Valeva poco meno di 92 miliardi di euro il monte di inadempienze probabili lorde presente nei portafogli delle banche italiane (e della Cdp) verso aziende italiane non finanziarie a fine giugno, in calo dai 94 miliardi di fine marzo, mentre le sofferenze aziendali erano salite a 140 miliardi dai 138,3 di tre mesi prima. Lo ha scritto mercoledì 26 agosto MF Milano Finanza, riferendo che il conto è contenuto nell’ultimo Bollettino Statistico di Banca d’Italia (tavole B4.2 e B4.4).
Le sofferenze aziendali in capo alle sole banche erano a quella data 135 miliardi e di queste 33 miliardi (47.917 imprese) si riferivano ad aziende industriali, 39 miliardi ad aziende edilizie (50.231 imprese) e 60,1 miliardi a imprese attive nel settore dei servizi (140.636 aziende).
Il tutto per un totale di crediti deteriorati aziendali in capo alle banche e alla Cdp di 236,6 miliardi, che diventano 326,7 miliardi considerando anche amministrazioni pubbliche, famiglie lavoratrici (cioé microaziende sino a 5 addetti) e famiglie consumatrici.
Tra i crediti deteriorati aziendali in portafoglio agli istituti di credito italiani, un equivalente di 10 miliardi di dollari è relativo a imprese del settore shipping, su un totale di 13 miliardi di crediti complessivi allo shipping sui libri delle banche italiane. Lo scrive oggi MF Milano Finanza, riferendo un calcolo di Michele Autuori, partner dello studio legale Watson Farley & Williams, che nel suo intervento a Napoli al convegno annuale Shipping & the Law ha calcolato anche che ben 7 miliardi di crediti allo shipping sono in portafoglio a Unicredit e Intesa Sanpaolo, un miliardo è in capo a Montepaschi, mentre il resto è distribuito sui libri di GE Capital Interbanca e di varie banche locali.
Le transazioni su posizioni deteriorate nel settore sono state molto poche. Autuori ricorda che Goldman Sachs ha comprato crediti shipping da banche italiane per 206 milioni di dollari, Deutsche Bank per 193 milioni e Bofa Merrill Lynch per 3,8 milioni, con l’operazione più importante )per 281 milioni di dollari, riferisce Autuori) che è stata condotta da Pillarstone Italy sui crediti deteriorati di Premuda in capo a Unicredit, Intesa Sanpaolo e Carige (si veda altro articolo di BeBeez) con le tre banche che hanno ceduto i crediti al veicolo di Kkr, che li ha cartolarizzati e ceduto alle banche i titoli senior derivanti da quella cartolarizzazione.
I 13 miliardi di cui parla l’avvocato sono di poco superiori ai 12 miliardi di dollari di esposizione per le banche internazionali a fine 2015 nei confronti degli armatori italiani riportato dal report UNCTAD, come riferito da Fabrizio Vettosi, managing director di Vsl, in occasione del suo intervento a Shipping & The Law. Il dato italiano si confronta con esposizioni ben maggiori al settori per altri Paesi come Grecia (71 miliardi di dollari) e Germania (91 miliardi).
Per contro, ha calcolato ancora Vettosi, la leva degli armatori italiani è tra le più basse in Europa. Il rapporto tra debiti e peso della flotta (un rapporto non scientificamente rilevante, ma fornisce un’idea immediata dell’entità della garanzia rispetto al debito), infatti, è di sole 0,55 volte contro una media internazionale di 0,43 volte, che viene abbassata soprattutto dal dato greco (0,25 volte), perché le banche si sono praticamente ritirate dal settore in Grecia, nonostante gli armatori che battono bandiera greca vantino a garanzia una flotta da 279 milioni di tonnellate di portata lorda. Anche dalla Germania le banche si sono via via ritirate, mentre hanno aumentato l’esposizione verso Olanda e Paesi Scandinavi, con leve che si attestano, rispettivamente, a 1,29 e 1,50 volte.