Dopo l’annus horribilis che è stato il 2020, il 2021 ha visto senza dubbio un recupero generalizzato dell’attività e delle prospettive per le aziende della moda italiana, con un certo ruolo che in questa ripresa lo hanno avuto senza dubbio gli investitori di private capital, soprattutto quelli di private equity.
Fondi e club deal di investitori privati hanno infatti spinto sull’acceleratore, per affiancare gli imprenditori in un momento in cui, anche nel più virtuoso dei casi, il peso del debito è aumentato in maniera evidente rispetto all’equity nella struttura patrimoniale delle aziende, che si sono affollate quanto più potevano per ottenere l’accesso ai prestiti garantiti da Sace o dal Fondo di garanzia pmi, così come previsto dalla normativa di emergenza anti-Covid introdotta lo scorso anno per supplire al crollo di fatturato a causa dei vari lockdown.
Secondo BeBeez Private Data, il database del private capital di BeBeez, alla data del 14 ottobre c’erano 186 società italiane del settore moda, lusso & design in portafoglio a investitori di private equity e venture capital (102) o private debt (20), in aumento dalle 165 del 2020 e dalle 147 del 2019, dove però l’incremento è un dato netto tra numero di investimenti e disinvestimenti. Nei nove mesi e mezzo da inizio 2021, infatti, soltanto considerando gli investimenti di private equity nel settore moda (escludendo quindi altri tipi di lusso e il design), questi sono stati 21 a cui si aggiungono tre disinvestimenti.
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Un’attività che si è distribuita in modo più marcato su investimenti diretti in aziende di fondi o holding di investimento, che sono stati 13, di cui quello più grande è stata l’acquisizione da parte di L Catterton del 60% di Etro, valutata complessivamente 500 milioni di euro. Continuano a pieno ritmo, poi, anche gli investimenti cosiddetti di add-on, cioè condotti attraverso società già nel portafoglio degli investitori (5 su aziende italiane e uno su un’azienda estera), in ottica di consolidamento del settore, in genere coinvolgendo nel progetto più ampio anche gli imprenditori di tutte le società via via acquisite. Particolarmente attivo è stato quest’anno il gruppo Florence, creato lo scorso anno da VAM Investments, Fondo Italiano d’Investimento sgr e Italmobiliare, che ha condotto ben 4 acquisizioni. A queste operazioni si aggiungono poi un’operazione annunciata di business combination con una Spac (quella di Ermenegildo Zegna con la Spac di Investindustrial per la quotazione al NYSE, dove il gruppo arriverà con una valutazione di 3,2 miliardi di euro) e tre operazioni di ristrutturazione aziendale (Corneliani e Canepa, già concluse; e Grotto, titolare del brand dei jeans Gas, ancora in corso).
L’analisi di BeBeez Private Data è stata condotta in vista dell’appuntamento del prossimo venerdì 22 ottobre in streaming tv con il Caffè di BeBeez, dedicato al settore su “Le carte vincenti dei manager del lusso. Ecco chi cercano i private equity per guidare i loro gioielli fashion”. A confrontarsi sul tema ci sarà Giacomo Santucci, presidente Di Luccia&Partners, con un passato come top manager in Ferragamo, Prada, Gucci, Dolce & Gabbana, Borsalino e che ha fatto da consulente, tra gli altri anche per Moncler, Missoni, Valextra. E ci saranno due big del private equity italiano che hanno al loro attivo importanti esperienze nel settore moda: da un lato Maurizio Tamagnini, ceo e fondatore di FSI, il fondo che ha in portafoglio il 40% di Missoni; e dall’altro Marco De Benedetti, managing partner di Carlyle, che oggi ha in portafoglio Twinset, ma che è stato il fautore della grande crescita di Moncler, che ha poi portato in ipo, oltre che della spettacolare crescita di Golden Goose, poi ceduta a Permira. Infine, a contestualizzare il tutto a livello internazionale ci sarà Claudia d’Arpizio, Global Head of Fashion & Luxury e Board member di Bain&Company, che ogni anno firma il Luxury Goods Worldwide Market Study in collaborazione con Fondazione Altagamma.
L’ultimo report di Bain&Company, quello relativo al 2020, pubblicato lo scorso gennaio, indicava una vera debacle, con l’industria del lusso nel suo complesso (che include le supercar, aerei privati, gli yacht, l’ospitailità di lusso incluse le crociere, vini e cibi gourmet, arredi design, opere d’arte e i tutti i beni di lusso personale, quindi moda e gioielli) che si era contratta tra il 20% e il 22% a un valore stimato di circa mille miliardi di dollari, tornando quindi ai livelli del 2015. Di quel totale, 217 miliardi sono costituiti dai beni di lusso personale, dopo una contrazione del mercato del 23%, il primo calo mai registrato dal 2009. Secondo Bain&Co, però, soprattutto grazie a un profondo ripensamento delle strategie di vendita e distribuzione, che passano sempre di più per il canale online, i dati di quest’anno saranno migliori, con una crescita complessiva compresa tra il 10-12% e il 17-19%, a seconda delle condizioni macroeconomiche generali.
Quanto all’Italia, ricordiamo che lo scorso febbraio Confindustria moda aveva calcolato ricavi complessivi 2020 per le sue associate a 72,5 miliardi di euro, in contrazione del 26% dal 2019, quando il turnover complessivo aveva sfiorato i 98 miliardi. Già i primi sei mesi di quest’anno, però, hanno portato a numeri molto più positivi, per l’intera industria della moda (tessile, abbigliamento, pelle, calzature e pelletteria), secondo il report Fashion Economic Trends diffuso dalla Camera Nazionale della Moda italiana a inizio settembre, poco prima delle sfilate della Milano Fashion Week, finalmente in presenza: il fatturato del primo semestre è stato infatti del 24% superiore a quello dei primi sei mesi 2020 e le previsioni sono che a fine anno il totale dei ricavi sarà di circa 83 miliardi.
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