possiamo non citare il Pnpp che dovrà entrare nel vivo, con gli effetti delle riforme strutturali in via di finalizzazione e dell’avvio degli investimenti annunciati”.