L’aumento della mole di lavoro per le società di recupero crediti italiane non si sta traducendo in maggiori ricavi, né tanto meno in maggiore redditività. Anzi. In tre anni gli utili netti del settore sono diminuiti di ben oltre il 50%, con il calo più rilevante che è stato registrato tre il 2015 e il 2016. Il dato emerge dal rapporto annuale di Unirec (Unione nazionale imprese a tutela del credito), presieduta da Marco Pasini, presentato a Roma lo scorso 11 maggio (scarica qui il Rapporto) e di cui riferisce MF Milano Finanza in edicola da sabato 13 maggio.
Pù nel dettaglio, gli utili sono passati da 24,1 a 21,95 milioni di euro per le società del settore tra il 2014 e il 2015 e sono crollati a 14,2 milioni nel 2016. Il punto infatti è che è diminuita la performance di recupero nonostante il valore delle pratiche affidate sia aumentato a 69,4 miliardi dai 59 miliardi del 2015, pur in presenza di un minor numero di pratiche (35,7 milioni da 38 milioni): soltanto 12,2 milioni di queste sono state recuperate (da 15,6 milioni) per un totale di 8,1 miliardi di euro (da 9,4 miliardi).
Evidentemente dunque si fa più fatica a recuperare i crediti, perché sta diminuendo la qualità delle pratiche affidate oppure perché che sta aumentando la quota degli npl tra le pratiche. L’anno scorso quella quota era il 38% del valore complessivo, ma l’anno prima non era stato fatto questo spaccato per cui non si possono fare confronti.
In ogni caso la conseguenza di tutto ciò è che i costi di recupero aumentano e quindi i margini si riducono sebbene le commissioni siano cresciute al 6,45% dal 5,64% dell’anno precedente. Insomma la situazione è pericolosa. Sembrano però esserci spazi di manovra, visto che, a sentire gli investitori, il fatto di dare mandato a una società di recupero crediti piuttosto che a un’altra dipende certo dalla performance di recupero, mentre il prezzo chiesto per il servizio non è una variabile sensibile.
Contano molto di più la reputazione della società (e quindi anche il fatto di essere associati a Unirec), la qualità del sistema dei controlli interni e la massa di asset gestiti; mentre poco importa che un soggetto sia vigilato o che sia titolare di un rating. Sono questi infatti i risultati di un sondaggio condotto da PwC presso un campione di investitori e di banche e presentati da Gianluigi Benetti, Fs Strategy Deals Leader di PwC, all’evento Unirec, insieme alle ultime stime sulla mole di Npl che potranno passare di mano tra il 2017 e il 2019.
Secondo PwC stiamo parlando di 90-100 miliardi di euro. Sembra un importo enorme, ma in fondo basta contare i 17 miliardi di non performing loan di Unicredit e i 28 miliardi di Mps per arrivare a fine anno già ben oltre i 40 miliardi. E se è vero che le transazioni su npl annunciate l’anno scorso non hanno superato i 14 miliardi, in realtà ne sono state portate a termine ben di più, per un totale di 23,9 miliardi, secondo i calcoli del nuovo osservatorio Credit Village (si veda altro articolo di BeBeez),
Detto questo, oggi sui libri delle banche ci sono 390 miliardi di euro di crediti deteriorati lordi, di cui 258 miliardi di sofferenze e 134 miliardi di altri crediti deteriorati. Inoltre PwC calcola che sui bilanci delle imprese non finanziarie ci siano 50 miliardi di euro di crediti commerciali scaduti