Sono ancora molto pochi gli investimenti di open innovation, cioé di innovazione in azienda grazie alla collaborazione con altre aziende, spesso appena nate, sancita da un investimento azionario.
Si tratta infatti di un approccio che è già ben radicato nelle grandi imprese e anche in parecchie imprese di medie dimensioni, ma che invece è ancora poco diffuso tra le aziende di più piccole dimensioni.
Basta anche solo guardare a quali sono le aziende che si affidano a H-Farm per strutturare programmi di accelerazione di startup attive nei rispettivi settori (da Cisco a Deutsche Bank e Technogym) o che coinvestono con Digital Magics nell’ambito dell’Angel network (come Rcs, Gruppo Uvet, Nice, Tamburi Investment Partners, Gruppo Banca Sella, Creval o Unicredit). E basta guardare a quali imprese hanno investito in startup italiane spesso al fianco di fondi di venture capital o di network di business angel, come i casi citati nella tabella in pagina, elaborata sulla base del database di BeBeez per l’articolo di MF Milano Finanza in edicola da sabato 11 febbraio.
Più invece le aziende sono piccole e meno organizzato è l’approccio all’open innovation. Risulta anche da una ricerca degli Osservatori Digital Innovation della School of Management del Politecnico di Milano. La ricerca, commissionata da Assiteca, il maggior broker assicurativo italiano indipendente quotato all’Aim, segnala che il 95% delle 237 aziende analizzate ritiene l’innovazione digitale un fattore rilevante.
Nella maggioranza dei casi, il 40% delle aziende intervistate, l’innovazione digitale rappresenta un driver per migliorare efficacia ed efficienza dei processi; il 37% degli intervistati la considera un fattore imprescindibile per lo sviluppo futuro del business; il 18% pensa che sia importante per non perdere competitività. Tuttavia, la percezione del ruolo dell’innovazione cambia in base alla dimensione aziendale. Per le imprese con oltre 250 dipendenti sale dal 37% al 51% la quota di chi la ritiene un fattore imprescindibile per il futuro.
Emblematico il fatto che per le imprese tra 50 e 100 dipendenti raddoppi la percentuale di chi è mosso dalla concorrenza e dal timore di perdere quote di mercato. Nella pratica, però, meno o di un’azienda su quattro investe più dell’1% del fatturato in Ict solo il 3% investe oltre il 5%, mentre il 69% investe meno dell’1% dei ricavi complessivi in Ict e addirittura il 7% delle imprese non ha effettuato nell’ultimo anno alcun investimento in tecnologie digitali. La media complessiva è pari all’1,1%. La proporzione tra budget investito in Ict e fatturato cresce con l’aumentare della dimensione aziendale: considerando solo le aziende con più di 250 dipendenti, la media degli investimenti Ict sui ricavi è del 2,3%.
E che le pmi italiane investano ancora poco in open innovation, è evidente anche dalla classifica 2015 European Innovation Scoreboard stilata dalla Commissione Ue.