Sono scaduti ieri i termini per presentare all’advisor JPMorgan le offerte non vincolanti per Pioneer Investment Management, ma le bocche degli attori coinvolti sono chiuse e poco o niente di nuovo è trapelato. Le ultime notizie che erano filtrate nei giorni scorsi indicavano che, su esplicita richiesta dell’amministratore delegato di Unicredit, Jean-Pierre Mustier, gli ammessi a questa fase dell’asta sarebbero soltanto cinque colossi del settore dell’asset management e cioé Allianz, Generali, Poste, Amundi e Macquarie, mentre i fondi private equity, almeno per ora, sarebbero stati lasciati alla finestra (si veda altro articolo di BeBeez). L’unico nome nuovo che ieri è circolato è quello della compagna di assicurazioni francese Axa.
In ogni caso è possibile anche che ciascuno dei soggetti in corsa possa decidere di farsi affiancare da un fondo, così come era accaduto nel caso di Banco Santander, in cordata con Warburg Pincus e General Atlantic, prima che l’intera operazione saltasse (si veda altro articolo di BeBeez), oppure in cordata con qualche asset manager italiano (per esempio Poste possiede già una quota del 10,3% di Anima Holding e infatti, secondo quanto riferito ieri da MF Dow Jones, Poste avrebbe presentato la sua offerta proprio insieme ad Anima e a Cassa Depositi e Prestiti).
I fondi di private equity già in occasione della prima asta si erano affollati sul dossier e in finale erano arrivati Advent International e CVC Capital Partners, quest’ultimo in cordata con GIC-The Government of Singapore Investment Corporation.
Le offerte presentate ieri avrebbero valorizzato Pioneer in un range molto ampio, che va dai 3 miliardi ai 4,5 miliardi di euro. Ai fini dell’accordo con Santander, Pioneer era stata valutata 2,75 miliardi, incluso il debito, cioé poco più di 10 volte l’ebitda atteso per il 2014 di 270 milioni. A fine dello scorso giugno Pioneer gestiva un patrimonio di 220,7 miliardi di euro e dalla semestrale consolidata di Unicredit (si veda pag. 38) risultava un reddito netto di gestione di 165 milioni di euro (da 311 milioni per l’intero 2015) a fronte di un margine di intermediazione di 423 milioni (da 919 milioni). Un incasso di almeno 3 miliardi per Unicredit, dunque, pare assicurato e infatti ieri il titolo a Piazza Affari ha chiuso con un salto del 4,32% a 2,054 euro per azione.