Sono crollati gli investimenti di private equity e venture capital nel 2019 in Italia, con soltanto 7,2 miliardi di euro di equity value, contro la cifra record di 9,8 miliardi del 2018. Lo ha annunciato AIFI, l’Associazione del Private Equity, Venture Capital e Private Debt, presentando i dati del mercato elaborati in collaborazione con PwC-Deals, ieri in conference call alla presenza di Innocenzo Cipolletta (presidente Aifi), Alessia Muzio, (responsabile ufficio studi e ricerche di Aifi) e Francesco Giordano, Partner di PwC-Deals (si vedano qui il comunicato stampa e qui il rapporto completo). Nella realtà c’è stata una grande attività da parte dei fondi, perché le operazioni mappate sono state 370 (272 società), contro le 359 del 2018. Il crollo dei volumi, dunque, è dovuto essenzialmente al fatto che si sono chiusi solo pochi deal di grandi dimensioni, mentre la maggior parte delle operazioni è stata di dimensioni medie o piccole. Un dato che già emergeva dal Report BeBeez Private Equity 2019 pubblicalo scorso gennaio (disponibile agli abbonati a BeBeez News Premium e BeBeez Private Data Combo, scopri qui come abbonarti).
In netto calo anche la raccolta dei fondi, scesa a soli 1,59 miliardi di euro (1,566 al netto della raccolta captive), in chiaro calo dai 3,63 miliardi (o 3,415 miliardi) del 2018.
Ricordiamo, però, che AIFI non considera nelle sue classifiche i dati di raccolta di Investindustrial, che considera operatore paneuropeo, sebbene come noto l’operatore abbia una forte anima italiana e l’Italia sia uno dei suoi focus principali di investimento, insieme alla Spagna. Quindi nel dato di raccolta AIFI non sono compresi nemmeno in parte i 3,75 miliardi di euro raccolti dal fondo VII di Investindustrial lo scorso dicembre (si veda altro articolo di BeBeez). L’ultimo Report BeBeez sul fundraising dei fondi italiani di private capital (appena pubblicato, disponibile agli abbonati a BeBeez News Premium e BeBeez Private Data Combo, scopri qui come abbonarti), calcola che a oggi questi abbiano a disposizione una potenza di fuoco di circa 14,2 miliardi di euro.
Quanto alle fonti della raccolta, AIFI ha calcolato che l’anno scorso è diminuito il contributo offerto da fondi pensione e casse di previdenza, passando al 23,6% del totale dall’29,4%. E’ diminuito anche il contributo delle banche (dal 13,7% al 6,7%) e delle assicurazioni (dal 15,5% al 6,7%), mentre è aumentato il contributo di settore pubblico e fondi istituzionali (dal 12,5% al 22,2% ), di investitori individuali e family office (dal 12,5% al 20,6% ) e di fondi di fondi (dal 9,1% al 13%).
Innocenzo Cipolletta, presidente AIFI, a proposito del calo nella raccolta, ha commentato: “Pesa la carenza di operatori di rilievo e di fondi dei fondi nazionali tali da far crescere il numero e la dimensione degli operatori italiani. Nel 2019 i soli fondi di fondi operanti in Italia sono stati quelli internazionali che tuttavia stentano a ritrovare condizioni di investimento adatto ai loro target. Urge in Italia, come in altri paesi europei, avere un operatore di grandi dimensioni che sappia convogliare il risparmio, che resta abbondante nel nostro Paese. In questa direzione si sta muovendo Cdp con FII, ma servono dimensioni più rilevanti di quelle finora concepite”.
Male, infine, anche i disinvestimenti. Nel 2019, l’ammontare disinvestito al costo di acquisto delle partecipazioni è stato di circa 2,2 miliardi, in calo 21% dai 2,8 miliardi del 2018, mentre il numero delle exit è stato di132, in linea con il 2018 (135). Il canale maggiormente utilizzato per i disinvestimenti, se guardiamo ai volumi, è stata la vendita a un altro operatore di private equity, con il 41% del totale disinvestito e 908 milioni di euro. Quasi nullo il canale delle ipo, che ha rappresentato soltanto il 6% del controvalore complessivo delle exit, a parte quella della paytech Nexi, sbarcata a Piazza Affari nell’aprile 2019 e che, secondo i dati PwC, è stata anche la più grande ipo d’Europa con la sua raccolta di oltre 2 miliardi di euro, a fronte di una valutazione di 7,5 miliardi (si veda altro articolo di BeBeez).
Tornando agli investimenti, Francesco Giordano, partner di PwC – Deals, ha commentato: “I dati del 2019, pur con un minor numero di mega deal rispetto allo scorso anno, mostrano una buona tenuta del numero di buy out che cresce del 13%”.
