Ci sono oltre 300 imprese in Italia che sarebbero in grado di sviluppare nuova finanza per circa 7,8 miliardi di euro, una cifra che rappresenta circa un terzo delle loro spese in conto capitale a bilancio e che non rappresenterebbe quindi motivo di declassamento del loro merito di credito sotto lo status investment grade o che sarebbero al massimo declassate di un solo livello. Di questo totale, ben 6,3 miliardi è la cifra che potrebbe arrivare alle imprese del settore manifatturiero. Lo ha detto Fabrizio Negri, ceo di Cerved Rating Agency, nel suo intervento al convegno Capitali pubblici e privati: nuovo ecosistema per le pmi, organizzato ieri a Milano da Anthilia sgr, società di gestione che negli ultimi anni ha sviluppato una serie di fondi chiusi dedicati a investimenti nel debito delle pmi (si veda qui la presentazione). Il rischio default per le imprese italiane, secondo Negri, è in media attualmente del 5,68%, in leggero calo dal 5,71% di fine 2021 ma chiaramente più alto del 5,08% di fine 2020. Le previsioni macroeconomiche per il prossimo anno non sono confortanti e quindi anche nello scenario base il tasso medio di default è visto in crescita al 5,91% a fine giugno 2023, ma le cose potrebbero andare ben peggio e portare il tasso medio di default al 6,29% o addirittura al 7,97% laddove la crisi energetica peggiorasse o ci fosse una recessione più profonda di quanto stimato attualmente.
D’altra parte, le prove del Covid, della guerra Russia-Ucraina, dell’inflazione, degli alti tassi di interesse, degli alti prezzi dell’energia e delle supply chain bloccate hanno operato una grande selezione tra le aziende italiane, soprattutto tra le pmi, ha detto Gregorio De Felice, chief economist di Intesa Sanpaolo, nel suo intervento al convegno (si veda qui la presentazione). Chi ha resistito sono le imprese più solide e resilienti e il risultato è che nel 2021 sono stati raggiunti livelli record per indicatori economico-finanziari nel settore manifatturiero: il ROI è salito all’8,4% (livello superiore al pre-Covid e in linea con il punto di massimo del 2017) e il ROE al 9% (riavvicinandosi ai massimi 2017). Per questo, in uno scenario di calo dell’inflazione e dove in Italia si potrà contare sugli investimenti finanziati dal PNRR, ritiene De Felice, dopo una breve recessione tecnica tra fine 2022 e inizio 2023, inizierà la ripresa e la velocità di recupero dell’industria Italiana consentirà all’avanzo commerciale di toccare, nel 2022, i 104 miliardi, dopo già il livello record di 103 miliardi toccato nel 2019 e dagli appena 30 miliardi del 2010. Il tutto tenendo conto del fatto che sul totale dell’export manifatturiero, il 50% è attribuibile alle pmi.
Gli effetti della selezione sono confermati dall’analisi di Alessandra Benedini, principal di Prometeia, anche lei intervenuta al convegno di Anthilia sgr, che ha calcolato che nei bilanci 2021 delle aziende manifatturiere emerge un rafforzamento di tutte le classi dimensionali, con il recupero di livelli di fatturato superiori al pre-Covid e soprattutto margini che hanno mostrato un generalizzato miglioramento, sebbene più consistente per le medie imprese, riportando il MOL del manifatturiero su livelli prossimi a quelli record del 1995. Detto questo, anche Prometeia prevede per il 2023 un fatturato deflazionato dell’industria manifatturiera in calo dello 0,9%, con i cali più consistenti che dovrebbero riguardare moda, meccanica e sistema casa. Anche in questo caso però la ripresa dovrebbe partire già dal 2024, con tutti i settori tranne automobilistico e moda che dovrebbero registrare livelli di attività superiori al pre-Covid (si veda qui la presentazione).
Tutte queste analisi portano quindi alla conclusione che ancora per un anno le aziende italiane dovranno tirare la cinghia, ma hanno la capacità e la forza di attrarre capitali dagli investitori.