Il mercato si aspetta grandi cose sul fronte dei finanziamenti a leva per quest’ano in Italia. MF-Milano Finanza riferisce oggi di un sondaggio appena pubblicato, condotto tra 300 manager europei che operano nel settore del debito dallo studio legale internazionale DLA Piper in collaborazione con The Lawyer Research Service in tema di acquisition finance debt (scarica qui il report), rivela che ben il 60% degli intervistati italiani si attende che quest’anno l’attività di credito a leva a supporto di operazioni di finanza straordinaria e di Lbo (acquisition finance) incrementerà rispetto a quanto visto l’anno scorso, quando, secondo i dati Dealogic, in Italia si sono conclusi 22 deal per un valore complessivo di 12,1 miliardi di euro in linea con le 21 operazioni del 2013. Certo, gli spagnoli sono stati più ottimisti, con un 77% di risposte positive, ma l’Italia si colloca prima della Francia (55%), del Regno Unito (54%) e della Germania (44%).
Quanto alla tipologia di operazioni, il sondaggio indica che a livello europeo il 94% degli intervistati si attende comunque un aumento dell’attività di acquisition finance quest’anno oppure il mantenimento dei livelli del 2014, quando sono stati chiusi 267 deal. Non solo. L’attesa è che quest’anno l’attività sul mercato primario superi quella di rifinanziamento.
D’altra parte già nel 2014 le cose sono andate così: ben 192 operazioni sono state concluse a supporto di nuove acquisizioni da parte di aziende corporate o di operazioni di buyout o di secondary buyout, mentre soltanto 50 operazioni sono state meri rifinanziamenti per un controvalore di 29 miliardi di euro, in calo dalle 65 operazioni per 40 miliardi del 2013. Ma questo è dovuto al fatto che molti buyout originati tra il 2006 e il 2007 con linee di credito a 5-7 anni sono già stati rifinanziati negli anni scorsi.
Infine, quanto a tipologia di finanziamento, nel 2014 c’è stato un boom nelle emissioni di bond a fini di acquisition finance con 55 emissioni per un totale di 50 miliardi di euro, un incremento del 150% dalle 48 emissioni del 2013 per 20 miliardi.
Tornando all’Italia, se si restringe l’ottica alle mere operazioni di prestiti a leva e di prestiti al servizio di Lbo, il 2014 è stato un anno di grande calo dell’attività, con sole 4 operazioni per 456 milioni nel primo caso (dagli 10 deal per 1,683 miliardi del 2013) e sole 7 operazioni e 790 milioni nel secondo caso (dai 19 deal per 2,994 miliardi del 2013). I numeri sono sempre di Dealogic, che ha condotto un’estrazione appositamente per BeBeez (si vedano qui tutti i numeri di Dealogic).
Grazie alle nuove norme introdotte dal Decreto 91 convertito in legge lo scorso agosto e da ultimo dal decreto Investment Compact, però, gli attori che potranno erogare credito in Italia saranno a breve molti di più (anche fondi di investimento, assicurazioni e spv, si veda altro articolo di BeBeez) mentre i bassi rendimenti di mercato stanno spingendo sempre più attori a cercare investimenti più remunerativi, come i finanziamenti unitranche, i bond di società di non quotate collocati in private placement (si veda altro articolo di BeBeez), minibond, project bond (si veda altro articolo di BeBeez), fondi di private debt.
Non a caso gli interpellati al sondaggio di DLA Piper hanno risposto a livello europeo che anche quest’anno si attendono che strumenti di debito di vario tipo sottoscritti da soggeti finanziatori alternativi alle banche registreranno un boom, in particolare i finanziamenti unitranche.
«Quello che è stato fatto a llivello normativo negli ultimi tempi in italia è qualcosa di epocale, una portata di cambiamento che non si era mai vista prima», ha detto a MF-Milano Finanza Mario D’Ovidio, il partner di DLA Piper che ha seguito lo studio per l’Italia, che ha aggiunto: «Certo, ora dobbiamo aspettare la legge di conversione dell’Investment Compact e e, per alcune norme del decreto, la normativa secondaria di dettaglio. Ma il punto è che, grazie a queste ultime norme, il mercato del credito diretto si è aperto anche in italia a tutto vantaggio delle imprese e in maniera complementare al settore bancario».
Detto questo, tutto è perfettibile. «Ci sono alcuni punti che andrebbero chiariti meglio. Per esempio, a fronte di varie norme recenti che hanno aiutato a chiarire la portata e l’ambito di applicazione dell’imposta sostitutiva, pochi giorni fa la Corte di Cassazione ha emanato una sentenza a proposito di un’operazione di leveraged buyout, che ha riaperto nuovi dubbi stabilendo che nel caso di mero rifinanziamento di un finanziamento a breve già in essere non può essere applicata l’imposta sostitutiva dello 0,25%. Sarebbe pertanto utile chiarire meglio normativamente le condizioni di applicabilità di tale imposta al caso specifico dei rifinanziamenti, che costituiscono una tipologia di operazione molto frequente nell’attuale contesto di mercato».
Se infatti l’ opportunità dell’imposta sostitutiva è poco interessante in assenza di garanzie, visto che in quel caso di solito non esistono imposte indirette da pagare, diventa invece particolarmente conveniente quando si è in presenza di garanzie su beni immobili a fronte delle quali sarebbe normalmente dovuto il 2% di imposta ipotecaria sull’importo del credito garantito. E quando le cifre sono importanti, un 2% ha il suo peso.
Un altro tema che sarebbe da affrontare sono i tempi di recupero dei crediti nel momento in cui l’azienda debitrice va in default. «Se i tempi di escussione delle garanzie reali fossero più brevi, già sarebbe un motivo in più perché gli investitori esteri si avvicinino più velocemente al mercato italiano», ha concluso D’Ovidio.