Dei circa 30 fondi dedicati al private debt delle pmi italiane che sono stati lanciati, quelli che hanno già investito sono solo una decina, per un totale comunque di oltre 300 milioni di euro. Il dato emerge da un sondaggio condotto da MF-Milano Finanza, utilizzando anche il database di BeBeez. Una cifra discreta, se si pensa che il taglio medio dell’investimento in minibond da parte dei fondi, e delle banche che in alcuni casi li affiancano, è di 5-10 milioni.
La maggior parte di queste emissioni è quotata sul mercato ExtraMot Pro di Borsa Italiana, che a fine luglio ha raggiunto un valore complessivo di bond corporate quotati di oltre 5,2 miliardi di euro spalmati su 128 emissioni. Secondo i calcoli di Epic sim, di questo totale, le emissioni di taglio inferiore ai 50 milioni, cioè i veri e propri minibond, sono 103 per un controvalore complessivo di poco più di un miliardo di euro.
E questo risultato è tanto più importante, quanto più si pensa che gli esperimenti esteri simili hanno avuto destino ben diverso. In particolare, come evidenzia uno studio appena condotto da Crif Ratings, il mercato tedesco, il mercato Mittelstandbond (M-bond), negli ultimi mesi ha subito una forte battuta d’arresto, dopo che almeno 24 imprese emittenti non hanno rispettato il puntuale pagamento delle cedole con gli investitori retail che hanno subito perdite significative. Perché il mercato tedesco, a differenza di quelli italiano e spagnolo, permette ai risparmiatori di prendere posizione sui minibond.
Crif sottolinea nel suo studio che a causa di questi default, “le agenzie di rating locali hanno subito pesanti critiche in quanto molti dei rating assegnati apparivano troppo elevati, con ciò suggerendo ridottissime probabilità d’inadempimento. La reazione degli investitori e degli intermediari è stata particolarmente forte, le Borse di Düsseldorf e Stoccarda hanno rivisto i regolamenti, l’attività si è di fatto interrotta dal marzo di quest’anno e gli operatori sono al momento in apprensiva attesa in vista delle scadenze di rimborso di alcuni prestiti obbligazionari fra settembre e dicembre di quest’anno”. L’M-bond era stato promosso dalle borse di Francoforte, Düsseldorf e Stoccarda per agevolare il finanziamento di imprese piccole e medie non quotate ed era stato avviato nel 2010 come reazione alla scarsità di credito bancario a seguito della crisi finanziaria, o quantomeno all’inasprirsi delle condizioni offerte dal sistema bancario alle pmi anche in Germania.
Con un totale di oltre 10 miliardi di euro di bond quotati, spalmati su 169 emissioni obbligazionarie di 142 società, gli M-Bond sono dotati per la maggior parte dei casi di un rating emesso da una delle quattro agenzie di rating locali. “Per quanto non vi fosse nessun dispositivo circa l’obbligatorietà dei rating, questi sono stati considerati una buona pratica di mercato secondo i suggerimenti di una specifica Commissione, composta anche da rappresentanti delle borse e della Dvfa, l’Associazione tedesca degli analisti finanziari”, spiega ancora Crif. “Così l’M-Bond vede, oggi una copertura significativa (68% delle emissioni obbligazionarie e 53% dei volumi emessi) da parte di queste agenzie domestiche, mentre la copertura da parte delle maggiori agenzie internazionali è trascurabile, visto che solo due emissioni di Deutscge Boerse per 600 milioni di euro ciascuna (equivalenti al 12% dei volumi totali emessi) sono provviste di rating di S&P”.
La situazione è opposta, invece, in Italia, dove oltre il 60% del numero di emissioni è senza rating. L’evidenza mostra che le emissioni superiori ai 100 milioni sono corredate dal rating di una delle tre maggiori agenzie globali, mentre le imprese emittenti obbligazioni d’importo inferiore tendono ad avere il rating di una delle due agenzie domestiche e quindi quello di Cerved o di Crif.
