L’Antitrust ha autorizzato con condizioni l’acquisizione del controllo esclusivo di Seat Pagine Gialle da parte di Libero, holding che fa capo a Orascom, il gruppo tlc controllato dall’imprenditore egiziano Naguib Sawiris. A Orascom, sempre tramite la holding Libero, fanno capo anche Dada, Italiaonline, Itnet e Wis group (scarica qui il comunicato stampa).
Il via libera dell’Autorità garante per la concorrenza e il mercato è arrivato giovedì 12 novembre a due giorni dalla notizia bomba divulgata dalla Guarda di Finanza di Torino, che riguarda 14 tra banchieri e manager che tra il 2003 e il 2004 facevano parte del consiglio di amministrazione e del collegio sindacale di Seat, al termine di due anni di indagini.
I finanzieri del Nucleo Polizia Tributaria Torino, infatti, “hanno eseguito le misure cautelari interdittive, emesse per il reato di bancarotta fraudolenta, nei confronti di 11 componenti dell’ex consiglio di amministrazione e tre del collegio sindacale di Seat Pagine GIalle spa in carica tra il 2003 ed il 2004, in relazione alle operazioni straordinarie effettuate in quegli anni e alla distribuzione di un maxi dividendo di oltre 3,5 miliardi di euro” (si veda qui il comunicato stampa della GdF).
La nota della GdF ricorda che a metà 2003 la cordata di fondi di private equity aveva acquisito il controllo di Seat “per complessivi 3,1 miliardi di euro, di cui 2,2 facendo ricorso al debito. Successivamente all’acquisizione del controllo, la Seat Pagine Gialle è stata fusa per incorporazione nella Silver spa e quindi, quest’ultima, nella Spyglass spa, con immediato mutamento della denominazione sociale in Seat pagine Gialle spa, così accorciando la catena di controllo verso i fondi private equity. Al termine delle predette operazioni, nel corso del 2004 il Consiglio di Amministrazione di Seat Pagine Gialle spa, espressione dei fondi private equity, ha deliberato la distribuzione straordinaria di un dividendo di quasi 3,6 miliardi di euro”.
Il maxi-dividendo, come molto spesso accade in occasione di buyout da parte di fondi, era servito a rimborsare il debito a monte della catena di controllo ed era stato finanziato con il ricorso al debito da parte della società operativa Seat. Il problema, però, è che il monte di debito che Seat si era trovata sulle spalle negli anni non è più stato sostenibile, perché nel frattempo l’ebitda è crollato sia per colpa della crisi finanziaria globale sia perché il modello di business di Seat, quello delle directories, veniva superato e richiedeva un totale ripensamento.
E infatti la GdF sottolinea che quel dividendo era stato “finanziato attraverso il ricorso a linee di credito, così facendo lievitare l’indebitamento della società a 4 miliardi di euro a fine 2004. Negli anni successivi la storica azienda torinese non è riuscita a sostenere il peso di tale indebitamento, essendo così ammessa al concordato preventivo nel 2013″.
La nota della GdF prosegue spiegando che ” la ricostruzione operata dalle Fiamme Gialle nelle indagini preliminari ha portato a ritenere che il dividendo straordinario distribuito agli azionisti nel 2004, generato da un pesante indebitamento, fosse mosso da logiche di puro profitto dei soci di riferimento, contrario agli interessi della società, in quanto non finalizzato a un miglioramento della struttura patrimoniale e/o finanziaria della stessa ed a danno anche del ceto creditorio”.
Gli ex amministratori e sindaci di Seat colpiti dal Giudice per le Indagini Preliminari, Loretta Bianco,”non potranno esercitare per 12 mesi attività imprenditoriali, professionali e uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese. Tali soggetti ricoprono oggi importanti cariche, anche fino ad una ventina contestualmente, in qualità di amministratori o sindaci, nell’ambito di gruppi societari quotati a livello internazionale e/o di aziende di rilevanti dimensioni”.
La nota della GdF non specifica i nomi degli interessati, ma non è difficile risalirvi. Gli indagati sarebbero l’wx presidente di Seat, Enrico Giliberti, e l’ex ad Luca Majocchi, oltre ai membri del Cda Lino Benassi (banchiere, manager e uomo di fiducia dei Boroli-Drago), Dario Cossutta (Investitori Associati), Guido Gamucci (allora Permira), Luigi Lanari (allora CVC), Michele Marini, Stefano Mazzotti, e Nicola Volpi (allora Permira e oggi consigliere dell’Inter in rappresentanza di Erick Thohir), Alberto Tazardes (Investitori Associati), Marco Reboa economista già consigliere di Mediobanca, Fonsai, Parmalat), e i tre ex sindaci Enrico Cervellera, Vincenzo Ciruzzi e Andrea Vasapolli.
L’operazione a cui si riferisce la GdF è quella che nel giugno 2003 ha portato la cordata di fondi BC partners-CVC Capital Partners-Investitori Associati-Permira a vincere un’agguerrita asta per il gruppo delle directories. E forse il motivo della vittoria era stato che come loro, quella società non la conosceva nessuno degli altri concorrenti. A parte Lorenzo Pellicioli, l’ex amminsitratore delegato di Seat, che aveva però scelto di fare da consulente alla cordata Blackstone-Kkr-Tpg.
I protagonisti di quello che allora rappresentava il più grande buyout mai chiuso in Europa erano infatti per larga parte gli stessi che a fine ’97, in occasione della privatizzazione, promossero l’acquisizione della quota del 61,27% del capitale di Seat dall’Iri tramite la società-veicolo lussemburghese Ottobi. Allora catalizzatore dell’operazione fu Gianfilippo Cuneo che con la sua Bain, Cuneo e associati aveva promosso insieme a Comit il primo fondo di Investitori associati.
Il cuore della cordata vedeva così all’opera i due fratelli Tazartes, Alberto e Antonio, nel 2003 come nel 1997 alla guida, rispettivamente, di BC Partners in Italia e di Investitori associati. In più in Comit, che pure faceva parte della cordata di investitori, avevano seguito l’operazione Dario Cossutta e Michele Marini, poi divenuti partner di Investitori Associati. Alla lista degli investitori non poteva ovviamente mancare Bain capital e si aggiunsero poi De Agostini e CVC Anche nel caso di CVC, la società nata dal management buyout operato dai manager sulla divisione di private equity di Citibank nel ’93, il partner italiano che allora seguì l’operazione era lo stesso del 2003, Luigi Lanari.
Per quei fondi l’operazione si rivelò una miniera d’oro, visto che nel ’97 la cordata pagò al Tesoro 1.655 miliardi di vecchie lire per il 61,27% del capitale ordinario e lo 0,93% delle risparmio, di cui 450 miliardi in equity e 1.200 in debito. L’uscita con la cessione delle quote a Telecom avvenne a un prezzo vicino ai 13 mila miliardi.
Nel 2003 gli stessi che avevano creduto nella prima tornata, ci hanno riprovato. L’unico volto nuovo nel gruppo di investitori era Guido Paolo Gamucci, allora managing director di Permira in Italia, ex Ubs capital ed ex Citicorp.