Dei 7,2 miliardi di investimenti complessivi, ben 5,1 miliardi di euro sono stati investiti in operazioni di buyout, 896 milioni in operazioni di capitale per la crescita, 510 milioni nel settore infrastrutture, 355 milioni in replacement e 96 milioni in ristrutturazioni, mentre i fondi di venture capital hanno investito 270 milioni di euro in 168 operazioni di early stage (101 società) da 324 milioni in 172 operazioni nel 2018.
La più importante operazione del 2019, secondo BeBeez Private Data, è stata quella su DOC Generici. Il gruppo produttore di farmaci generici è passato interamente sotto il controllo di ICG e Mérieux Equity Partners. A vendere è stata CVC Capital Partners a una valutazione di circa 1,1 miliardi di euro. Il secondo posto sul podio dei deal più grandi va poi a Sorgenia, sinora controllata da Banco BPM, Intesa Sanpaolo, Mps, Ubi Banca e Unicredit, di cui giusto prima di Natale è stata annunciato l’accordo per la vendita a F2i e Asterion per una valutazione di circa di un miliardo di euro.
Appena più sotto si colloca poi Forgital, società vicentina specializzata nella produzione di anelli e altri componenti forgiati di grandi dimensioni destinati nel settore aerospaziale, oil&gas ed energia, ceduta a Carlyle dalla famiglia Spezzapria e dal Fondo Italiano d’Investimento sulla base di una valutazione di 950 milioni. Piuttosto importante è stato anche il deal di inizio ottobre di Advent International su Industria Chimica Emiliana, valutata attorno ai 700 milioni. Ma anche l’investimento di CVC Capital Partners in Multiversity di inizio agosto non è certo stato da poco. CVC ha infatti comprato il 50% della holding di Danilo Iervolino proprietaria delle università telematiche Pegaso e Mercatorum, che si dice sia stata valutata complessivamente un miliardo di euro. Si è conclusa invece lo scorso febbraio l’opa di Apollo Global Management sulle azioni residue di Gamenet, dopo aver comprato nell’ottobre 2019 il 48,7% della società specializzata in giochi e scommesse da Trilantic Capital Partners, dalla famiglia Chiarva e da Intralot per 189 milioni.
Tornando al totale investito, se aggiungiamo la quota parte relativa a eventuali co-investitori, non classificabili come operatori di private equity e venture capital, e la leva finanziaria utilizzata per le operazioni di buy out, l’ammontare complessivo si attesta a oltre 12 miliardi di euro.
D’altra parte, è vero che sono sempre di più gli investitori di private equity che non sono strutturati come fondi, magari perché sono holding di investimento, veicoli di club deal o Spac, ed è per questo che per la prima volta AIFI ha provato a calcolare il volume di investimenti di private equity in senso lato che si è riversato nelle aziende italiane nell’anno. La cifra è di quasi 10 miliardi di euro di sola equity spalmati su 450 società.
A livello geografico, la regione che ha totalizzato la gran parte delle operazioni è ancora la Lombardia (41% del numero degli investimenti in Italia), seguita da Emilia Romagna (12%) e Veneto (9%). La maggior parte delle operazioni sono state condotte nei settori ICT (17% del totale), seguito dai beni e servizi industriali (15%), e dal medicale (13%).
“L’attuale emergenza sanitaria ci ha insegnato l’importanza del sistema sanitario, dopo che per anni sono stati tagliati ospedali, posti letto e personale sanitario. Bisognerà istituire un sistema sanitario capace di affrontare anche le situazioni di emergenza, ossia avere un suo sottoutilizzo, dove i posti in più non significhino sprechi, bensì previdenza. Inoltre, l’organizzazione delle imprese potrà subire dei cambiamenti a seguito dell’applicazione di nuove modalità di lavoro. Per questo, mi aspetto una crescita di ICT e medicale nei prossimi anni”, prevede Cipolletta.
Per quanto riguarda quest’anno, alla luce dell’emergenza sanitaria innescata dal coronavirus, il presidente di Aifi si aspetta una caduta del Pil italiano attorno al 5% e in ogni caso superiore a quella del 2009, cui potrebbe seguire un grosso rimbalzo nel 2021. Le aziende devono però essere poste nella condizione di approfittarne: per questo è importante garantire loro liquidità e non danneggiare in modo irreparabile il nostro sistema produttivo. I fondi di private equity e venture capital sono preoccupati per la situazione e stanno rafforzando la liquidità delle loro controllate, in previsione di una riduzione del loro business. “Abbiamo pochi fondi di turnaround e questo si rivelerà un handicap nel 2021 e 2022, quando molte aziende italiane dovranno essere rilanciate a causa della crisi economica post-Coronavirus”, prevede il presidente di Aifi.
Interpellato sulla possibilità che i crolli dei prezzi azionari suscitino appetiti di m&a “a prezzi di saldo”, il presidente di Aifi non ritiene questo pericolo al momento così importante: “La maggior parte delle aziende italiane quotate sono in mano ad azionisti di controllo, cui non conviene vendere le loro quote a prezzi così bassi”.