Nell’indagine annuale sui fondi di private debt di KPMG, promossa dalla Association of the Luxembourg Fund Industry (ALFI) (si veda qui il report), emerge con forza un dato: gli asset in gestione ai fondi di private debt registrati in Lussemburgo siano aumentati del 45,4% rispetto all’anno scorso, portando il patrimonio totale in gestione ad un record di 267,8 miliardi di euro. Dato che si aggiunge alla crescita del 40,6% registrata nell’indagine del 2021, e che accompagna un elemento significativo a livello geografico: il 68% degli investitori provenienti dall’Europa, il 14,5% dal Nord America e il 17,5% dal resto del mondo.
Il trend, tuttavia, non è circoscritto solo al Lussemburgo, un territorio che negli ultimi anni ha visto un immigrazione di società ed enti finanziari da tutte le parti d’Europa per via dei vantaggi fiscali e burocratici che vengono offerti nel Paese. In Italia, per esempio, il 5° Quaderno di ricerca sulla finanza alternativa per le PMI in Italia, redatto dal Prof. Giancarlo Giudici, docente ordinario della School of Management del Politecnico di Milano e Direttore Scientifico dell’Osservatorio Crowdinvesting (si veda qui altro articolo di BeBeez), ha mostrato come il direct lending, nei 12 mesi fino al 30 giugno 2022, sia aumentato a una stima di 1,2 miliardi di finanziamenti, per una crescita tendenziale del 55%.
Trend individuato anche dai dati di BeBeez, sebbene a livello complessivo si sia invece registrata una frenata per il mercato del private debt in senso lato (oltre ai minibond anche le emissioni di dimensione superiore ai 50 milioni, il direct lending, gli acquisti di crediti in bonis, le cartolarizzazioni di crediti commerciali, prestiti o bond di pmi su piattaforme fintech oppure no e le campagne di lending crowdfunding) a quota 13,4 miliardi di euro complessivi, quindi la metà dei 26 miliardi di euro di investimenti del 2021, anno in cui si era registrato un vero boom di attività, il che lascia presagire per il 2022 un volume invariato se non inferiore rispetto al 2021 (si veda qui il Report di BeBeez su Private Debt e Direct lending 2021), contro i 13,1 miliardi di tutto il 2020 (si veda qui il Report di BeBeez su Private Debt e Direct lending 2020), quando pure si era registrato un chiaro aumento nella dimensione del mercato, dai poco meno di 12,2 miliardi di euro del 2019 (si veda qui il Report di BeBeez su Private Debt e Direct lending 2019).
A questo si deve aggiungere il ruolo dei fondi di direct lending a supporto delle operazioni di buyout, come rilevato da Equita nel suo report Financial Sponsors’ Activity Monitor che contestualizza il fenomeno all’interno del “public to private”, cioè il continuo aumento di delisting da Borsa Italiana. Il direct lending, spiega la Sim milanese, con un erogato complessivo poco inferiore a 25 miliardi di euro nel primo semestre 2022, pari a già all’80% di quanto erogato in tutto il 2021, sta soppiantando il ricorso sia ai bond high yield sia ai leveraged loan bancari, che per contro hanno invece sperimentato un calo sia in valore sia nel numero di operazioni: 13,1 miliardi di euro di leveraged loan (da 19,2 nel primo semestre 2021) per 19 operazioni (da 34); e 6,2 miliardi di bond (da 6,8) per 9 emissioni (da 12). E questo calo, peraltro, è andato di pari passo con un aumento netto dei margini pagati sui prestiti first line e sui bond high yield, che sono passati da 424 punti base nel primo trimestre 2021 a 449 pb nel secondo trimestre 2022 (si veda altro articolo di BeBeez).
Ma questa crescente dipendenza dai fondi alternativi di private debt (per i quali tra l’altro il costo della raccolta è generalmente superiore rispetto alle banche) potrebbe essere non priva di conseguenze per le stesse aziende, soprattutto in presenza di cun prolungato aumento dei tassi d’interesse e il deterioramento del contesto economico. Un segnale premonitore sembra provenire infatti dalla sponda opposta dell’Atlantico.
Secondo un’analisi apparsa su PitchBook, a soffrire di più negli Stati Uniti tra le aziende del cosiddetto mid-market sono quelle società che si trovano all’estremità inferiore dello spettro creditizio, in quanto potrebbero incontrare maggiori difficoltà nel recuperare ricavi sufficienti a coprire l’aumento delle spese per gli interessi con conseguenze negative sulla solvibilità.
In un report dell’agenzia di rating Kroll Bond, citato da Pitchbook, viene rilevato come il 16% delle società americane di media dimensione non sarà in grado di sostenere gli oneri degli interessi utilizzando la liquidità generata dalle proprie attività allorché il tasso più alto dei Fed Funds raggiungerà il 5,25%, un picco che secondo molte banche d’affari potrebbe arrivare verso la fine del primo semestre 2023 e che si tradurrebbe in un aumento di 450 punti base dei costi di finanziamento rispetto all’inizio del 2022.
Non solo. Le imprese di medie dimensioni potrebbero non avere un cuscinetto sufficiente ad assorbire l’aumento dei costi del debito a seguito dei numerosi rialzi dei tassi da parte della Fed, visto che i margini EBITDA si sono ridotti dell’1,9%, secondo un rapporto della banca d’investimento middle market Lincoln International citato da Pitchbook. In tale contesto, viene precisato nell’analisi, diversi investitori in private capital stanno valutando con maggiore attenzione la capacità di rimborso di chi vuole finanziare nuove operazioni di buyout.
Il report potrebbe non offrire un quadro esaustivo di quanto sta succedendo negli Stati Uniti, visto che il campione preso in esame riguarda oltre 1.900 società del mid-market prive di rating, la maggior parte delle quali sostenute da investitori di private equity e operanti nei settori del software, dei servizi alle imprese e della sanità. L’analisi, tuttavia, indica il tipo di pressione che alcuni borrower di questa fetta di mercato dovranno affrontare con il continuo aumento dei tassi, e potrebbe essere un buon indicatore dello stato di salute in Europa, dove invece appunto i private fund occupano una porzione più ampia del mercato del credioto alle piccole e medie imprese.