CDP Equity (CDPE), KKR (attraverso Teemco Bidco srl), Macquarie Asset Management, Open Fiber e TIM hanno firmato un Memorandum of Understanding (MoU) non vincolante per avviare il processo di integrazione delle reti di TIM e Open Fiber (si veda qui il comunicato stampa). Le parti si sono impegnate a negoziare in via esclusiva e in buona fede i termini e condizioni dell’operazione con l’obiettivo di arrivare alla firma degli accordi vincolanti entro il prossimo 31 ottobre.
L’annuncio, arrivato nella tarda serata di ieri, segue quello di inizio aprile, quando TIM aveva firmato a inizio aprile un accordo di riservatezza con CDP Equity (si veda altro articolo di BeBeez) per avviare le interlocuzioni preliminari riguardanti l’eventuale integrazione della rete di TIM con la rete di Open Fiber, di cui Cdp Equity detiene il 60% del capitale sociale, con il resto in mano a Macquarie infrastructure dallo scorso dicembre 2021 (si veda altro articolo di BeBeez). Allora era stata potizzata la data del 30 aprile come scadenza indicativa per la stipula del protocollo di intesa.
Obiettivo del MoU è avviare un processo volto alla creazione di un solo operatore delle reti di telecomunicazioni, non verticalmente integrato, controllato da CDPE e partecipato da Macquarie e KKR, che consenta di accelerare la diffusione della fibra ottica e delle infrastrutture VHCN (Very High Capacity Networks) sull’intero territorio nazionale, permettendo così l’accesso ai servizi più innovativi ed efficienti offerti dal mercato alla generalità della popolazione, agli enti pubblici e alle imprese.
Più nel dettaglio, l’operazione prevede che in prima battuta verranno separate le attività infrastrutturali di rete fissa da quelle commerciali di TIM e che poi le attività infrastrutturali di TIM vengano integrate con la rete controllata da Open Fiber. Ad esito dell’operazione TIM, sul mercato italiano, potrà focalizzare in via prioritaria le proprie attività nei servizi di telecomunicazione e trasmissione di dati.
Ricordiamo che Open Fiber gestisce la più grande rete italiana FTTH, servendo più di 12 milioni di famiglie in oltre 180 centri urbani e più di 2.300 aree rurali in tutto il Paese. Inoltre guida anche la diffusione della banda larga ultraveloce in tutta Italia. Basata a Milano, lo scorso dicembre ha varato il nuovo piano industriale 2022-2031, che prevede circa 11 miliardi di euro di investimenti per la copertura con rete di ultima generazione di circa 24 milioni di unità immobiliari (UI) dagli oltre 13 milioni di UI attuali e a supporto della crescita della base clienti, in coerenza con il target di piano che prevede il raggiungimento dell’obiettivo di take up al 50%. Tali investimenti saranno coperti dall’estensione del financing a 7,175 miliardi di euro, dall’equity e dalla generazione di cassa. A fine piano si prevede una marginalità superiore al 75%, con oltre 2 miliardi di euro di ricavi. Il break even (ebitda al netto degli investimenti) è previsto al 2026.
Il tutto senza contare però gli effetti di un’integrazione con la rete di TIM. Ricordiamo, infatti, che da tempo la vicenda di Open Fiber si intreccia con quella di FiberCop, la nuova società in cui sono confluite la rete secondaria di TIM (cosiddetto ultimo miglio, dalla cabina in strada alle abitazioni) e la rete in fibra sviluppata da FlashFiber, la joint-venture di TIM (80%) con Fastweb (20%) e nella quale nell’aprile 2021 il fondo KKR Infrastructure ha acquisito il 37,5% investendo 1,8 miliardi di euro, sulla base di un enterprise value di circa 7,7 miliardi di euro, mentre Fastweb ha ottenuto il 4,5% in cambio dell’apporto della sua quota di FlashFiber (si veda altro articolo di BeBeez). L’ingresso di KKR e Fastweb nel capitale di FiberCop è sempre stato considerato il primo passo verso la realizzazione di un più ampio progetto di costituzione di una società unica della rete nazionale, necessaria per lo sviluppo del digitale in Italia, che avrebbe dovuto coinvolgere OpenFiber.
