Bnl (gruppo Bnp Paribas) è stata approcciata da più controparti interessate all’acquisto di parte del suo portafoglio di crediti deteriorati. Lo scrive oggi MF-Milano Finanza, riferendo che sul tavolo ci sono almeno due progetti paralleli portati all’attenzione della banca guidata da Fabio Gallia.
Da un lato, c’è quello di CVC Credit Partners, il braccio dedicato agli investimenti nel settore del credito del colosso del private equity CVC, che nell’operazione si farebbe affiancare da Alix Partners. Dall’altro c’è quello di Idea Capital Funds, la sgr di fondi di private equity che fa capo al gruppo De Agostini, che dalla scorsa primavera sta lavorando alla strutturazione di due fondi che puntano a rilevare dalle banche italiane crediti deteriorati verso le imprese (si veda altro articolo di BeBeez).
In entrambi i casi l’idea è quella di creare veicoli che acquistino i crediti da più istituti bancari, in modo da permettere alle banche, che cedono i crediti in cambio di quote di quei veicoli, di ottenere la cosiddetta «derecognition» del credito e quindi di liberare capitale di vigilanza. Il fondo potrebbe poi convertire in equity il proprio credito e iniettare nuova finanza in modo tale da permettere il rilancio del business delle società debitrici, permettendo così agli investitori nel fondo, banche comprese, di ottenere un ritorno.
Si tratta della quadratura del cerchio alla quale il molti operatori di private equity italiani e internazionali stanno lavorando oggi (si veda altro articolo di BeBeez sul nuovo fondo lanciato da Opera sgr).
Secondo i calcoli condotti sulle trimestrali dei principali gruppi bancari italiani da Value Partners, riportata da MF-Milano FInanza lo scorso sabato 6 dicembre, la media ponderata del costo del rischio pagato è scesa a 125 punti base dai 221 pb di fine 2013, il che significa su un totale di 100 milioni di crediti netti alla clientela, le banche in media accantonano 1,25 milioni contro i 2,21 milioni di fine 2013. Detto questo, non è certo che una banca con un valore basso di costo del credito abbia anche un portafoglio crediti di buona qualità. Semplicemente quella banca non ritiene di dover più svalutare i suoi crediti, perché ritiene che quel prezzo rappresenti un tasso di recupero ragionevole.
Alberto Daina, managing partner di Movent Capital Advisors, in occasione di un convegno organizzato la scorsa settimana da Movent e dallo studio legale Tonucci&partners sulle ristrutturazioni aziendali, ha sottolineato che «in Italia molte medie imprese, pur presentando prodotti, conti economici e prospettive potenzialmente interessanti, si trascinano stati patrimoniali sbagliati con indebitamenti figli di scelte errate fatte in epoche molto diverse da oggi. Il rilancio di queste aziende implicherebbe non solo la ricerca di capitali freschi per lo sviluppo ma spesso la contestuale messa in sicurezza di situazioni debitorie potenzialmente pericolose». Il che significa, ovviamente, il coinvolgimento delle banche, per le quali, peraltro, la vita non è per nulla facile nel momento in cui un’azienda cliente entra in procedura, anche perché, ha spiegato Guido Motti, partner di Tonucci & Partners, «i tribunali fallimentari italiani interpretano le norme in maniera molto diversa tra loro, a volte opposta, come capita per esempio in tema di scioglimento o meno di contratti bancari di conto corrente e anticipazione bancaria pendenti (art. 169-bis L.F)».
Secondo Alessandro Pellagatta, dirigente credito anomalo di Banca Popolare Commercio&Industria (Gruppo UBI), «il nostro sistema è troppo sbilanciato solo sul debitore mentre il creditore, finanziario e non, può solo subire. In assenza di capitali di rischio, andrebbero invece tutelati anche i creditori. Non si può solo aspettare che si muova l’imprenditore, ma occorre intervenire quando l’impresa ancora esiste». Da qui la necessità di una figura terza, «un consulente con capacità imprenditoriali e finanziarie, in grado di fare da meccanismo di trasmissione tra banca e impresa e di guardare fisicamente al magazzino più che ai numeri di bilancio, per aiutare l’impresa a tornare in carreggiata», hanno detto Gualtiero Marcobi e Francesco Gallotti, senior partner di Movent.
Per Marco Cavazzutti, responsabile underwriting restructuring di Unicredit, «le banche sono sempre le ultime ad accorgersi del fatto che un’impresa cliente versa in cattive acque, perché i bilanci a disposizione sono sempre rappresentazioni vecchie della realtà e non c’è un meccanismo di allerta. Quanto a tutte le varie proposte di fondi per rilevare i crediti in generale ben vengano, ma devo dire che mi interesserebbe di più una proposta relativa ai soli immobili a garanzia di mutui alle imprese».
Ciò detto, nulla si può fare di realmente utile se non ci sono gli investitori che immettono nelle aziende da recuperare i capitali freschi. Anna Gervasoni, direttore generale di Aifi, in occasione del medesimo convegno, ha detto però che «la raccolta per i fondi di turnaround in Italia è al palo e che per attirare investitori sarebbe necessario creare un fondo di fondi a capitale pubblico che investa in nuovi veicoli lanciati da privati».