Il problema delle aziende oggi è coprire i costi fissi, pur in presenza di ricavi a zero, ma il problema più grosso paradossalmente sarà coprire anche i costi variabili una volta che l’attività dovesse riprendere. Lo dimostra uno studio condotto da Leanus per BeBeez e che MF Milano Finanza ha pubblicato sabato 28 marzo. Risultati dai quali è logico dedurre una serie di considerazioni circa quello che andrebbe fatto proprio per evitare di spendere soldi ora nell’emergenza, senza che questi soldi possano davvero servire a qualcosa in prospettiva.
Lo studio, verrà esposto nel dettaglio nel corso di un webinar gratuito che si terrà venerdì 3 aprile dalle ore 12 alle ore 13.30.
Per informazioni e iscrizioni, clicca qui
Lo scenario da cui partiamo e le ipotesi di lavoro. Il sistema Italiano, se guardato in aggregato, è molto solido. E’ composto da quasi 800 mila società di capitali complessivamente in buona salute, guidato da circa 6000 imprese di grandi dimensioni che trainano i sistemi di filiera. Il resto delle imprese sono pmi e piccoli operatori economici. Nel Nord Italia si concentra oltre il 65% delle imprese italiane.
Leanus, piattaforma software innovativa che consente di fare la “Tac” non solo alle singole imprese e ai settori, ma anche al bilancio dell’impresa Italia nel suo complesso, ha sommato tutti i bilanci 2018 delle imprese italiane e ne ha tratto una fotografia da cui emerge che, a fronte di circa 2.500 miliardi di euro di ricavi, il valore di ebitda è prossimo all’8% e il patrimonio netto (circa 1.400 miliardi) è pari a quasi 3 volte la totale esposizione verso le banche (pari a circa 500 miliardi). Ma oggi siamo nel 2020, quindi, per fare qualunque simulazione che abbia un senso per fine 2020 e 2021, dobbiamo in primo luogo stimare come si sia chiuso il 2019 per quelle stesse imprese. Stimare perché a oggi i bilanci 2019 depositati in Camera di Commercio sono ancora molto, troppo pochi per poterli considerare un campione rappresentativo da analizzare. Per questa stima si è ipotizzato che il sistema Italia di cui sopra abbia visto aumentare i ricavi del 3% e che tutte le grandezze del bilancio si siano modificate di conseguenza.
Dopodiché si sono simulati vari scenari e si sono analizzate le conseguenze delle varie previsioni sul profilo economico, patrimoniale e finanziario dell’intero sistema. Gli stessi scenari sono poi stati utilizzati per misurare gli impatti sui sottogruppi costituiti da imprese grandissime, grandi, medie e piccole attive nei settori dei servizi, industriali, commerciali o per commessa. In ultimo, gli stessi scenari sono stati simulati sul gruppo delle imprese classificate come in difficoltà.
Nell’elaborazione degli scenari si è tenuto conto del fatto che circa il 25% delle imprese italiane, appartenendo ai settori considerati essenziali, continua a svolgere la propria attività, talvolta a pieno regime, talvolta a ritmi addirittura più elevati. Per tale categoria si è ipotizzata, in via prudenziale, una crescita dei ricavi pari a zero, mentre per il resto delle imprese si è ipotizzato che il 2020 si chiuderà con un calo dei ricavi del 50%, il che significa immaginare un calo dei ricavi del 37,5% per l’intero sistema. Si tratta di uno scenario estremamente pessimistico, perché una simile contrazione dei ricavi è ben peggiore di qualsiasi altra contrazione si sia mai registrata a livello di singolo settore. In ogni caso, meglio eccedere in prudenza. Per il resto, si è ipotizzato che nel 2020 la gestione straordinaria si riduca del 50% rispetto al 2019, se positiva; che i valori crediti clienti, debiti fornitori e magazzino rimangano invariati sul 2019; che i debiti a breve verso le banche si riducano del 20%; e che i debiti netti a medio-lungo termine verso le banche restino invariati; e non si faccia alcun ricorso al supporto pubblico (per esempio cassa integrazione, sospensione dei pagamenti, ecc). Per il 2021, poi, si è ipotizzata una leggera ripresa, con ricavi in crescita del 5% sul 2020. Su queste basi Leanus è andato a valutare sia la capacità delle imprese di creare/distruggere valore (economico) nei due esercizi sia la variazione delle risorse finanziarie utilizzate e soprattutto l’equilibrio delle fonti patrimoniali (somma di patrimonio netto e posizione finanziaria netta) contrapposte agli impieghi (attivo fisso netto più capitale circolante meno fondi).