Per contro, fa notare quest’ultima nel suo studio, in Spagna tutte le emissioni sono invece per legge dotate di rating. Lo spagnolo Mercado Alternativo de Renta Fija (Marf) è l’ultimo nato in ordine di tempo (ottobre 2013) e, spiega Crif, prevede “formale registrazione degli intermediari e consulenti degli emittenti e specifici questionari sui bilanci, oltre all’obbligatorietà del cosiddetto Solvency Report rilasciato da un’agenzia di rating sorvegliata dall’Esma”. Tuttavia, aggiunge Crif, la struttura del Marf finisce per essere “troppo regolamentata per soddisfare le esigenze delle pmi di apertura ai mercati dei capitali. Piuttosto, la costituzione del Marf è considerata derivazione diretta degli impegni scaturiti dal programma europeo di aiuti al sistema bancario spagnolo. I ridotti volumi sinora emessi (un miliardo) non possono leggersi come effettivo decollo di questo mercato, a maggior ragione con il recente ritorno di molte imprese all’indebitamento bancario diretto”. A oggi, non si registrano default sul Marf, mentre le prime scadenze non scatteranno prima del dicembre 2018.
Quanto ai rendimenti dei bond, lo studio di Crif indica che la variabilità sul mercato tedesco è la più ampia: si va da un minimo dell’1,125% a un massimo del 12%, con una media non ponderata del 6,4%. Più simile la situazione dei mercati italiano e spagnolo: sull’ExtraMot Pro i rendimenti vanno al 3,5% al 8,5% con una media del 5,7%, mentre sul mercato spagnolo il range è del 4,5-7,5% con una media anche in questo caso del 5,7%.
L’ExtraMot Pro di Borsa Italiana, si diceva, è operativo da oltre due anni e le nuove emissioni continuano a ritmo costante. Ma certo da qui a dire che il mercato è decollato ce ne corre. Indubbiamente i risultati si devono guardare qui sulla lunga distanza e certamente i prossimi mesi dovrebbero riservare buone sorprese, visto anche che ormai il fondo di fondi dedicato agli strumenti di debito delle pmi italiane lanciato dal Fondo Italiano di Investimento ha già deliberato 200 milioni di euro di impegni in otto nuovi fondi di private debt e che ci sono altri dossier sul tavolo del Consiglio di amministrazione in attesa di essere votati.
I fondi più attivi nel settore a oggi risultano quattro: quelli gestiti da Duemme sgr (Banca Esperia) con 76,4 milioni di investimenti, da Anthilia Capital Partners sgr (70,45 milioni), da Finint Investments sgr (55 milioni) e da PensPlan Invest sgr (52.5 milioni). Seguono poi a distanza i fondi di Muzinich, Pioneer Im, Fondo Strategico del Trentino Alto-Adige e Zenit sgr. Una nota per i fondi Emisys Development, Tikehau Capital, Muzinich e Three Hills, che hanno sottoscritto bond ibridi emessi da pmi, adottando lo stesso approccio del private equity sia nella fase di due diligence sulle aziende sia nella gestione dell’investimento, che sarà molto più attiva di quanto non avviene invece di norma nel caso di un finanziamento senior sottoscritto da un fondo di minibond o da una banca.
A oggi le banche più attive sul fronte dei minibond risultano Popolare di Vicenza, Popolare di Bari,Popolare di Milano e Iccrea BancaImpresa. In particolare, Pop Vicenza è stata arranger e lead manager di parecchie emissioni e si è impegnata a mantenere in portafoglio almeno il 5% del controvalore di ogni minibond che porta sul mercato: la banca ha stanziato a bilancio un totale di 250 milioni di euro da investire in minibond. Inoltre, come detto, sono già attive sul settore anche alcune banche che hanno sottoscritto il fondo di minibond di Anthilia Capital Partners sgr, cioè Banca Popolare di Bari, Bper, Bpm, Popso, Creval, Carige e Banca Etruria.