Il gruppo cementiero Buzzi Unicem ha raccolto 250 milioni di euro emettendo Schuldscheindarlehen, una sorta di strumento di debito ibrido tra un bond e un finanziamento, abbreviato tra gli addetti ai lavori con l’acronimo SSD. Si tratta della prima operazione di questo tipo condotta da un’azienda italiana e di una struttura tipica del mercato tedesco.
Non a caso il gruppo Buzzi Unicem aveva già fatto ricorso a questo tipo di strumento in passato per la propria controllata tedesca Dyckerhoff GmbH e la nuova operazione è sostanzialmente un rifinanziamento di quella precedente attualmente in scadenza, contestualmente alla concentrazione della maggior parte del debito sulla holding italiana. Inizialmente l’emissione doveva essere di soli 125 milioni di euro, ma poi la grande domanda ha portato il gruppo a raddoppiare le dimensioni per arrivare appunto a 250 milioni, di cui 50 milioni sono stati lasciati in capo a Dyckerhoff. I libri ordini, con Unicredit come unica banca italiana joint lead arranger, sono arrivati a essere 2,5 volte l’offerta finale con richieste pervenute soprattutto da banche italiane, tedesche e asiatiche.
La caratteristica dell’SSD è che un’impresa si fa finanziare da un limitato numero di investitori, normalmente banche tedesche, e che il finanziamento, a differenza di un normale prestito sindacato, è inserito in una nota che può essere girata a qualunque investitore senza obblighi di comunicazione al debitore. L’SSD per il diritto tedesco non è un titolo di debito e quindi l’emittente non è tenuto alla redazione di un prospetto informativo. Tuttavia l’SSD è ammesso dalla Bce come collateral per le operazioni di rifinanziamento.
Inoltre, l’SSD ai fini contabili non viene generalmente valutato a mark-to-market per il sottoscrittore, come invece accadrebbe nel caso dei bond che, anche quando sottoscritti sotto forma di private placement, sarebbero comunque oggetto di una valutazione periodica basata anche sul confronto con i titoli comparabili
Fino all’entrata in vigore dell’Investment compact, l’SSD era potenzialmente accessibile solo per emittenti italiani dotati di veicoli finanziari (e necessità di finanziamento) esteri, mentre ora il trattamento fiscale degli interessi e del capital gain per gli investitori esteri risulta neutrale anche nel caso di SSD emessi da entità italiane. La novità normativa in questione è infatti quella che estende a tutti gli investitori istituzionali costituiti in Paesi Ue l’esenzione dalla ritenuta del 26% sugli interessi e i proventi derivanti da finanziamenti a medio-lungo termine erogati a imprese italiane.
Tra le imprese italiane, sinora a fare ricorso agli SSD sono state, ma appunto solo tramite controllate estere, solo Telecom Italia nel 2008 (250 milioni di euro a 5 anni) e Pirelli nel dicembre 2012 (155 milioni). Ora, però, l’opportunità per le pmi italiane di utilizzare l’SSD c’è e lo strumento di diritto tedesco potrebbe effettivamente essere utilizzato da una pmi italiana al posto di un minibond, sempre che ritenga di avere più facilità a trovare sottoscrittori con quel tipo di strumento.