Cosa succede alle aziende nel 2020. La significativa contrazione del volume d’affari avrà come effetto immediato l’azzeramento dei margini e la generazione di perdite economiche nel breve termine, ma è anche vero che quelle perdite saranno ben ammortizzate dalle cospicue dotazioni patrimoniali. La riduzione media del 37,5% dei ricavi dell’intero sistema imprenditoriale italiano nel 2020, infatti, porterebbe l’aggregato a registrare un ebitda negativo per 95,6 miliardi a fronte di un indebitamento finanziario netto di 266,7 miliardi e una perdita di 189 miliardi. Quest’ultima andrebbe a ridurre il patrimonio netto, che sarebbe però assolutamente in grado di assorbirle, visto che a fine 2020 si attesterebbe a 1173 miliardi. Resterebbe, ovviamente il problema del debito, che a quel punto andrebbe ristrutturato per poter tenere conto delle mutate condizioni economiche, seppure eccezionali e auspicabilmente soltanto temporanee.
Il problema, però, emerge dal punto di vista finanziario a un anno data. La riduzione dei ricavi ipotizzata per il 2020, infatti, avrebbe come conseguenza una riduzione delle disponibilità liquide di circa 54 miliardi di euro a fine anno, riducendo la cassa disponibile a un valore pari a circa 170 miliardi dai circa 225 miliardi dell’anno prima. Dopodiché nel 2021 si inizierebbe di nuovo a produrre e lì il fabbisogno finanziario raggiungerebbe il picco. La variazione di cassa nel 2021 sarebbe di ben 98 miliardi di euro, con la liquidità che si ridurrebbe a soli 81 miliardi, con unna posizione finanziaria nettta negativa che salirebbe a 365 miliardi.
La fotografia scattata a fine 2020 a livello aggregato si ripropone in sostanza anche nei diversi sottogruppi di imprese distinti per dimensioni e per modello di business: tutti i segmenti mettono in evidenza una perdita in conto economico sempre controbilanciate dalle disponibilità patrimoniali. Allo stesso modo, la variazione negativa della liquidità, seppur significativa, non è tale da azzerare le risorse complessivamente disponibili per ciascun gruppo.
Cosa succede alle aziende già in difficoltà. Un capitolo a parte è invece il gruppo delle aziende in difficoltà, che per numero rappresentano il 5% del totale delle imprese. Certamente le imprese che erano già in situazione di tensione troveranno le maggiori difficoltà nell’affrontare la crisi. Leanus ha isolato la popolazione di grandi Imprese e pmi con un Leanus score Negativo o Molto Negativo. Dall’analisi sono state invece escluse le imprese che già nel 2018 erano nella categoria “Default Probabile” in quanto oggetto di ristrutturazione, procedure o rilancio attraverso nuove iniezioni di capitale; e sono stati esclusi anche i grandi gruppi industriali. Si tratta di oltre 5.392 imprese che operano nel settore industria (43%), servizi (24,5%), commercio (19%), edilizia e immobiliare (13,5%).
Per questa tipologia di imprese la contrazione del business produrrebbe una significativa riduzione del patrimonio netto (da 28 a 16 miliardi di euro) per effetto di 12 miliardi di euro di perdite, a fronte di un ebitda negativo di 6,6 miliardi. Ma il problema vero è la cassa. Queste aziende brucerebbero cassa per 9,2 miliardi, una cifra ben superiore alla liquidità sui loro conti a fine 2019, tanto che il software calcola a fine 2020 per quel gruppo di aziende per 8,6 miliardi di euro una “liquidità negativa”, che è un controsenso, ma fa capire che quelle aziende a fine anno proprio non ci arriverebbero. E a maggior ragione non ci arriverebbero nel 2021, quando il picco di fabbisogno di cassa sarebbe di 18,6 miliardi.
Cosa andrebbe fatto. Visto quindi che il sistema ha basi solide, ma che la ripresa attesa per il 2021 richiederà nuove risorse finanziare a supporto della crescita e necessarie per anticipare gli incassi relativi ai crediti scaduti e nuovi e per far fronte agli impegni con il sistema bancario successivi alle eventuali moratorie, è importante che le risorse che verranno inserite oggi nel sistema, vadano inserite nei posti giusti e che vengano prese delle misure aggiuntive in grado di facilitare il tutto.
In primo luogo, quindi, andrebbero sostenute le grandi imprese e i leader di filiera, motore e traino dell’intero sistema. Andrebbe poi fatto in modo che i fornitori di piccole e medie dimensioni vengano sempre effettivamente pagati entro il massimo di 60 giorni. Su questo secondo punto, un incentivo allo sviluppo del reverse factoring ed altri prodotti di finanza alternativa come il dynamic discounting potrebbero essere una soluzione interessante.
C’è poi una questione contabile da non sottovalutare: se è vero che a livello aggregato risulta che il patrimonio netto delle imprese sarà in grado di assorbire le perdite, nella realtà spesso non accadrà e quindi le aziende si troverebbero a doverlo ricostituire. Viste le circostanze eccezionali, si potrebbe consentire l’azzeramento del patrimonio netto per un periodo superiore a quello attualmente previsto. Sarebbe poi bene limitare la distribuzione di dividendi e in generale gli esborsi finanziari non produttivi o, meglio, incentivare il reinvestimento degli utili in azienda, così come si era fatto anni fa.
Lo studio verrà esposto nel dettaglio nel corso di un webinar gratuito
che si terrà venerdì 3 aprile dalle ore 12 alle ore 13.30.
Per informazioni e iscrizioni, clicca qui