Un gruppo di hedge fund, tra cui il londinese TCI, intende chiedere alla Commissione europea l’apertura di una procedura di infrazione contro l’Italia per la vendita della quota di Atlantia di Autostrade per l’Italia (ASPI). Lo scrive il Financial Times, a cui il fondatore di TCI Christopher Hahn ha dichiarato: “Quello che il governo sta facendo è illegale e avrà un effetto agghiacciante sugli investimenti internazionali in Italia”. TCI detiene l’1% di Atlantia, oltre a un’esposizione del 5% in equity swap.
Anche i fondi King Street Capital Management e Farallon Capital Management, che possiedono dall’1 al 2% di Atlantia, dovrebbero far ricorso a Bruxelles. La scorsa settimana TCI ha presentato un reclamo di 12 pagine alla Commissaria Ue alla concorrenza Margrethe Vestager, asserendo che il Governo italiano ha violato almeno 8 principi del diritto europeo e che “l’accordo era guidato da ragioni politiche ed è stato raggiunto senza alcun quadro giuridico”. Inoltre TCI ha inviato una lettera al Governo italiano, accusandolo di esproprio e proponendo una soluzione alternativa alla vicenda ASPI. Nel dettaglio, Jonathan Amouyal, partner del fondo TCI, ritiene che “l’unica soluzione per garantire un’uscita senza intoppi di Atlantia dal business di autostrade è che Cdp acquisti la società a prezzo di mercato senza l’aumento di capitale”. A suo avviso, l’attuale valutazione di Autostrade si aggira intorno agli 11-12 miliardi di euro.
Una cifra in linea con quella stimata sul mercato, utilizzando un metodo RAB based, quindi meno dei 14,8 miliardi di euro sulla base dei quali era stata condotta l’ultima operazione sul capitale di ASPI nel 2017, quando il consorzio formato da Allianz Capital Partners, EDF Invest e DIF, da un lato, e Silk Road Fund, dall’altro, aveva comprato l’11,94% del capitale di Autostrade per l’Italia (si veda qui il comunicato stampa di agosto 2017 e qui quello di aprile 2017). Il bilancio 2019 di ASPI si è chiuso con ricavi per 4,1 miliardi, un ebitda di 710 milioni (che riflette un accantonamento a fondo oneri da 1,5 miliardi di euro, correlato all’impegno previsto nelle negoziazioni in corso con il governo e con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti volto alla chiusura delle contestazioni avanzate per la vicenda del Ponte Morandi) e un debito finanziario netto di 8,4 miliardi.
Intanto oggi è atteso il memorandum of understanding tra Cdp e Atlantia che darà il via ufficiale all’operazione su ASPI. E a questo fine Cdp ha nominato suoi advisor Citigroup e Unicredit, mentre per Atlantia gli advisor sono Bank of America Merrill Lynch, JP Morgan e Mediobanca (si veda Reuters).
ASPI attualmente è controllata all’88% da Atlantia, gruppo quotato a Piazza Affari, a sua volta partecipato da Edizione Holding della famiglia Benetton, ed è finita nella bufera dopo il crollo del ponte Morandi a Genova sul tratto autostradale di cui ha la concessione, perché allenti la presa su ASPI. Dopo una lunga trattativa con il Governo, a inizio luglio 2020 Atlantia ha avanzato due proposte transattive per favorire il passaggio del controllo di ASPI a Cdp, riguardanti, rispettivamente, un nuovo assetto societario di ASPI e nuovi contenuti per la definizione transattiva della controversia (si veda qui il comunicato stampa della Presidenza del Consiglio). La soluzione preferita è un aumento di capitale di ASPI da almeno 3 miliardi dedicato a Cdp, che la porterà al 33%, e a una cessione di quote pari al 22% della stessa ASPI da parte di Atlantia a uno o più investitori graditi e individuati da Cdp. Il tutto nel contesto di una scissione di ASPI contestuale a un’ipo, che porterà Edizione Holding a diluirsi all’11% e gli altri soci di Atlantia (il consorzio formato da Allianz Capital Partners, EDF Invest e DIF, da un lato, e i cinesi di Silk Road Fund, dall’altro) a quote ancora più ridotte. Il nuovo assetto azionario di Aspi vedrà quindi un blocco composto da Cdp (33%) con investitori istituzionali (22%) che formeranno così una maggioranza del 55%.
A voler comprare la quota del 22% di ASPI sono in tanti. L’interesse di Cdp è che nel capitale di ASPI entrino soprattutto investitori italiani di lungo periodo come possono essere appunto le fondazioni bancarie ed è appunto per sondare la disponibilità delle fondazioni socie di Cdp (con il 15,93%) , che il presidente di Cdp Giovanni Gorno Tempini e l’ad Fabrizio Palermo ne hanno incontrato la scorsa settimana i vertici in videocall. Alcune delle fondazioni più grandi, tra cui tra cui Cariplo e Compagnia San Paolo e CRT, ma non Cariverona, avrebbero espresso una generale disponibilità (si veda altro articolo di BeBeez).
Fondazioni a parte, interessate ad affiancare Cdp nel capitale di ASPI, probabilmente attraverso un fondo strutturato d hoc da F2i sgr (si veda altro articolo di BeBeez), sono anche Poste Vita (che starebbe studiando un investimento da almeno 300-400 milioni di euro), e alcune casse di previdenza, come Cassa Forense (avvocati), Enpam (medici), Inarcassa (architetti) e Cassa Geometri (si veda altro articolo di BeBeez). E poi ovviamente interessati sono i gradi fondi di private equity come Macquarie, KKR e Blackstone (si veda altro articolo di BeBeez). Senza dimenticare i fondi pensione e i fondi sovrani esteri, specialmente quelli che hanno sottoscritto il terzo fondo di F2i e cioé GIC, il fondo sovrano di Singapore, e PSP, il fondo pensione dei dipendenti pubblici e delle forze dell’ordine canadesi (si veda altro articolo di BeBeez). Nei mesi scorsi si era anche parlato del possibile coinvolgimento nella partita dell’ex amministratore delegato di ASPI nonché ex ceo di F2i sgr, Vito Gamberale (si veda altro articolo di BeBeez). Quest’ultimo, infatti, è tornato a occuparsi di investimenti in infrastrutture, questa volta a capo di una nuova società di investimento che ha in rampa di lancio due fondi chiusi in partnership con Pramerica sgr.