In mancanza di supporti esterni, da parte pubblica o privata, come fondi di private equity, banche o fondi di private debt, Alberto Vacchi con la sua Ima ha pensato da solo a supportare le pmi parte della propria filiera quando nel 2008, in pieno credit crunch post-Lehman Brothers, queste non riuscivano a trovare credito. E oggi quel gruppo di pmi è cresciuto, tanto da generare ricavi complessivi per 200 milioni rispetto ai soli 17 milioni di otto anni fa.
Lo ha raccontato a MF Milano Finanza in edicola da sabato 5 novembrelo stesso imprenditore a capo del gruppo specializzato nella produzione di macchine per il confezionamento automatico di prodotti farmaceutici, alimentari e cosmetici, quotato allo Star di Piazza Affari con una capitalizzazione di 2,2 miliardi di euro, che è anche presidnete di Unindustria di Bologna.
Vacchi ha ricordato che allo scoppio della crisi, nel 2008, molti dei suoi fornitori, che lavoravano in maniera importante per il settore automotive, erano in grandi difficoltà perché era crollato il loro giro d’affari e avevano problemi di liquidità. Per questo chiedevanoa Ima se fosse possibile aumentare il suo giro d’affari con loro, ma Ima proprio pochi mesi prima aveva trasferito molte produzioni in Cina e in India per potersi avvantaggiare dei costi più bassi.
Era però evidente che quei fornitori erano davvero in difficoltà e che se Ima non avesse fatto qualcosa, sarebbero saltati, mettendo a rischio anche il business di Ima. Per questo Vacchi ha cercato una soluzione che quadrasse il cerchio. Da un lato voleva aiutare i fornitori strategici, dall’altro voleva comunque garantirsi costi di produzione più bassi. “Allora abbiamo proposto ai nostri fornitori di ragionare assieme a noi e di aprire i loro libri, in modo da capire se e come si sarebbero potuti ridurre i loro costi per noi, nel caso in cui noi avessimo deciso per il cosiddetto reshoring della produzione“, ha detto Vacchi.
Dall’analisi fatta si è capito che i prezzi si potevano abbassare e in cambio Ima ha investito nel capitale di quei fornitori con quote in media tra il 20% e il 30%, con l’obiettivo comunque di non saturarne la capacità produttiva, in modo da non renderli completamente dipendenti da Ima. “Abbiamo iniziato quell’esperimento con nove fornitori, investendo in totale meno di 10 milioni, quando quelle aziende fatturavano in totale circa 17 milioni”, ha continuato l’imprenditore, che ha aggiunto che oggi quel gruppo di piccole aziende è cresciuto tanto che nel complesso chiuderanno il 2016 con ben 200 milioni di ricavi. Nel frattempo quel gruppo di aziende ha iniziato a lavorare in sinergia e tra le stesse pmi della filiera si sono creati dei collegamenti azionari, in operazioni che spesso hanno accompagnato anche il ricambio generazionale.
E non è finita qui, per tutta la filiera è stato siglato un accordo quadro di reverse factoring con Unicredit, per permettere a tutte le aziende con le quali lavora il gruppo di dotarsi della liquidità necessaria a impostare il rinnovamento tecnologico dei loro processi e quindi a ridurre ulteriormente il prezzo dei prodotti e aumentare la loro marginalità. Non sorprende, quindi, che l’esperienza di Vacchi stia facendo scuola: “In Unindustria ci sono parecchi colleghi imprenditori che stanno pensando di emularci, ma anche altre Confindustrie locali mi hanno chiesto di raccontare la nostra esperienza per poterla studiare ed eventualmente replicare”, ha concluso l’imprenditore.