A proposito del coinvolgimento di KKR nell’operazione, ricordiamo che, tramontata l’ipotesi di un’opa da parte di KKR sull’intero capitale di TIM, sempre a inizio aprile (si veda altro articolo di BeBeez), KKR aveva lasciato la porta aperta ad altre opzioni, dichiarando di “essere comunque disponibile a esplorare qualsiasi altra operazione nell’interesse della Società, dei suoi azionisti e del Paese”, il che era stato letto come il desiderio di essere coinvolto appunto nell’operazione di creazione di rete unica.
Peraltro, i consigli di amministrazione di TIM e di Cassa Depositi e Prestiti già nell’agosto 2020 avevano approvato una lettera d’intenti tra TIM e Cdp Equity finalizzata a integrare FiberCop con OpenFiber per dare vita ad AccessCo, società aperta anche ad altri investitori e destinata a gestire la rete unica nazionale. AccessCo doveva essere costituita mediante la fusione tra FiberCop e Open Fiber (si veda altro articolo di BeBeez). Ma poi quella lettera d’intenti era rimasta nel cassetto.
Che il progetto stesse avendo un’accelerazione, però, era chiaro da qualche giorno. In particolare, nelle scorse settimane, in occasione del suo intervento al Bloomberg Italy Forum, Francesco Giavazzi, consigliere economico della presidenza del Consiglio, aveva detto: “La rete unica è uno degli obiettivi del governo e succederà”. La conferma di una stretta sul progetto era arrivata anche da Cassa depositi e prestiti. L’amministratore delegato Dario Scannapieco aveva detto infatti: “Una duplicazione degli investimenti sulla rete non ha senso dal punto di vista industriale. Monitoriamo attentamente l’evoluzione di un settore strategico per l’Italia” (si veda altro articolo di BeBeez).
La struttura della prima parte dell’operazione, cioé la separazione delle attività infrastrutturali di rete fissa da quelle commerciali di TIM non è ancora stata definita, ma ricordiamo che CVC Capital Partners a fine marzo aveva recapitato al Cda del gruppo tlc un’offerta non vincolante per il 49% dell’area Enterprise di ServCo, la newco dei servizi del gruppo TIM, che nascerà dopo la separazione da Netco (rete e Sparkle), secondo il progetto di scorporo previsto dal ceo Pietro Labriola (si veda altro articolo di BeBeez). L’offerta, secondo quanto riferito da più fonti, valuterebbe l’area Enterprise circa 6 miliardi di euro, debito compreso, cioé una cifra che si colloca un poco al di sopra del minimo dell’ampio range di valutazione di 5-10 miliardi calcolato da alcuni analisti. Ricordiamo che il fatturato aggregato 2021 delle attività che formeranno l’area Enterprise di ServCo è stato di circa 2,7 miliardi di euro sul totale di 9,9 miliardi dell’intera ServCo (si veda qui la presentazione agli analisti) con un margine ebitda al 27/28%, ovvero di 730-760 milioni di euro. Su queste basi, ha calcolato Bestinver, con un multiplo ev/ebitda 2022 dei competitor pari a 15 volte e considerando che nella ServiceCo l’ebitda 2022 dovrebbe deteriorarsi leggermente, “ci ritroveremmo con un EV di circa 10/10,5 miliardi di euro per il business enterprise”. Peraltro nel frattampo sono tornati a circolare più forti i rumor relativi a un interesse per lo stesso dossier da parte di Apax Partners, come giù segnalato su queste pagine a fine marzo (si veda altro articolo di BeBeez).