I fondi Pir potranno essere tali soltanto se, oltre a tutte le condizioni stabilite in precedenza dalla legge di bilancio 2017, investiranno il 3% dei loro asset in fondi che investono in startup innovative e pmi innovative. Inoltre saranno “Pir compliant” anche i fondi di credito, che investono quindi in prestiti alle imprese, e i bond derivanti dalla cartolarizzazione di prestiti alle pmi erogati tramite piattaforme fintech. Il tutto, peraltro, con un aumento della soglia di investimento in Pir per la quale è prevista l’agevolazione fiscale.
E’ quanto chiesto al governo in una risoluzione presentata oggi alla Commissione Finanze della Camera dall’onorevole PD Silvia Fregolent e votata all’unanimità da tutte le forze politiche. Ed è quindi più che ragionevole pensare che la nuova legge di bilancio conterrà un emendamento di questo tipo.
“L’obiettivo di questa risoluzione è, da un lato, che si formino bolle speculative sui mercati, e, dall’altro, favorive gli investimenti in economia reale”, ha spiegato a BeBeez l’onorevole Fregolent, ricordando che i “i Pir, contrariamente a quanto immaginavano gli scettici, quando l’anno scorso avevamo proposto l’agevolazione, hanno raccolto tantissimo denaro dagli investitori, che adesso merita di essere convogliato su startup e pmi non quotate”.
Nel testo della risoluzione si ricorda, infatti, che “attualmente sono attivi sul mercato 44 fondi Pir compliant che, nei primi 9 mesi dell’anno, hanno raccolto circa 5 miliardi di euro, oltre le iniziali stime del governo, pari a 2 miliardi di euro, che ha così rivisto l’obiettivo per tutto il 2017 a 10 miliardi; secondo le stime degli uffici studi delle principali case di investimento italiane, la raccolta dei Pir cumulata al 2021 potrebbe superare i 70 miliardi”.
La risoluzione prosegue sottolineando che “lo strumento dei Pir rappresenta quindi uno straordinaria opportunità per sostenere una politica industriale volta a rafforzare la patrimonializzazione delle imprese italiane e, tra queste, in particolare, quelle di medie e piccole dimensioni, che stanno investendo nell’innovazione, con l’obiettivo di essere competitive sui mercati internazionali e mantenere il passo con i cambiamenti in atto nel sistema economico ovvero la quarta rivoluzione industriale (cosiddetta Industria 4.0)”.
Come noto, perché un fondo di investimento aperto possa fregiarsi della qualifica di Pir, deve rispettare i criteri di investimento definito dalla Legge di Bilancio 2017. Perché gli investitori possano beneficiare dell’esenzione fiscale prevista dalla normativa per gli investimenti in Pir fino a 30 mila euro l’anno, per un massimo di 150 mila euro in cinque anni, i Pir dovranno investire almeno il 70% del loro patrimonio in strumenti finanziari emessi da società residenti in Italia o che siano stabili organizzazioni italiane di società membre della Ue o dello Spazio Economico Europeo e di questo 70%, almeno il 30% deve essere investito in strumenti finanziari di aziende quotate o non quotate che non siano membre dell’indice FtseMib.
Ma appunto sinora la maggior parte del denaro raccolto dai Pir era stato convogliato sulle azioni delle società quotate allo Star e all’Aim di Borsa Italiana, mentre praticamente nulla è finito nei cosiddetti asset illiquidi e quindi anche su azioni e debito di società non quotate e in quote di fondi chiusi che investono in questi strumenti finanziari. Peraltro, tenuto conto del fatto che i fondi di investimento aperto continuano a non poter investire in asset illiquidi più del 10% del totale del loro patrimonio.
Se il testo della risoluzione verrà tradotto in emendamento alla legge di bilancio e votato dal Parlamento, così come parrebbe probabile che accada, allora i fondi di venture capital che investono in startup innovative e i fondi di private equity che investono in pmi innovative potranno giocare la carta Pir quando andranno in raccolta.
E questo perché la risoluzione impegna il governo ad assumere tutte le iniziative utili, anche di carattere normativo, per ” favorire la canalizzazione del risparmio privato verso il venture capital, prevedendo che, per usufruire dell’agevolazione fiscale sui Pir, sia obbligatorio investire almeno il 3 per cento della soglia di investimento prevista dai Pir, in Organismi di investimento collettivo del risparmio quotati che investano prevalentemente in start-up innovative di cui all’articolo 25, commi 2 e 3, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, o in piccole e medie imprese innovative di cui all’articolo 4 del decreto-legge 24 gennaio 2015, n. 3″.
Non solo. La stessa risoluzione impegna il governo ad “allargare l’agevolazione fiscale dei Pir alle quote di fondi di credito e alle obbligazioni emesse a fronte di cartolarizzazioni di crediti erogati a piccole e medie imprese tramite piattaforme peer-to-peer specializzate, gestite peraltro da intermediari soggetti a vigilanza dalla Banca d’Italia”.
Una previsione, questa relativa al direct lending che era chiesta a gran voce dal mercato (si veda contributo alla newsletter della Consulta degli Esperti di Maurizio Bernardo, presidente della Commissione Finanze della Camera). Per contro, i titoli derivanti dalle cartolarizzazioni di prestiti alle imprese erogati tramite piattaforme fintech erano già in realtà tecnicamente “Pir compliant”, perché si tratta di bond e quindi di titoli finanziari, così come definiti dal TUF, che invece non sembra includere i finanziamenti, perché non sono titoli, bensì diritti di credito non “cartolarizzati”, cioè non incorporati in un titolo. In ogni caso, meglio abbondare, così ora non ci sono dubbi.
Infine la risoluzione invita il governo ad ampliare la platea degli investitori:
– da un lato estende “l’agevolazione fiscale Pir anche a forme di gestione individuale (gestioni patrimoniali) e non solo collettiva (fondi) per permettere anche al mondo delle gestioni di private banking di accedere direttamente agli investimenti Pir, lasciando i vincoli Pir in capo alla gestione e non agli investimenti sottostanti;
– dall’altro, innalza dal 5 per cento fino al 10 per cento il tetto stabilito per gli investimenti effettuati da casse previdenziali o fondi pensione, limitatamente alla sottoscrizione dei Pir, e amplia i limiti individuali di 30.000 euro annui e di 150.000 euro complessivi previsti per le persone fisiche, ad esempio portando il primo limite a 100.000 euro e il secondo a 500.000 euro;
In coda della risoluzione, si impegna il governo anche a “prevedere un credito di imposta del 50 per cento per tutte le società che optano per la quotazione, purché sotto la soglia di 1,5 miliardi di euro di capitalizzazione post quotazione, oppure che effettuino aumenti futuri di capitale o emissione di obbligazioni”.