Procede secondo le attese il cammino verso la cessione della rete fissa di TIM, il cui closing è previsto entro fine giugno (si veda altro articolo di BeBeez). Ieri il Governo italiano, che parteciperà all’acquisto del 20% di NetCo tramite il MEF-Ministero dell’Economia e delle Finanze guidato da Giancarlo Giorgetti, ha dato il suo placet all’operazione ai fini della normativa Golden Power e, quindi, il via libera alla vendita del controllo al fondo infrastrutturale statunitense KKR tramite Optics BidCo (si veda qui il comunicato stampa di TIM e qui quello di Palazzo Chigi).
La nota del gruppo di telecomunicazioni, diramata prima dell’inizio delle negoziazioni in Borsa, ha spiegato che “il provvedimento autorizzativo, con il quale il Consiglio dei ministri ha esercitato i poteri speciali nella sola forma delle prescrizioni, ha fatto propri gli impegni presentati nel corso del procedimento. Si tratta di impegni ritenuti dal Governo pienamente idonei a garantire la tutela degli interessi strategici connessi agli asset oggetto dell’operazione”.
La nota dell’Esecutivo guidato da Giorgia Meloni ha poi precisato che “il via libera con prescrizioni da parte del Governo italiano alla vendita della rete TIM al fondo infrastrutturale statunitense KKR rappresenta un ulteriore e fondamentale step nell’operazione di acquisizione di NetCo (società che detiene sostanzialmente tutte le infrastrutture di rete fissa di TIM), a tutela dell’interesse nazionale e a garanzia del controllo statale sugli asset strategici della rete primaria di telecomunicazione. Un passo avanti importante nella definizione complessiva dell’operazione, che procede secondo le tempistiche annunciate”.
Palazzo Chigi è sceso poi nei particolari relativi alle prescrizioni. Innanzitutto, “si prevede un ruolo del Governo nella definizione delle scelte strategiche” e “vengono assicurati tutti i presidi essenziali e garantita la supervisione allo Stato di tutti gli aspetti inerenti la sicurezza, la difesa e la strategicità della rete e dei relativi asset”. Inoltre, “la delibera del Consiglio dei ministri recepisce nelle prescrizioni gli impegni che le parti hanno assunto, a cominciare dalla creazione dell’organizzazione di sicurezza, dalla nomina del preposto di cittadinanza italiana, dalla competenza esclusiva su tutte le questioni incidenti sugli asset strategici, dal mantenimento in Italia delle attività di ricerca e manutenzione, e dal monitoraggio”. In questo contesto, conclude la nota, “si delinea un quadro certo di supervisione strategica affidata allo Stato”.
Ai fini autorizzativi, la palla passa ora all’Agcom. TIM deve infatti notificare all’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni la vendita della rete fissa, che dovrebbe comportare benefici regolamentari dal momento che lo scorporo comporta la perdita dell’integrazione verticale con la società dei servizi. Anche in questo caso, dunque, non dovrebbero arrivare sorprese. A fine mese è infine prevista la notifica dell’operazione da parte di KKR all’Antitrust europeo, che dovrà dare il suo assenso affinché l’operazione possa essere perfezionata definitivamente, come anticipato da Reuters.
Tutto questo mentre si va delineando il nocciolo duro di azionisti italiani da affiancare, oltre che al MEF, al colosso del private equity a stelle e strisce e al fondo sovrano Abu Dhabi Investment Authority (si veda altro articolo di BeBeez), due partner stranieri che insieme dovrebbero avere il 65-70% di NetCo. Il compito è affidato, su pressing di Giorgetti e dell’Acri, a F2i. La sgr guidata da Renato Ravanelli, che vede tra i propri soci Cdp Equity, Unicredit, Intesa Sanpaolo e le principali fondazioni bancarie e le casse previdenziali, ha messo in campo i suoi fondi Rete Digitale, Fondo IV ANIA e Fondo V per le Infrastrutture Sostenibili per rilevare con un miliardo di euro il 10% della rete fissa di TIM o addirittura il 15% in caso di ulteriori adesioni al progetto (si veda altro articolo di BeBeez).
Finora hanno deliberato la propria adesione a Rete Digitale la Fondazione Cariplo e la Fondazione Compagnia di San Paolo con 35 milioni di euro ciascuna, la Fondazione Cariparo e la Fondazione Crt con 15 milioni cadauna, Poste Vita con un cifra che potrebbe superare i 100 milioni, assieme ad altri enti morali e casse previdenziali. A questi dovrebbero aggiungersi con 30 milioni di euro a testa anche la Fondazione del Banco di Sardegna e CariLucca e con 20 milioni Fondazione Roma, assieme a una galassia di altri enti morali con importi inferiori. Le casse previdenziali avrebbero invece offerto circa 400 milioni, con Cassa Forense disponibile a fornire 150 milioni, Enpam 100 milioni (più altri 23 milioni complessivi iniettati nel Fondo IV ANIA e nel Fondo V per le Infrastrutture Sostenibili), Inarcassa e Cassa Geometri 50 milioni ciascuna, Enasarco e Cassa dei Commercialisti 25 milioni a testa.
Come detto, tutto dev’essere pronto entro il 30 giugno, quando è atteso il closing con un incasso che può arrivare a 22 miliardi di euro (18,8 miliardi di enterprise value più earn-out) e che mira a ridurre il personale di TIM di 20mila unità (si veda altro articolo di BeBeez).
NetCo partirebbe con un fatturato pro-forma di 13,5 miliardi, un ebitda di 3,2 miliardi, 6,4 miliardi di debito (ridotto di 14 miliardi a seguito dell’operazione) e prospettive di creazione di valore legate soprattutto al Brasile e alla parte servizi.
L’unico tassello che ancora manca è quello relativo al destino di Sparkle, l’infrastruttura di cavi sottomarini di TIM, per la quale si attende un rilancio entro fine mese (si veda altro articolo di BeBeez) con un gap rispetto alla precedente offerta valutato in circa 200 milioni.