Il tormentone finanziario di questa estate 2019 sono loro: i minibot. Un dibattito iniziato il 28 maggio scorso, quando la Camera ha votato all’unanimità una mozione che impegna il governo a varare un provvedimento per il pagamento dei debiti della PA alle imprese in minibot. Per il presidente della Bce Mario Draghi “o sono moneta, e allora sono illegali, oppure sono debito e quindi lo stock sale”. E’ dello stesso avviso il Ministro dell’Economia Giovanni Tria. Per il responsabile economico della Lega e presidente della commissione Bilancio della Camera Claudio Borghi, sono solo una “cartolarizzazione di crediti esistenti”. Confindustria li ha assimilati “ai soldi del Monopoli”. I vicepremier Matteo Salvini e Luigi Di Maio hanno sottolineato che sono un modo per accelerare il pagamento dei debiti commerciali della pubblica amministrazione. Il dibattito in corso verte dunque sulla definizione dei minibot, sulla loro funzione e in generale sulle modalità con cui lo Stato può ripagare i debiti della pubblica amministrazione. Facciamo un po’ di chiarezza.
I minibot sarebbero Bot di piccolo taglio (1-50 euro) e senza scadenza. A differenza dei Bot, non sarebbero assegnati all’asta dal Tesoro con un rendimento deciso dal mercato, ma sarebbero infruttiferi. A differenza dei titoli di Stato, non sarebbero dematerializzati bensì cartacei, come le banconote. Alla stregua di queste ultime, potrebbero essere utilizzati dai portatori come strumento di pagamento verso le altre imprese o per pagare le tasse. Ecco perché la Banca d’Italia e la Bce hanno subito lanciato l’allarme sui rischi di una valuta parallela.
La cartolarizzazione per definizione prevede la cessione di un’attività o passività di una società (originator) attraverso cui si costruiscono emissioni con la trasformazione del bene o del debito/credito in titoli obbligazionari, che sono poi collocati sul mercato. I minibot sono ben diversi: la passività in questione è un titolo della PA e non sarebbe cartolarizzata per essere collocata tra gli investitori, ma per ripagare un debito, anche se non è chiaro se il mezzo per ripagare sarebbe un altro debito (e quindi un indiretto taglio delle tasse fatto in deficit) oppure una valuta parallela emessa dallo Stato italiano. In tal caso, violerebbe l’articolo 106 del Trattato di Lisbona, secondo cui nella zona euro solo la Bce può decidere la politica monetaria e stampare nuova moneta. Quest’ultima ipotesi è avvalorata dal fatto che poco più di un anno fa, lo stesso Claudio Borghi aveva testualmente affermato: “I minibot sono un espediente per un’uscita ordinata dall’euro”.
Per quanto riguarda la funzione dei minibot, il governo li presenta come una soluzione per ripagare i debiti commerciali della pubblica amministrazione e ridurre i ritardi dei pagamenti. Per quanto riguarda i tempi di pagamento, la situazione italiana è in miglioramento: sono ancora lunghi, ma si stanno riducendo (si veda altro articolo di BeBeez). Inoltre le imprese hanno già a disposizione da anni uno strumento per aggirare il problema: il factoring. Un mercato che va a gonfie vele: in 10 anni ha raddoppiato il turnover cumulato e nel 2018 ha superato i 240 miliardi di euro dai 221 miliardi del 2017, rendendo l’Italia terza in Europa e quarta a livello mondiale (si veda altro articolo di BeBeez).
La pubblica amministrazione potrebbe impegnarsi a ridurre ulteriormente i tempi di pagamento in futuro e parallelamente cessare l’ostruzionismo nei confronti della cessione di crediti. Un atteggiamento denunciato anche da Assifact lo scorso aprile, particolarmente pervasivo per gli enti del settore sanitario, che rifiutano sistematicamente le cessioni adducendo motivazioni pretestuose, in quanto preferiscono avere a che fare con il fornitore che con gli associati Assifact per la riscossione del credito, poiché questi ultimi hanno un maggiore potere contrattuale e in base alla normativa europea potrebbe effettuare un’azione legale di richieste degli interessi di mora nel caso in cui il pagamento andasse oltre i 180 giorni. Tra il 2017 e il 2018 ben 134 enti del SSN su 255 (il 55% di quelli censiti da Assobiomedica) di 19 regioni su 20 hanno emanato delibere contro la cessione dei loro debiti di fornitura (si veda altro articolo di BeBeez).
Un atteggiamento recentemente confermato in un’intervista a BeBeez anche da Andrea Trupia, vice direttore centrale commerciale di Banca Sistema, principale player nel factoring sulla PA nato nel 2011 e quotato a Piazza Affari (si veda altro articolo di BeBeez). A suo avviso “ci sono altri provvedimenti potrebbero essere utili per migliorare i tempi di pagamento, come la rimozione degli ostacoli alla cessione del credito (che molti enti pubblici rifiutano, limitando lo strumento del factoring, utile a dare ossigeno soprattutto alle imprese più piccole) e una maggiore diffusione e incentivazione della certificazione del credito da parte della PA, perché non tutti gli enti che potrebbero farla poi la implementano”.
Secondo Gianpiero Oddone, fondatore di Officine CST, il servicer romano controllato da Cerberus Capital, specializzato nella gestione di crediti verso la PA e proprietario di Creho (ex Crediti Certificati.it) piattaforma di factoring di crediti verso la PA, si potrebbe semplificare l’iter di certificazione dei crediti “fino a renderlo totalmente automatizzato, così da evitare la reticenza di alcuni enti a rilasciare la certificazione”.
La certificazione consente di cedere i crediti o di portarli in compensazione con eventuali oneri tributari. Secondo i dati diffusi lo scorso 8 maggio dal Ministero dell’Economia e delle Finanze , nel 2018 sono state registrate oltre 28 milioni di fatture ricevute, e non respinte, dalle pubbliche amministrazioni, per un importo totale pari a 163,3 miliardi di euro, di cui 148,6 miliardi effettivamente liquidabili (ossia al netto della quota Iva e degli importi sospesi e non liquidabili). La Piattaforma per i Crediti Commerciali ha rilevato i pagamenti relativi a 20,3 milioni di fatture, per un importo pari a 120,7 miliardi di euro, che corrisponde all’81% del totale (al netto della quota Iva e degli importi sospesi e non liquidabili). Lo stock di debito residuo scaduto e non pagato alla data del 31 dicembre 2018 risulta, quindi, per il complesso dei 28 milioni di fatture emesse nel 2018, pari a circa 26,9 miliardi di euro.
Al 15 aprile 2019 le oltre 35 mila imprese registrate sulla Piattaforma dei Crediti Commerciali hanno presentato circa 180 mila istanze di certificazione per un controvalore certificato di oltre 8,5 miliardi di euro, di cui 2,6 miliardi smobilizzati presso intermediari finanziari. Alla luce della differenza tra importo certificato e importo ceduto e del fatto che 26,9 miliardi di euro di fatture risultano non pagate, è evidente il potenziale della certificazione dei crediti e della gestione efficiente delle posizioni verso la PA. Ecco perché, a parere di Oddone, “se l’intento del Governo è, come dichiarato, rimettere in sesto i bilanci delle imprese creditrici e rilanciare la crescita economica e se i minibot non vogliono essere una moneta parallela, allora probabilmente non ce n’è realmente bisogno”.