Le famiglie italiane avevano investito 1.318 miliardi di euro nell’economia reale a fine 2018 e lo stock era sceso a 1.306 miliardi a fine giugno 2019. Il private banking italiano invece ha investito a fine giugno in economia reale 125,7 miliardi dai 120,6 miliardi di stock a fine dicembre 2018. Lo stima il Quarto Quaderno di Ricerca Intermonte, intitolato “Economia reale e private banking: una analisi dell’impatto del settore sul Paese“, presentato ieri nel corso di un convegno presso Borsa Italiana (si vedano qui il comunicato stampa e qui lo studio completo). Al convegno hanno partecipato: Saverio Perissinotto, direttore generale Intesa San Paolo Private Banking; Andrea Ragaini, Vice Direttore Generale Banca Generali (che ha annunciato il lancio a breve di un Eltif, si veda altro articolo di BeBeez); Federico Sella, amministratore delegato Banca Patrimoni Sella & C; Guglielmo Manetti, amministratore delegato Intermonte Sim; Paolo Langé, presidente Aipb (Associazione Italiana Private Banking) e Giancarlo Giudici, professore associato della School of Management del Politecnico di Milano e referente scientifico della ricerca.
La ricerca, redatta in collaborazione con la School of Management del Politecnico di Milano su dati di Banca d’Italia e raccolti grazie al contributo di Aipb (Associazione Italiana Private Banking), ha ricostruito i flussi investiti direttamente (attraverso la sottoscrizione di titoli mobiliari, debito o equity) e indirettamente (attraverso la raccolta di banche, intermediari, fondi e assicurazioni) nell’economia reale italiana (ossia nelle imprese non finanziarie) sia dalle famiglie sia dal private banking. Il Politecnico ha poi calcolato lo stock di risorse integrate di flussi diretti e indiretti (a livello sia di famiglie sia di private) che va a supportare l’economia reale nazionale.
Per economia reale la ricerca intende gli investimenti di qualsiasi tipo, anche attraverso titoli di debito, azioni o strumenti ibridi, siano essi privati o negoziati su listini borsistici (regolamentati e non), siano essi detenuti direttamente, attraverso un mandato di gestione o attraverso la detenzione di quote di fondi di investimento, diretti verso imprese di capitale residenti in Italia, di qualsiasi dimensione, dedite alla manifattura, all’agricoltura e all’erogazione di servizi, escludendo tuttavia il macro-settore finanziario (banche, assicurazioni e compagnie finanziarie).
L’analisi ha mostrato che la discesa di 12 miliardi degli investimenti delle famiglie italiane nell’economia reale italiana ha avuto come contraltare un aumento degli impieghi verso l’estero (+ 5 miliardi) e soprattutto verso il debito pubblico italiano (+24 miliardi), che ha drenato una parte importante di risparmio. La riduzione non deriva solo dalle scelte dirette di investimento di risparmiatori, ma soprattuto degli intermediari finanziari. A ciò si aggiunge che nel corso del 2018, gli investitori esteri hanno ridotto l’esposizione verso l’economia italiana, in maniera generalizzata su tutti gli impieghi (- 24,5 miliardi). C’è comunque poi stato un recupero sensibile nel primo semestre del 2019 (+58,4 miliardi) sia a favore dell’economia reale sia del debito pubblico.
Dalle risposte a un sondaggio condotto da AIPB tra 38 operatori del settore, il Politecnico ha stimato che la quota diretta di investimenti del private banking in economia reale è passata dai 22,5 miliardi di fine 2018 ai 23,1 miliardi di a metà 2019, pari al 68% degli investimenti effettuati dalle famiglie in strumenti analoghi. Poi il Politecnico insieme a Morningstar ha stimato la quota-parte dei fondi investita in economia reale e ha chiesto agli associati Aipb se vi avessero investito, in modo da calcolare il contributo indiretto all’economia reale del private banking. Quest’ultimo è stato pari a 15,4 miliardi a fine 2018 e a 15,5 miliardi a giugno 2019. Se rapportato allo stock totale di finanziamenti diretti e indiretti delle famiglie residenti all’economia reale in Italia, il contributo del private banking pesa circa il 28,6% al termine del 2018 e sale al 30,7% a giugno 2019. Se si considerano solo gli investimenti in titoli, frutto di una scelta diretta da parte degli investitori, il peso risulta molto più rilevante dal momento che il private rappresentava il 66,2% a fine 2018, arrivando al 67,9% al fine giugno 2019. Meno rilevante risulta invece il contributo del private banking allo stock di finanziamenti indiretti (circa il 25%), il cui ammontare totale deriva però non tanto dalle scelte dirette delle famiglie, quanto piuttosto dall’asset allocation degli intermediari che investono la liquidità raccolta dalle famiglie retail.
Il punto però è che un conto è parlare di economia reale e un conto è parlare di investimenti in equity o debito di società non quotate, che sono la maggior parte delle imprese italiane, i cosiddetti private asset, la cui quota parte nel portafoglio del private banking è davvero ancora minimale. Lo scorso novembre Antonella Massari, segretario generale dell’Associazione Italiana del Private Banking (AIPB), in occasione del XV Forum del Private Banking presso Borsa Italiana aveva detto che il private banking in Italia ha in gestione 844 miliardi di euro, ma di questo totale soltanto 3,9 miliardi sono investiti nei private market, cioé lo 0,25%, contro circa l’1% dei capitali in gestione ad assicurazioni e fondi pensione (si veda altro articolo di BeBeez).
Giancarlo Giudici, professore associato della School of Management del Politecnico di Milano e referente scientifico della ricerca, ha commentato: “La ricerca mostra che in Italia c’è un enorme potenziale di risorse finanziarie che oggi si disperdono spesso in impieghi indiretti e che potrebbero essere direttamente destinate alle imprese produttrici. Da questo punto di vista l’educazione finanziaria e le nuove tecnologie FinTech sono elementi essenziali per rendere più efficiente il mercato. È anche prioritario contenere la crescita del debito pubblico, perché si è dimostrato che ha distolto risorse importanti che potevano essere destinate alle imprese. Migliorare l’attrattività per gli investimenti dall’estero è un ulteriore obiettivo generale che richiede un’azione coordinata di sistema”.
Paolo Langé, presidente Aipb (Associazione Italiana Private Banking), ha concluso: “Gli investitori sono alla ricerca di performance che non trovano più nei mercati tradizionali e rivolgono sempre di più la loro attenzione verso nuove frontiere di investimento come quelle rappresentate dai private market. Il segmento private ha dimostrato una forte attenzione e consapevolezza rispetto a questa asset class. Auspichiamo, quindi, che negli interventi futuri di policy vengano tenute in considerazione tali sostanziali differenze, al fine di massimizzare le ricadute positive sulla crescita del nostro Paese”.