E’ rimasto stabile a 5 anni il tempo di permanenza in portafoglio delle società italiane partecipate dai fondi di private equity nel 2014: una bella differenza rispetto ai 3 anni calcolati a fine 2006, ma almeno il cosiddetto «holding period» non si è più allungato come invece era successo in ciascuno degli ultimi 5 anni.
Lo scrive MF-Milano Finanza in edicola a partire da sabato 9 maggio, anticipando i dati dell’ultimo Rapporto annuale dell’Osservatorio Private equity monitor (Pem) dell’Università di Castellanza, che sarà presentato a Milano al Centro Congressi Palazzo delle Stelline domani 12 maggio.
A indicare che finalmente i fondi hanno cominciato a disinvestire a ritmo accelerato, che il mercato è recettivo e che quindi tutta la macchina è ripartita. Non a caso l’anno scorso sono state condotte 89 nuove operazioni di investimento dalle 63 del 2013, sulla base di valutazioni mediane aziendali in linea con quelle del 2013 di 7,1 volte l’ebitda e in crescita dalle 6,8 volte del 2012 (si veda altro articolo di BeBeez).
I dati differiscono da quelli diffusi da Aifi lo scorso marzo (si veda altro articolo di BeBeez), perché si concentrano solo sulle nuove operazioni dei fondi di private equity, escludendo i cosiddetti follow-on, e non tengono conto dell’attività dei fondi di venture capital e degli investitori pubblici.
Più nel dettaglio, i dati raccolti dal Pem, grazie al supporto degli sponsor Argos Soditic Italia, EY, Fondo Italiano di Investimento sgr e King&Wood Mallesons SJ Berwin Studio Legale, indicavano che alla fine dello scorso dicembre nei portafogli dei fondi di private equity italiani e internazionali c’erano 567 aziende su un totale di 958 aziende acquisite negli undici anni 2004-2014. Le altre 391 sono invece state cedute. Nello stesso arco temporale di undici anni dal 2003-2013, invece, i fondi avevano investito in 941 aziende e a fine 2012 ne avevano cedute 408.
Dei 391 disinvstimenti, la maggior parte (34%) è avvenuta tramite operazioni di releverage (cioé di subentro di altri fondi), il 31% con trade sale (cioé cessione a soggetti industriali) e soltanto il 6% tramite ipo, così come i riacquisti da parte di precedenti azionisti (buyback) hanno rappresentato il 6%. Nel 10% dei casi, infine, si è trattato di write-off, cioé di svalutazioni totali o parziali delle partecipazioni.
Delle aziende ancora in portafoglio, ben 195 sono state acquisite prima del 2009, di cui 160 tra il 2006 e il 2008 al picco della bolla delle valutazioni.
I dati Pem indicano infatti che la valutazione mediana delle aziende in portafoglio acquisite nel 2008 è di 7,1 volte l’ebitda, lo stesso livello che si è rivisto l’anno scorso dopo le 7 volte del 2013 e del 2012, mentre il multiplo mediano del 2007 e del 2006 è, rispettivamente, solo di 6,9 e di 6,7 volte. A indicare che finalmente ci potrebbe essere spazio per ritorni interessanti in caso di cessione anche per queste società, anche nel caso in cui paradossalmente business e marginalità nel frattempo non fossero cresciuti.
Sul fronte degli investimenti, fa presente Francesco Bollazzi, responsabile dell’Osservatorio Pem, «l’azienda target-tipo ha un fatturato mediano di 54 milioni di euro, in evidente aumento rispetto al valore del 2013 (35 milioni), così come è aumentato il numero delle operazioni in aziende con classi di fatturato medio-alto (39%), in particolare nelle realtà tra i 61 e 100 milioni (19%, rispetto al 5% del 2013). I deal su aziende di grandi dimensioni hanno rappresentato il 9% del mercato, metà dei quali realizzati da operatori esteri».
L’accresciuta dimensione media degli investimenti posti in essere dagli operatori si riflette ovviamente anche sul valore medio di enterprise value delle società oggetto di acquisizione, che si è attestato intorno ai 98 milioni, in significativo aumento sul dato del 2013 di 65 milioni.
Quanto a quest’anno, il primo trimestre si è chiuso con 21 nuovi investimenti (di cui l’85% buyout), in lieve calo dai 23 investimenti del primo trimestre 2014 (45% buyout) e in aumento dai 18 del 2013. (75% buyout) L’indice Pem, che trimestralmente monitora l’andamento del numero delle operazioni (in confronto al primo trimestre 2003, considerato la base 100), è così sceso a 175 punti dai 208 punti di fine 2014.