Confindustria Piccola Industria e Intesa Sanpaolo hanno firmato ieri una partnership che permetterà di attivare in tre anni un plafond da 90 miliardi di euro di risorse dedicate alla competitività e alla trasformazione delle imprese per cogliere le opportunità offerte da Industry 4.0 (scarica qui il comunicato stampa).
L’accordo è stato presentato ieri a Milano da Vincenzo Boccia (presidente di Confindustria), Alberto Baban (presidente di Piccola Industria Confindustria) e per Intesa Sanpaolo dal ceo Carlo Messina e da Stefano Barrese (responsabile Banca dei Territori) e dal chief economist, Gregorio De Felice.
Attraverso l’accordo, Intesa Sanpaolo e Piccola Industria Confindustria intendono mettere a disposizione un insieme di soluzioni che permettano alle imprese di trasformarsi, migliorando i processi produttivi, ricorrendo a nuove tecnologie e a nuove metodologie che abilitano le imprese alle tecnologie digitali.
De Felice ha spiegato che “lo sviluppo di Industria 4.0 e il relativo Piano del governo possono essere la strada per recuperare competitività e posti di lavoro basandosi sulle competenze e non semplicemente sui costi. Per l’industria italiana è un’occasione per: rafforzare le proprie capacità di produrre in piccole serie e con prodotti customizzati; gestire in modo più efficiente i tradizionali e fitti rapporti di filiera tra tante pmi; valorizzare le proprie competenze riconosciute nella meccatronica e robotica; valorizzare le eccellenze del sistema universitario nel campo dell’ingegneria e della scienza. Tutto questo, però, richiede una maggiore dotazione di capitale umano con queste competenze, coinvolgendo sia la scuola sia la formazione aziendale; una maggiore capacità di banda per connettere le imprese al mercato; e investimenti in macchinari, R&S e software da parte delle imprese”.
De Felice ha aggiunto che “le tecnologie sottostanti Industry 4.0 necessitano di 10-15 anni per raggiungere la completa maturità nel mercato ed essere pienamente efficienti. Oggi molte tecnologie esistono solamente come prototipi o soluzioni pilota in via di sviluppo.Si stima che nel 2020-2025 saranno sviluppate le prime soluzioni in grado di operare come veri e propri impianti produttivi, ma è oggi che si gioca la partita sullo sviluppo e l’adozione di queste soluzioni tecnologiche. Roland Berger stima un fabbisogno di investimenti a livello Europa di circa 60 miliardi di euro annui fino al 2030, di cui non meno di 10 miliardi annui relativi alla sola Italia”.
In tutto questo un aiuto può essere dato da una collaborazione più stretta con startup e pmi che già vivono di innovazione. Secondo i calcoli di Cerved Group, che ieri ha presentato il suo rapporto annuale Osservitalia dedicato alle pmi, questo gruppo è costituito da 16 imprese. Di queste, 12 mila sono start-up, ma soltanto circa 6.500 sono iscritte al registro delle start-up innovative. Ci sono poi circa 3.900 pmi che possono essere considerate innovative, ma di queste soltanto 244 sono iscritte nell’apposito registro (di cui 140 sono microimprese).
Cerved ha sottolineato che dalla metà degli anni ’90, l’Italia ha evidenziato un declino della produttività che si è poi accentuato con la crisi economica che ha colpito la nostra economia a partire dal 2007. Molti osservatori hanno attribuito la radice di questo declino alla scarsa capacità del nostro sistema di innovare. In particolare, secondo questa visione, la specializzazione settoriale e dimensionale delle imprese italiane avrebbe penalizzato la nostra produttività rispetto ad altre economie avanzate: un sistema concentrato in produzioni tradizionali con un’elevata presenza di PMI limiterebbe gli investimenti in innovazione e l’adozione di tecnologie Ict rispetto a economie con modelli di specializzazione più avanzati e con imprese con una scala maggiore. A questo si aggiunge una governance caratterizzata da una forte prevalenza di aziende familiari, spesso riluttanti a intraprendere progetti ad alti ritorni attesi ma a elevato rischio, tipici dei processi innovativi, e lo scarso sviluppo dei mercati finanziari adatti a finanziare progetti innovativi, come il venture capital.
Sempre in tema di startup, ieri i top manager di Intesa Sanpaolo in occasione della presentazione del plafond da 90 miliardi per Industry 4.0, hanno ricordato che la banca ha sviluppato un nuovo algoritmo battezzato DATS (Due Diligence Assessment Tool Scorecard), che è già stato inserito nelle regole di concessione del credito, a supporto della valutazione creditizia delle startup e in futura estensione alle pmi innovative. Si tratta del primo modello di valutazione “forward looking” adottato da una banca per i finanziamenti in debito, basato su logiche derivate dalla valutazione degli investitori in venture capital.