Hedge fund e private equity puntano allo shipping italiano, passando per i portafogli crediti delle banche. Lo scrive oggi MF Shipping&Logistica, precisando che tra i dossier più caldi sotto esame ci sono in primo luogo quelli relativi alle shipping company attive nel dry bulk (l’indice Baltic Dry Index in questi giorni è ai minimi storici) da tempo oggetto di ristrutturazione.
Più nel dettaglio, tra le società che stanno attirando le attenzioni dei fondi figurano Perseveranza di Navigazione, Giuseppe Bottiglieri Shipping Company, Gestioni Armatoriali, Four Jolly, Premuda, Navigazione di Cabotaggio, Morfini e Cafima (Blenheim e Augusta Offshore). I fondi sarebbero oltre una decina tra cui York Capital, Oaktree, Attestor Capital, Davidson Kempner, Wayzata, Apollo Global Management, Tufton Oceanic, Centerbridge e Z Capital.
Il fenomeno è iniziato l’anno scorso, quando Unicredit e Ge Capital, tra le banche più esposte nei confronti di Rizzo Bottiglieri De Carlini (RBD), a valle di un accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 182 della Legge Fallimentare omologato dal Tribunale di Torre Annunziata (Napoli) di fine giugno 2013, hanno ceduto le rispettive posizioni a un veicolo controllato da Goldman Sachs.
Le banche più esposte nello shipping italiano sono Unicredit, Mps, Intesa Sanpaolo, Carige e Banco Popolare. L’esposizione finanziaria complessiva dello shipping italiano è superiore a 10 miliardi di dollari secondo i dati di Confitarma (la Confederazione Italiana degli Armatori).
Detto questo, anche per lo shipping vale il solito problema della normativa italiana che favorisce l’imprenditore, senza l’accordo del quale i creditori non possono entrare in possesso delle azioni della società, a meno che il credito in questione non sia garantito da pegno. Quando anche un fondo riuscisse a riunire tutte le posizioni creditori verso una società armatoriale, dovrebbe comunque poi essere certo di poter gestire l’operazione di conversione in equity d’accordo con l’imprenditore. Un punto questo che, spiega a MF Shipping & Logistica Fabrizio Vettosi, direttore di VeniceShipping&Logistics, unito alla distanza tra l’offerte dei fondi e le richieste delle banche fa spesso propendere per soluzioni negoziate in alternativa alla cessione delle posizioni creditorie.
Secondo le statistiche dello studio legale Seward&Kissel (scarica qui lo studio), nel 2013 nel mondo c’è stato il picco di oltre 30 operazioni concluse dai fondi nel settore dello shipping, mentre nel 2014 si è scesi sotto i 15 deal per un controvalore, rispettivamente di oltre 7 miliardi e circa 2 miliardi di dollari. Dal 2008 al 2013 i fondi hanno investito 1,25 miliardi nel business delle navi petroliere, oltre 3,5 miliardi sono finiti tra il 2008 e il 2014 in investimenti per navi cisterna, il dry bulk ha richiamato altri 3,06 miliardi fra il 2008 e il 2014 mentre i container hanno attirato dal 2009 al 2014 circa 4,2 miliardi.
Poco meno di 5 miliardi di dollari è invece il valore delle transazioni che hanno riguardato la cessione di crediti in sofferenza dalle banche ai fondi tra il 2012 e il 2014. Alcuni di questi fondi, Greenbriar, Alterna e Blackstone, sono riusciti già a capitalizzare con soddisfazione i rispettivi investimenti in Ardmore Shipping, Motc e Cerberus negli ultimi due anni.